getulio
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lunedì 6 novembre 2006
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un protagonista decadente in un sogno decaduto.
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Il centro nevralgico del film non è una storia di droga, discorsi paranici e disperazione. Non è una storia di redenzione, nè di controllo orwelliano. E non è neppure la manifestazione di quello che può significare per un tossicodipendente il percorso di riabilitazione al mondo reale.
La chiave di "A scanner darkly", che ben include, ma sullo sfondo, anche queste altre cose, è invece costituita da quel dramma che si annida in ogni persona dotata di senso critico.
"A scanner darkly" è il malessere che ogni uomo, ogni sognatore, ogni tossico, sente nell'anima.
In breve, il dilemma da cui si parte, e che sovrano intride tutto l'impianto della storia, seppur in modo implicito, è costiutito dall'intimo processo di accettazione della società borghese.
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Il centro nevralgico del film non è una storia di droga, discorsi paranici e disperazione. Non è una storia di redenzione, nè di controllo orwelliano. E non è neppure la manifestazione di quello che può significare per un tossicodipendente il percorso di riabilitazione al mondo reale.
La chiave di "A scanner darkly", che ben include, ma sullo sfondo, anche queste altre cose, è invece costituita da quel dramma che si annida in ogni persona dotata di senso critico.
"A scanner darkly" è il malessere che ogni uomo, ogni sognatore, ogni tossico, sente nell'anima.
In breve, il dilemma da cui si parte, e che sovrano intride tutto l'impianto della storia, seppur in modo implicito, è costiutito dall'intimo processo di accettazione della società borghese. Anzi, della società e basta, perchè ormai si rientra tutti nel ceto medio: pensionati, precari, politici, operai, imprenditori, teatranti.
Il tema, se c'è un tema, è questo, e ci investe continuamente lo spettatore attraverso la conduzione delle possibili soluzioni al dilemma, tutte fallaci: dalla grettezza di una individuale, gallinacea accettazione del mondo, all'antinomica reazione, la fuga, lo spleen baudeleriano e altri ultra-concetti del genere.
Questo tema emerge immediatamente, sin dalla prima apparizione del protagonista, che è condannato, come gli altri personaggi, ad un totale isolamento.
Egli, del resto, ha rifiutato la sua falciatrice e il giardino con le bimbe bionde. Galleggia a metà tra le due scelte. Come è giusto che sia. Perchè il protagonista non è altro che la nostra intelligenza, che non riesce a trovare una soluzione per i suoi sogni.. Il vero protagonista è il nostro animo, un animo totale, calato in una possibilità limitata.
Perciò, ciò che ci investe in questa visione, in questa solitudine,a ben pensare, non è tanto quel che ci viene mostrato, ma le cose che ci vengono celate.
Ci si muove nel totale depauperamento di una società, che è cinica e sorda, oppure superficiale e sorda, oppure ancora stordita e inquieta, con le orecchie forse troppo aperte. Non ci sono altre alternative. Insensibilità, o inquietudine. Non esiste una scelta equilibrata.. Una scelta giusta.
Sono i personaggi, i dialoghi e le ambientazioni a delineare questo universo, in cui c'è benessere ovunque, ma non si intravede alcun valore, alcuna umana comprensione, alcun atto di amicizia. In una parola, nessuna traccia dell'amore.
Dei nostri sogni, nessuna traccia.
All'inizio del film, la platea se ne va a mangiare immediatamente dopo il primo monologo del protagonista, senza riflettere un istante, dopo aver applaudito con ilarità le idiote frasi conclusive del capo-comitato/capo-quartiere che chiosa goffamente il discorso di Reeves.
Alla fine del film, il superiore "Hank" dice alla W.Rider che una vita conta poco, se sacrificata al servizio di una causa più vasta.
Il film, claustrofobico sin dalla prima scena, visionario, stroboscopico, ironico, propone in questo modo i due ideali dell'idiozia: da una parte la superficialità, che si manifesta in pregiudizio, stereotipo e accettazione; dall'altra uno smisurato, rivoltante egoismo.
L'idiozia e il cinismo, la sopravvivenza e il cuore, e noi si galleggia a metà. Come sempre, con quel delicatissimo nervo scoperto più giù, sotto, al buio. La si potrebbe anche chiamare tenebra.
Tiziano Sclavi, uno degli ultimi sognatori, direbbe forse che a questa tenebra si può uscire soltanto attraverso due vie.. L'inevitabile morte - O l'amore.
-A Laura.
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sabato 23 giugno 2007
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dick sullo schermo
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Certo l'operazione cinematografica più fedele allo spirito dickiano. Fedele e rispettosa dell'opera e dell'autore, opera già di per se complessa nel suo vasto panorama lettereario, prodotto in soli 30 anni.
Per quanto discutibile la scelta della versione a cartoon (... de gustibus) una volta visto "A Scanner Darkly" e colta finalmente la vena creativa e profondamente critica di Philip Kindred Dick non si può continuare dconcedere attenzioni a idolatri di film quali "Blade Runner" o "Minority Report" ed interpretare tali distorsioni cinematografiche se non come vere profanazioni della complessa eredità di uno dei più grandi geni letterari del XX secolo.
Chi critica la sceneggiatura e la stuttura narrativa di "Scanner darkly" non può che far altro che continuare apprezzare film tarati per l'alto consumo americano, ma è meglio che trascuri completamente qualsiasi opera lettereraria a cui questo continuamente si ispira.
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francesco manca
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martedì 5 agosto 2008
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"il reale, l'immaginario e l'allucinato"
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Il Reale e L’Immaginario si mescolano in un viaggio allucinato che esplora la pazzia, incubi ed enigmi psicologici.
Così si potrebbe definire l’opera ambigua e fumettistica di Richard Linklater, che non è nuovo ad utilizzare un formato cinematografico quantomeno insolito, quello dell’Interpolated rotoscoping, vale a dire, riprendere gli attori in live-action per poi “ritoccarli” con l’animazione grafica digitale, che abbiamo già avuto modo di ammirare nella sua precedente pellicola “sperimentale” dal titolo “Walking Life”(2001).
“A Scanner Darkly”, tratto dall’omonimo capolavoro letterario di Philip K. Dick, è, più di qualunque altra cosa, una riflessione sulla società americana odierna, e basandosi su questa tesi, il regista rivolge, forse anche implicitamente, una critica verso il sistema, e lo fa attraverso la sostanza stupefacente simbolo dell’opera di Dick e dello stesso film, che viene denominata “Sostanza M”; questa pellicola ci trasporta in una “realtà” a noi totalmente estranea, verso la quale ci sentiamo stranamente ostili e disorientati, perché forse la “falsa realtà” che ci viene presentata nel film di Linklater non ci appartiene e quindi non troviamo punti d’accordo, o forse, contrariamente, ci appartiene ma non ce ne rendiamo conto.
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Il Reale e L’Immaginario si mescolano in un viaggio allucinato che esplora la pazzia, incubi ed enigmi psicologici.
Così si potrebbe definire l’opera ambigua e fumettistica di Richard Linklater, che non è nuovo ad utilizzare un formato cinematografico quantomeno insolito, quello dell’Interpolated rotoscoping, vale a dire, riprendere gli attori in live-action per poi “ritoccarli” con l’animazione grafica digitale, che abbiamo già avuto modo di ammirare nella sua precedente pellicola “sperimentale” dal titolo “Walking Life”(2001).
“A Scanner Darkly”, tratto dall’omonimo capolavoro letterario di Philip K. Dick, è, più di qualunque altra cosa, una riflessione sulla società americana odierna, e basandosi su questa tesi, il regista rivolge, forse anche implicitamente, una critica verso il sistema, e lo fa attraverso la sostanza stupefacente simbolo dell’opera di Dick e dello stesso film, che viene denominata “Sostanza M”; questa pellicola ci trasporta in una “realtà” a noi totalmente estranea, verso la quale ci sentiamo stranamente ostili e disorientati, perché forse la “falsa realtà” che ci viene presentata nel film di Linklater non ci appartiene e quindi non troviamo punti d’accordo, o forse, contrariamente, ci appartiene ma non ce ne rendiamo conto. La confusione e l’allucinazione che ci viene presentata in “A Scanner Darkly” è figlia di una (non) coerenza narrativa sballata ma allo stesso tempo, e aggiungerei, proprio per questo, affascinante, perché dimostra di avere coraggio nell’uscire fuori dagli schemi “romanzeschi” che hanno caratterizzato gran parte delle pellicole tratta appunto di opere letterarie o da fumetti.
Un altro particolare che incuriosisce molto e nello stesso tempo, sconvolge, è la rappresentazione così maniacale e (furbescamente) eccessiva che il regista ha attuato; la magistrale opera di Philip K. Dick è trasposta sullo schermo in modo molto (forse anche troppo) fedele, ma che pur essendo di data non più recentissima, risulta incredibilmente attuale e di una modernità assoluta. I principali interpreti della pellicola non sono mai stati così istrionici e camaleontici come lo sono qui, a cominciare da un Keanu Reeves che si discosta finalmente dal personaggio di Neo della trilogia di “Matrix” dei fratelli Wachowski, per entrare nei panni di un personaggio molto più eclettico e psicologicamente più complesso, riuscendo a tratteggiare una personalità lugubre, torbida e oscura che entra di diritto nell’immaginario collettivo, o almeno di coloro che sono riusciti nell’intento di cogliere il messaggio del film. Non sono da meno i bravissimi Robert Downey Jr., anch’esso in un ruolo difficile e più che apprezzabile, Woody Harrelson in gran forma e perfettamente calato nei panni del tossico schizofrenico, l’eclettica Winona Ryder, che si risulta molto bella e molto brava anche in versione animata e l’allucinato Rory Cochrane.
Il messaggio, per nulla sottinteso, che questa pellicola ci vuole trasmettere, sta nella sequenza cruciale a circa metà film, che vede il protagonista Bob Arctor perfettamente in sintonia con la sua famiglia, finche, dopo essere andato a prendere una confezione di pop corn nella credenza, sbatte la testa contro l’anta, e egli stesso asserisce: “Improvvisamente mi resi conto che non odiavo l’anta della credenza, ma era la mia vita, la mia famiglia, il mio giardino, la mia falciatrice quello che odiavo…”.
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unoscuroscrutare
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domenica 19 agosto 2007
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ottimo film
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Non è un capolavoro,ma fa parte di quella piccola branca di film che si avvicinano molto ad esserlo.
Richard Linklater dimostra di essere un bravo regista,ma anche un notevole sceneggiatore,visto come ha adattato così bene il libro di Dick.
Bravissimi gli attori:sopratutto Keanu Reeves(che nel flashback della sua precedente vita lascia di sasso)e Winona Rider(che ha girato tutte le scene di Hank sembrando veramente un uomo,rendendo ancora più inaspettato il finale).
Un film,che nonostante sembri fantascientifico,in realtà è crudelmente attuale.
Una curiosità:Philip K. Dick era dipendente dalle anfetamine:questo rende ancora più bello il film.
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cantastorie
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lunedì 15 febbraio 2010
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"io ho visto la morte sorgere dalla terra,
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dalla superficie della terra... in un'unico gambo azzurro. Un regalo per i miei amici, per ringraziamento". E' così a chiudersi A Scanner Darkly in un ultimo colpo di poesia che brucia come fiamma viva sulla pelle. Chi è assueffatto da una grafica alla Pixar o conosce bene uno stile alla Studio Ghibli, le prime scene sono ipnotizzanti e magnetiche, colpiscono in pieno petto facendo mancar l'aria. Si resta ammirati, anzi, soggiogati a bocca aperta e piano piano si entra in quel mondo: mondo in cui tutti sono dipendenti da qualcosa, specie dalla droga; in cui il potere centrale lotta maniacalmente contro i dipendenti osservando e indagando su tutti, schiacciando la privacy dei propri cari cittadini a fin di bene, mentre su altri fronti combatte una guerra contro i papabili smerciatori di narcotici.
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dalla superficie della terra... in un'unico gambo azzurro. Un regalo per i miei amici, per ringraziamento". E' così a chiudersi A Scanner Darkly in un ultimo colpo di poesia che brucia come fiamma viva sulla pelle. Chi è assueffatto da una grafica alla Pixar o conosce bene uno stile alla Studio Ghibli, le prime scene sono ipnotizzanti e magnetiche, colpiscono in pieno petto facendo mancar l'aria. Si resta ammirati, anzi, soggiogati a bocca aperta e piano piano si entra in quel mondo: mondo in cui tutti sono dipendenti da qualcosa, specie dalla droga; in cui il potere centrale lotta maniacalmente contro i dipendenti osservando e indagando su tutti, schiacciando la privacy dei propri cari cittadini a fin di bene, mentre su altri fronti combatte una guerra contro i papabili smerciatori di narcotici.
Il protagonista è Arctor, infiltrato della narcotici nascosto da una tuta cangiante che ne impedisce il riconoscimento, il quale inizia ad usare e poi abusare di D (o M nella versione italiana), la nuova droga: death, morte celebrale. Spia di se stesso, in un vortice di confusione, sconcerto e sorda apatia, Arctor finisce per distruggersi e farsi internare: non voglio svelare il dolentissimo finale. Mi limiterò a commentarlo: in un certo senso banale, ce lo si poteva aspettare. Del resto, il romanzo di Dick non è fantascientifico ma parte dalla realtà, quindi ad una conclusione del genere si arriva con il solo ragionamento. Come sempre, nella realtà e nella finzione, sono le prove a mancare. Ma contemporaneamente è doloroso e lo è reso ancor di più dalla splendida interpretazione di K. Reeves. In realtà bisogna dire che tutti, dalla Ryder a Downey Jr a Harrelson sono precisi e quantomai appropriati nella loro recitazione, caratterizzando gestualmente ogni personaggio. Ciò che ha di particolare questo film è l'effetto che crea la sua composizione tecnico-estetica: il movimento dei colori nelle scene, i dialoghi, la musica, la recitazione creano una vaga confusione che si propaga tra lo schermo e lo spettatore, inebetendolo. E' come essere, per 100 minuti, sotto l'effetto di D. E' entrare in quel mondo e volerne fuggire al più presto, allarmati dal senso critico.
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cinemalove
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martedì 24 marzo 2015
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dissimulazione
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La prima spontanea domanda appena terminato il film è stata: E' in grado l'uomo di determinare con esattezza la linea che sepera la realtà dal "falso"? O meglio, vi è davvero una differenza sostanziale o sono solo le parole ad essere radicalmente opposte come significato?. Nell'ora e mezza che propone Linklater si può intuire la sua personale (o quella di Dick) risposta alla domanda, e cioè niente è diviso dalla famosa linea, ma tutto è mescolato pronto ad esplodere se sollecitato. Il protagonista, Robert Arctor, abusando di una fantomatica sostanza denominata "Sostanza M", spinge la non realtà a prevalere nel mucchio prima citato,senza accorgersi del declino imminente.
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La prima spontanea domanda appena terminato il film è stata: E' in grado l'uomo di determinare con esattezza la linea che sepera la realtà dal "falso"? O meglio, vi è davvero una differenza sostanziale o sono solo le parole ad essere radicalmente opposte come significato?. Nell'ora e mezza che propone Linklater si può intuire la sua personale (o quella di Dick) risposta alla domanda, e cioè niente è diviso dalla famosa linea, ma tutto è mescolato pronto ad esplodere se sollecitato. Il protagonista, Robert Arctor, abusando di una fantomatica sostanza denominata "Sostanza M", spinge la non realtà a prevalere nel mucchio prima citato,senza accorgersi del declino imminente. Arctor interpretato da Reeves, rende magnificamente l'idea del caos: sguardo semi vuoto, paranoie, movimenti quasi automatizzati..fino a passare ad un letto distacco dai propri interessi, perdendo appunto interesse in questi ultimi. Il film arriva dove doveva, dritto a creare domande a cui nessuno può rispondere se non supporre. Senza fondamento.
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khaleb83
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lunedì 19 gennaio 2015
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sorprendente
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Davvero un ottimo lavoro: d'altronde, quando c'è la firma di P.K. Dick, se l'opera originale non viene ampiamente tradita (cosa che purtroppo non è infrequente) ma solo adattata a dovere, il risultato è garantito.
La scelta grafica inizialmente potrebbe spiazzare, ma bisogna ammettere che a lungo andare paga, consentendo anche di rendere alcuni elementi del film in maniera sensata senza ricorrere a effetti che, con una regia e una fotografia convenzionali, difficilmente avrebbero reso l'idea. Inoltre, aiuta a superare le note incapacità espressive di Reeves: tra un personaggio parzialmente apatico e l'effetto disegnato che ne ricalca le espressioni, pare di vedere un attore vero e proprio.
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Davvero un ottimo lavoro: d'altronde, quando c'è la firma di P.K. Dick, se l'opera originale non viene ampiamente tradita (cosa che purtroppo non è infrequente) ma solo adattata a dovere, il risultato è garantito.
La scelta grafica inizialmente potrebbe spiazzare, ma bisogna ammettere che a lungo andare paga, consentendo anche di rendere alcuni elementi del film in maniera sensata senza ricorrere a effetti che, con una regia e una fotografia convenzionali, difficilmente avrebbero reso l'idea. Inoltre, aiuta a superare le note incapacità espressive di Reeves: tra un personaggio parzialmente apatico e l'effetto disegnato che ne ricalca le espressioni, pare di vedere un attore vero e proprio.
Innegabile che comunque la scena sia rubata da Downey Jr., e quando presente anche da Harrelson, probabilmente il miglior attore dell'intero cast e bravissimo a rendere l'idea del tossicodipendente completamente "bruciato", senza farne una macchietta fine a sé stessa (per lo meno per il ristretto spazio che ha).
Intrigante la sceneggiatura, anche se verso il finale forse un po' troppo rallentata; colpi di scena centellinati ma efficaci, un film non certo frenetico ma che riesce a trovare un suo ritmo ideale.
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nikki
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lunedì 19 febbraio 2007
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a scanner dickly
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Sostanza M ossia morte... più che una droga è la droga, la materializzazione dell'oscuro intento di chi muove le fila della nostra società: il controllo delle nostre menti. Fred/Bob Arctor spia/spiato è il protagonista di questa storia psichedelica allucinata che magistralmente traduce in immagini l'opera omnia e autobiografica del grande Philip K. Dick (a scanner darkly). Fred/Bob, agente infiltrato della narcotici, viene incaricato di indagare sui traffici di droga di appartenente ad un gruppo di schizzati amici "per la droga". Con il passare dei fotogrammi Fred/Bob scopre che sta spiando ed investigando se stesso e progressivamente, aiutato dal massiccio consumo di sostanza M, cade in un profondo stato di paranoia che finirà per sottometterlo e ridurlo all'ombra di se stesso.
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Sostanza M ossia morte... più che una droga è la droga, la materializzazione dell'oscuro intento di chi muove le fila della nostra società: il controllo delle nostre menti. Fred/Bob Arctor spia/spiato è il protagonista di questa storia psichedelica allucinata che magistralmente traduce in immagini l'opera omnia e autobiografica del grande Philip K. Dick (a scanner darkly). Fred/Bob, agente infiltrato della narcotici, viene incaricato di indagare sui traffici di droga di appartenente ad un gruppo di schizzati amici "per la droga". Con il passare dei fotogrammi Fred/Bob scopre che sta spiando ed investigando se stesso e progressivamente, aiutato dal massiccio consumo di sostanza M, cade in un profondo stato di paranoia che finirà per sottometterlo e ridurlo all'ombra di se stesso. Questa sua condizione spinge la sua pseudofidanzata a ricoverarlo presso Il Nuovo Sentiero, centro di disintossicazione che combatte la diffusione della sostanza M e delle altre droghe. La dirigenza del Nuovo Sentiero, credendo ormai Fred/bob sull'orlo del totale annichilimento, lo trasferisce in una "fattoria" che in realtà si rivela un centro in cui Il Nuovo Sentiero, che predica contro la droga e la sostanza M, coltiva il fiore della sostanza M.........
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(di giorgio - roma)
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