olgadik
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mercoledì 27 maggio 2009
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melodioso e triste
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Fausta (Magaly Solier) non ha che il canto e modula col viso tristissimo le antiche melodie in lingua quechua; con esse racconta ed esprime una arcaica malinconia e noi spettatori capiamo l’insondabilità di chi è stata stuprata e di chi, nata dopo questa tragedia, sente trasmettere col latte che succhia, la perdita della propria anima. Tante furono le violenze contro le donne perpetrate negli ultimi venti anni del ‘900 durante la guerra civile in Perù tra militari al potere e guerriglieri ribelli. Tra un atto eroico e un’ideologia, i soldati di ambo le parti si dedicarono alla crudeltà di massa contro le donne, specialmente se indie. Allora la cultura popolare parlò della “teta asustada” (seno impaurito) e di una “sofferenza” trasmessa alla prole.
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Fausta (Magaly Solier) non ha che il canto e modula col viso tristissimo le antiche melodie in lingua quechua; con esse racconta ed esprime una arcaica malinconia e noi spettatori capiamo l’insondabilità di chi è stata stuprata e di chi, nata dopo questa tragedia, sente trasmettere col latte che succhia, la perdita della propria anima. Tante furono le violenze contro le donne perpetrate negli ultimi venti anni del ‘900 durante la guerra civile in Perù tra militari al potere e guerriglieri ribelli. Tra un atto eroico e un’ideologia, i soldati di ambo le parti si dedicarono alla crudeltà di massa contro le donne, specialmente se indie. Allora la cultura popolare parlò della “teta asustada” (seno impaurito) e di una “sofferenza” trasmessa alla prole. Tutto questo si ricava dalle prime sequenze del film di Claudia Llosa, alla sua seconda prova, vincitrice con questa pellicola dell’Orso d’Oro a Berlino 2008. Nelle scene iniziali, la madre che sta per morire dice col canto alla figlia Fausta quello che lei ha ereditato e che spiegherà nella ragazza la sua chiusura, l’incubo del rapporto col maschio, la difesa contro la violenza che la giovane realizza introducendo nella vagina una patata. Questo espediente realistico e rozzo è naturalmente un pericolo per la salute nonché un fenomeno che costringe Fausta ad espellere con ribrezzo i germogli del tubero. Come si vede, i fatti sono espliciti, ma nel racconto tutto è suggerito con modi discreti e molto pudore. Intanto la storia, impastata di tanti elementi, dalla superstizione alla poesia, procede per metafore e atmosfere diverse messe a confronto. Due ambienti soprattutto sono la sostanza che dà corpo al discorso. La cinepresa si sposta infatti dalla casa signorile, dove la protagonista è andata a servizio per poter fare un degno funerale alla madre, al barrio dove ritorna alla fine del lavoro e dove vive con lo zio e la famiglia. La villa padronale è ombrosa, cupamente arredata con mobili intagliati, cortine e tappeti; solo la voce del pianoforte e il canto di Fausta, sollecitato dalla padrona concertista (Susi Sánchez), rompono il silenzio all’interno. Fuori, nel giardino lussureggiante, si muove il giardiniere, che spia la selvatichezza della ragazza e vorrebbe fare amicizia, ma lei sfugge e si mostra appena, preda com’è delle sue angosce. Il ritmo di queste inquadrature è lento, alcune immagini in primo piano sono dei veri ritratti d’autore. La realtà del barrio, che sorge su una piccola altura desertica, priva di ogni vegetazione, è invece antropologicamente viva; è il luogo della gente umile che crede ai riti e li perpetua con qualche aggiornamento eccessivo e colorato. Sono indigeni che aderiscono alla vita con naturalezza, sottolineano ogni cerimonia, funebre o gioiosa, con il corpo, il loro lieve ancheggiare, il loro essere uniti. Il film si snoda perciò con una scansione diversa rispetto al luogo dove il personaggio si muove e procede fino a giungere non a un vero e proprio scioglimento ma ad una attenuazione della angosce. Fausta infatti dà inizio a una presa di coscienza dell’essere viva e del dovere affrontare l’esistenza con qualche apertura. Per intanto si libera del suo “rimedio” artigianale e riporta la salma della vecchia madre verso il mare e verso i campi del villaggio di origine. Noi la lasciamo qui con nella mente il suo sguardo liquido e ferito e l’echeggiare di quelle melodie lontane, piene di suggestione.
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(di marezia)
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reservoir dogs
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venerdì 3 dicembre 2010
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la bellezza del fiore della patata
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La madre di Fausta col'ultimo respiro di vita canta alla figlia un canto in lingua quechua che narra il dolore che la vita le ha dato attraverso lo strupro in gravidanza e l'assassinio del marito (anni 80', guerra civile in Perù).
Fausta allattata con il "latte impaurito" della madre è cresciuta con la credenza di essere affetta da una malattia congenita incurabile che la priva dell'anima e la costringe a "vagare" sulla Terra senza aver alcun contatto con l'altro sesso, la paura dell'uomo è talmente radicata in lei da farle mettere un patata nella vagina come "repellente" per gli stupratori con conseguenti infezioni.
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La madre di Fausta col'ultimo respiro di vita canta alla figlia un canto in lingua quechua che narra il dolore che la vita le ha dato attraverso lo strupro in gravidanza e l'assassinio del marito (anni 80', guerra civile in Perù).
Fausta allattata con il "latte impaurito" della madre è cresciuta con la credenza di essere affetta da una malattia congenita incurabile che la priva dell'anima e la costringe a "vagare" sulla Terra senza aver alcun contatto con l'altro sesso, la paura dell'uomo è talmente radicata in lei da farle mettere un patata nella vagina come "repellente" per gli stupratori con conseguenti infezioni.
Alla morte della madre Fausta decide di dare degna sepoltura alla donna e andare dallo zio (unica figura maschile con cui riesce ad avere un contatto), ma lo zio è già indebitato per il matrimonio in corso della cugina e non può quindi aiutarla.
La ragazza è costretta a cercarsi un lavoro come donna delle pulizie; il lavoro le servirà per comprendere la poca scientificità della sua "malattia" e tirar fuori la sua femminilità semplice ma bellissima così come il fiore della patata che non ha niente da invidiare agli altri fiori.
Il canto diventa strumento di liberazione per Fausta che in relazione al mondo che adesso meno teme cambia espressività.
Memorabile la scena del matrimonio dove la saturazione dei colori ci ricorda come nonostante la povertà del paese vi sia voglia di vivere per festeggiare la vita.
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yiasemì
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sabato 30 maggio 2009
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fausta e noè
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Da un lato il dolore, i silenzi e la profonda solitudine di Fausta, dall'altro il rumore e la baraonda di un mondo esterno che continua a girare con i suoi teatrini e burattini e che non sa (o non vuole) andare al di là di ciò che, in modo tangibile, si può vedere e toccare. L'unica persona che riesce ad avvicinarsi, o almeno a "sfiorare" Fausta è il giardiniere Noè che osserva, ascolta, comprende e rispetta le sue paure. In questo senso, credo che sia esemplificativa una delle scene finali in cui Noè trova Fausta svenuta e le copre il seno lasciato scoperto dal vestito (una scena che, per me, è autentica poesia).
Struggente il motivo musicale (quello della sirena), ma,credo, infelice la scelta dei doppiatori.
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Da un lato il dolore, i silenzi e la profonda solitudine di Fausta, dall'altro il rumore e la baraonda di un mondo esterno che continua a girare con i suoi teatrini e burattini e che non sa (o non vuole) andare al di là di ciò che, in modo tangibile, si può vedere e toccare. L'unica persona che riesce ad avvicinarsi, o almeno a "sfiorare" Fausta è il giardiniere Noè che osserva, ascolta, comprende e rispetta le sue paure. In questo senso, credo che sia esemplificativa una delle scene finali in cui Noè trova Fausta svenuta e le copre il seno lasciato scoperto dal vestito (una scena che, per me, è autentica poesia).
Struggente il motivo musicale (quello della sirena), ma,credo, infelice la scelta dei doppiatori. Ottima la dizione, ma le voci abbinate ad alcuni personaggi mi sono sembrate un pò fuori luogo
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gianleo67
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lunedì 15 giugno 2015
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la mujer y la patata
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Alla morte dell madre, vecchia e malata, la giovane Fausta si ritrova da sola a dover affrontare la condizione di estrema indigenza nella favela di Lima in cui vive e l'irrazionale paura verso il mondo che ,secondo una superstizione locale, ha ereditato dal latte materno a causa della violenza subita dalla genitrice durante i difficili anni della dittatura.
Costretta ad accettare il lavoro di domestica presso la casa di una ricca signora bianca per far fronte alle spese del funerale e soffrendo per i gravi disturbi causati da un rudimentale metodo anticoncezionale, riuscirà con fatica a superare le sue paure ed aprirsi al mondo con un rinnovato canto di fiducia e di speranza.
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Alla morte dell madre, vecchia e malata, la giovane Fausta si ritrova da sola a dover affrontare la condizione di estrema indigenza nella favela di Lima in cui vive e l'irrazionale paura verso il mondo che ,secondo una superstizione locale, ha ereditato dal latte materno a causa della violenza subita dalla genitrice durante i difficili anni della dittatura.
Costretta ad accettare il lavoro di domestica presso la casa di una ricca signora bianca per far fronte alle spese del funerale e soffrendo per i gravi disturbi causati da un rudimentale metodo anticoncezionale, riuscirà con fatica a superare le sue paure ed aprirsi al mondo con un rinnovato canto di fiducia e di speranza.
Nipote d'arte (il nonno è il premio nobel per la Letteratura Mario Vargas Llosa) e discendente della buona borghesia peruviana, la giovane Claudia Llosa centra il bersaglio grosso (Orso d'oro al Festival di Berlino 2009 e miglior film straniero agli Oscar 2010) con questo dramma intimo e sociale che vibra degli accenti lirici di una tradizione popolare in cui si mescolano insieme le radici di una profonda spiritualità ancestrale e le drammatiche ricadute di una segregazione civile che la tormentata storia delle popolazioni indio dell'America Latina si porta dietro ben prima dei rivolgimenti politici ed autocratici degli anni '80. Frutto di un soggetto e di una sceneggiatura che alternano con equilibrio e competenza tanto le ragioni più autentiche del cinema di impegno civile (la marginalità sociale delle popolazioni autoctone, le sperequazioni sociali ed economiche di una borghesia europea dominante, le spaventose ricadute di una sottocultura di ignoranza e di paura, il retaggio di un'epoca buia di terrore e sopraffazione) che l'accorata drammaturgia di un racconto di formazione ed emancipazione sessuale, il film della Llosa si cimenta come un piccolo saggio antropologico nelle ragioni di una materia tanto difficile quanto (apparentemente) scontata, giocandosi la carta della poesia quale chiave di interpretazione di un mondo di sofferenze ed umiliazioni in cui precipita sin da subito (il film si apre con la dolorosa morte della madre) la sua bellissima ed indifesa protagonista. Se l'atteggiamento di una sfaccettata sensibilità femminile (è una storia quasi escusivamente abitata da donne) e l'ingenuità di alcune soluzioni figurative danno al film un registro latamente ricattatorio (il peso di una dolorosa eredità che la giovane Fausta è chiamata da sola a scrollarsi di dosso), rimane il valore autentico e prezioso di un realismo magico che alterna con straordinaria maturità il naturalismo della descrizione d'ambiente (la favela, l'inumazione del corpo della madre, il matrimonio della cugina, i costumi e l'ipocrisia della ricca borghesia bianca) con le sottigliezze di uno studio psicologico in cui i silenzi e gli sguardi della protagonista sono più eloquenti dei riferimenti simbolici evocati delle struggenti nenie che vorrebbero esorcizzare le paure verso un mondo sconosciuto e ostile.
Forse eccessivamente appesantito da questi sottotesti legati alla fertilità della donna (nella cui vagina possono pure germogliare le patate,sic!) come elemento vitale e liberatorio da una cultura oppressiva e mortificante e vincolato ad una struttura narrativa con alcuni evidenti passaggi a vuoto ed altri inseriti a forza, è un film singolare e discontinuo che si aggrappa allo sguardo meraviglioso ed incantato della sua ingenua protagonista, una Magaly Solier nella cui dolorosa biografia la regista ha rinvenuto gli elementi identificativi del personaggio che aveva in mente per la giovane Fausta e che le hanno di fatto aperto le porte del cinema internazionale. Bellissime le musiche di Selma Mutal che, insieme alla regista e autrice ed alla direttrice della fotografia Natasha Brier compongono un cast tecnico tutto al femminile. Oltre ai riconoscimenti già ricordati anche il PREMIO FIPRESCI per la Llosa alla Berlinale 2009.
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mirco pasqualotto
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lunedì 14 marzo 2011
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sembra un documentario…
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A mio parere è un film che si lascia guardare ma chiedendo all'osservatore un certo impegno, perché spesso risulta frammentario e si corre il rischio di perdersi nei propri pensieri perdendo l'attenzione richiesta che merita.
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A mio parere è un film che si lascia guardare ma chiedendo all'osservatore un certo impegno, perché spesso risulta frammentario e si corre il rischio di perdersi nei propri pensieri perdendo l'attenzione richiesta che merita.
Se non fosse per la bravura del regista con la splendida fotografia e le inquadrature interessanti specialmente i primissimi piani, il film non riuscirebbe ad esprimere appieno tutta la drammaticità che la trama racconta.
Il film riesce ad far mantenere l'attenzione anche se in modo non sempre continuo grazie alla bravura degli attori e regia, perché il film non offre molti colpi di scena ma racconta il particolare momento che sta vivendo Fausta (la protagonista principale del film) passo dopo passo fino alla sua conclusione con un metodo tipico del cosiddetto film d'autore, che molto mi fa pensare ad un documentario.
Ma la sua forza è proprio quella di essere una via di mezzo tra documentario e film così da rendere immagini e suoni testimoni di una realtà da noi poco conosciuta, di un paese distante dal nostro in tutto, con tradizioni popolari, e condizioni di vita difficili mai sufficientemente messe in luce per gli occhi e la coscienza della gente.
Non è un film da vedere per tutti, anzi direi per pochi.
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marezia
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mercoledì 20 maggio 2009
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unico e irripetibile; da una donna per le donne
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Pellicola intimista sorretta da un ottimo ritmo che alterna momenti di grande raccoglimento individuale silenzioso, gestito con un implacabile autocontrollo ad altri collettivi festosi, veramente gioiosi e resi ancor più intensi dal fatto di avere come cornice montagne desolate e una povertà che a noi sembra irreale. Una lunghissima salita resa possibile da migliaia di gradini che si inerpicano su su verso il paradiso dove coabitano vita e morte in una simbiosi musicale perché è il canto il mezzo di espressione dell'anima come dice SPLENDIDAMENTE la recensione di Escobar. Ve ne consiglio la lettura perché è perfetta.
[+] p.s.
(di marezia)
[ - ] p.s.
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