iron79
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sabato 10 ottobre 2015
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western banzai!
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Non è un film di Tarantino... ma lui si vede e si vede anche il suo stile! Scene forti, humor e protagonisti al limite del demenziale ma con gusto. Molti riferimenti al Django Made in Italy ( che a mio parere rimane il migliore in assoluto, anche rispetto al colossal di Tarantino) e allo spaghetti western in generale. Apprezzabili anche gli "errori volontari" per richiamare i veri errrori dei film a cui rende omaggio. Visione consigliata!
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blackdragon89
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lunedì 21 gennaio 2013
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l'umoristico ed utopico western secondo miike
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Un pistolero senza nome piomba in una cittadina deserta scossa dall'interminabile guerra tra due clan; da una parte i Genji, i Rossi, comandati dal tanto vigliacco quanto fortunato Kiyomori, dall'altra gli Heike, i Bianchi, alla cui leadership vi è il raffinato Yoshitsune, impeccabile killer e maestro di spada. Volente o nolente il protagonista finirà dritto tra le fauci della diatriba, forzando così le parti a decidere la propria sorte tramite un ultimo, violento scontro sul campo.
Chiaro e lampante omaggio ai vecchi spaghetti-western, il film ripercorre in maniera rivisitata le vicende del pluriosannato "Django" di Sergio Corbucci, diretto nel lontano 1966.
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Un pistolero senza nome piomba in una cittadina deserta scossa dall'interminabile guerra tra due clan; da una parte i Genji, i Rossi, comandati dal tanto vigliacco quanto fortunato Kiyomori, dall'altra gli Heike, i Bianchi, alla cui leadership vi è il raffinato Yoshitsune, impeccabile killer e maestro di spada. Volente o nolente il protagonista finirà dritto tra le fauci della diatriba, forzando così le parti a decidere la propria sorte tramite un ultimo, violento scontro sul campo.
Chiaro e lampante omaggio ai vecchi spaghetti-western, il film ripercorre in maniera rivisitata le vicende del pluriosannato "Django" di Sergio Corbucci, diretto nel lontano 1966. I riferimenti sono molti: il confronto tra due bande (di cui vengono ripresi persino i colori), la scazzottata nel saloon, il tema musicale e una potentissima arma celata in una bara di legno. Il regista giapponese amalgama le vecchie tradizioni, lo zampino di Quentin Tarantino (qui anche interprete) e una dose di umorismo soprannaturale al fine di realizzare un prodotto di stile nuovo, seppur assai sperimentale. E così ci si ritrova in una cittadina del vecchio west, abitata da giapponesi con piercing e katane, da uno sceriffo con doppia personalità e da un'accozzaglia infinita di inserzioni fantasiose, che insieme creano un mondo diverso e del tutto singolare.
La melassa tuttavia risulta parecchio difficile da digerire, specie nei tempi; due ore sono fin troppe per un humor-western, tanto che si ha la netta sensazione che alcuni eventi siano cronologicamente dilungativi e che sfocino il più delle volte nel superfluo. Senza contare poi che la prima ora è decisamente piatta e priva di narrativa stimolante, in quanto atta solamente a fornire un background generico alla vicenda. Molto da ridire anche sulla sceneggiatura, che si dimostra alquanto altalenante, passando da discorsi di innegabile bellezza a frasi insensate poste "a casaccio". Non è comunque tutto da buttare; il cast si presta degno dell'interpretazione e il montaggio grafico è superbo, con giochi di luce che riescono in ogni modo a far rivivere le magie di un'ambientazione selvaggia.
In definitiva, "Sukiyaki Western Django" è un prodotto mediocre, il cui vero scopo è soddisfare i desideri cinematografici di Miike, da sempre fan del western all'italiana, tanto che vi dedicherà anche l'ultima, immancabile didascalia.
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nick castle
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lunedì 28 febbraio 2011
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ah dimenticavo...
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Non credo che il vecchio Sergio Leone si sentirebbe proprio onorato da questo film, anzi, conoscendo il suo carattere, lo sento già dire, "Ammazza sta' cagata". Comunque per chi lo volesse vedere il film in questo periodo è in programmazzione sul canale satellitare CULT.
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nick castle
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lunedì 28 febbraio 2011
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insomma...
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Mah, insomma, un lavoro non troppo lusinghiero per Takashi Miike questo tentativo di omaggio-citazione lungo 100 minuti (121 nell'edizione integrale) dei vecchi western all'italiana. Dopo lo spaghetti-western, c'è chi ha azzardato il burrito-western (western messicano), non troppo riuscito però, Miike tenta un western giapponese, il Sukiyaki western, che purtroppo risulta spaccato a metà, dove la prima parte lenta e un po' barbosa si susseguono flashback, fotografia dai colori spannati e schizzati quà e là in stile Jackson Pollock, scenografie palesemente finte (intendo proprio di cartone, comunque un effetto voluto credo...), ridicolaggini a non finire e dialoghi da parodia.
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Mah, insomma, un lavoro non troppo lusinghiero per Takashi Miike questo tentativo di omaggio-citazione lungo 100 minuti (121 nell'edizione integrale) dei vecchi western all'italiana. Dopo lo spaghetti-western, c'è chi ha azzardato il burrito-western (western messicano), non troppo riuscito però, Miike tenta un western giapponese, il Sukiyaki western, che purtroppo risulta spaccato a metà, dove la prima parte lenta e un po' barbosa si susseguono flashback, fotografia dai colori spannati e schizzati quà e là in stile Jackson Pollock, scenografie palesemente finte (intendo proprio di cartone, comunque un effetto voluto credo...), ridicolaggini a non finire e dialoghi da parodia. Mentre la seconda parte prende ritmo, nerbo, Miike gioca le sue carte con furbizia, mostra il mostrabile e lascia indietro il contestabile, mettendo in piedi un avamposto senza tempo nel giappone feudale, in cui due clan si contendono il potere e un pistolero solitario alla Clint Eastwood porta scompiglio e si guadagna l'oro della leggenda del villaggio. Solo un cieco potrebbe non riconoscere le citazioni a Django e Per un pugno di dollari, ma persino "Mezzogiorno e mezzo di fuoco" di Mel Brooks viene chiamato a raccolta (lo sceriffo schizofrenico). Nel complesso un oprazione troppo compiaciuta per essere credibile e ammirabile, se Miike avesse pensato a una storia originale, ornando il tutto con una regia più fluida e una fotografia e un montaggio meno convulsi e lasciando da parte le stravaganze più esagerate e curando sopratutto il contesto spazio-temporale (un cowboy nel giappone feudale suona molto strano per non dire ridicolo...), questa pellicola sarebbe diventata un capolavoro. Immancabile la cover nei titoli di coda della canzone tema di Django di Rocky Roberts. Per concludere, un film riuscito a metà, senza infamia nè gloria.
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gus da mosca
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sabato 22 novembre 2008
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infanzia di django
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Il film richiede una preparazione culturale prima della visione: bisognerebbe almeno guardarsi i capitoli salienti del western all'italiana (non meno di una trentina di film, inclusi ovviamente Django ed Il Grande Silenzio) ed aggiungere anche le 3 o 4 opere fondamentali del moderno cinema "samurai". Inoltre si deve liberare la mente da qualsiasi preconcetto stilistico. Solo in questo modo non si verra' visivamente violentati e sopraffatti da questa fantasmagorica opera di Takashi, che lascia increduli davanti al parossismo del colore e dell'azione scenica. Non c'e' mediazione tra gli estremi: l'azione violenta diventa la frazione infinitesima tra 2 scene assolutamente statiche, la gradazione di colore si annulla nella solarizzazione, che assume vertiginose tonalita' artificiali durante i numerosi flashback.
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Il film richiede una preparazione culturale prima della visione: bisognerebbe almeno guardarsi i capitoli salienti del western all'italiana (non meno di una trentina di film, inclusi ovviamente Django ed Il Grande Silenzio) ed aggiungere anche le 3 o 4 opere fondamentali del moderno cinema "samurai". Inoltre si deve liberare la mente da qualsiasi preconcetto stilistico. Solo in questo modo non si verra' visivamente violentati e sopraffatti da questa fantasmagorica opera di Takashi, che lascia increduli davanti al parossismo del colore e dell'azione scenica. Non c'e' mediazione tra gli estremi: l'azione violenta diventa la frazione infinitesima tra 2 scene assolutamente statiche, la gradazione di colore si annulla nella solarizzazione, che assume vertiginose tonalita' artificiali durante i numerosi flashback. A questo si potrebbero aggiungere molti altri aspetti, giocati su di un voluto contrasto surreale: la scenografia western sullo sfondo del Fujiama, la recitazione inglese con accento giapponese, i duelli di katana e pistola... Non guardate questo film per trovare storia o azione o sangue o battute o citazioni o Tarantino, tutti questi elementi sono usati soltanto per una grandiosa operazione stilistica, unica. Un film libero, fuori da ogni schema e stile, che si traduce in una vera sfida, per un pubblico disposto ad inseguire Takashi nelle sue grottesche visioni cinematografiche. (5 stelle al coraggio di fare del cinema innovativo, senza "l'alibi" dei contenuti a tutti i costi)
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g eight
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lunedì 4 febbraio 2008
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ehi!
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ma è uscito? dove quando? in italiano?
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nicola a.
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sabato 8 settembre 2007
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takashi: a venezia un film geniale.
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Takashi, con l'amico Tarantino, riesce a trarre da un rischioso mix di generi (villaggi giapponesi in Nevada, con revolver e katane) una pellicola pregevole, per molti versi tarantiniana, che riesce ad infondere i pricipi e i valori giapponesi nel rude ambiente western.
Il film ha inizio con una sorta d'introduzione, dove compare Tarantino nei panni di Piringo, il cowboy leggendario, coperto da un poncho familiare... e il pubblico in sala applaude questa scena intrisa dell'umorismo e dello stile tipico di Tarantino.
Si continua poi con lo svolgimento del film e Takashi riesce a portare in un'America abitata da giapponesi una trama che richiama perfino lo Shakespeare dell'Enrico VI (la famosa Guerra delle Due Rose); le scene sono girate sotto una regia magistrale e sapiente, con ambientazioni dai colori forti e gli eventi, tra colpi di scena e duelli epici, sono omaggi innovativi, alla maniera di Takashi e Tarantino, al Leone nazionale e al suo Western.
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Takashi, con l'amico Tarantino, riesce a trarre da un rischioso mix di generi (villaggi giapponesi in Nevada, con revolver e katane) una pellicola pregevole, per molti versi tarantiniana, che riesce ad infondere i pricipi e i valori giapponesi nel rude ambiente western.
Il film ha inizio con una sorta d'introduzione, dove compare Tarantino nei panni di Piringo, il cowboy leggendario, coperto da un poncho familiare... e il pubblico in sala applaude questa scena intrisa dell'umorismo e dello stile tipico di Tarantino.
Si continua poi con lo svolgimento del film e Takashi riesce a portare in un'America abitata da giapponesi una trama che richiama perfino lo Shakespeare dell'Enrico VI (la famosa Guerra delle Due Rose); le scene sono girate sotto una regia magistrale e sapiente, con ambientazioni dai colori forti e gli eventi, tra colpi di scena e duelli epici, sono omaggi innovativi, alla maniera di Takashi e Tarantino, al Leone nazionale e al suo Western.
Alla fine del film il pubblico sorprende anche gli stessi attori, presenti in sala con Takashi-sensei, per lo scroscio di applausi durato svariati minuti. La critica in genere ha stroncato il film, magari con un po' di asprezza per le dichiarazioni di Tarantino sul cinema italiano, e sconsiglio questo film ai conservatori e agli amanti del puro naturalismo in scena. Questo è un film di Takashi con Tarantino, si può amare alla follia come disprezzare, e non è solo zeppo di citazioni, ma è fatto con uno stile nuovo... Magari anche per far capire ai produttori italian: Bisogna innovare!
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