Kill Bill - Volume 1 |
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Un film di Quentin Tarantino.
Con Uma Thurman, David Carradine, Daryl Hannah, Michael Madsen, Vivica A. Fox.
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Titolo originale Kill Bill - Volume 1.
Azione,
durata 110 min.
- USA 2003.
MYMONETRO
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specchio dei nostri tempi
di marcuss79Feedback: 0 |
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venerdì 2 luglio 2004 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Scintillante ed eccessivo film di Tarantino (il quarto, come si ostina a ripetere in ogni dove), omaggio ed elogio ai suoi miti adolescenziali: i martial-arts movie di Hong Kong, i giallo-movie italiani, il blaxploitation anni ’70, senza dimenticare i manga giapponesi. Sublime per alcuni, repellente per altri è un film specchio dei nostri tempi: la verosimiglianza va a farsi benedire dopo 30 secondi e lo schermo si riempie in continuazione di qualsiasi cosa possa riempirlo, in un trionfo dell’horror vacui più barocco. La camera non sta mai ferma, i duelli sono tanti (troppi), i sentimenti, seppur grossolanamente fatti intendere, ci sono e l’azione, coordinata dal creatore dei duelli di Matrix, è discretamente coinvolgente. Quello che non convince è il pastiche di generi, l’autocompiacimento del regista, una sceneggiatura bucherellata che si spera il secondo film possa riabilitare, ma soprattutto il delirio dei fan e di buona parte della critica. Una volta si diceva che un capolavoro si poteva riconoscere grazie alla ben definita sensazione che, in quell'opera, nulla avrebbe potuto essere aggiunto e nulla avrebbe potuto essere tolto, senza rovinarla. In "Kill Bill" invece è tutto il contrario: si può aggiungere o togliere qualsiasi cosa e la sostanza non cambia. Si consideri il duello finale tra la Thurman e Lucy Liu: il sottofondo iniziale è una notissima canzone dei Santa Esmeralda, ma se Tarantino l'avesse sostiuita con una canzone di Mariah Carey o con "Sarà perchè ti amo" dei Ricchi e poveri, ci sarebbe stato comunque qualcuno che avrebbe urlato al genio. Togli uno degli 88 ninja e cosa cambia? Nulla. Aggiungine uno, due, tre, quattro e il risultato è sempre lo stesso. Senza contare lo show dei feticci sessuali del regista: dai piedi femminili (inspiegabilmente osannati quelli ossuti della Thurman), alle donne amazzoni, dalla infermiera con le autoreggenti bianche alle scolarette giapponesine, dalle donne-manga al bondage. Nulla di scandaloso comunque, tra bracci e arti che saltano per aria con fontane di sangue al seguito, ma solo una buona dose di cinema moderno, con montaggio frenetico, coreografie belliche sempre uguali, facili valori (la vendetta, che valore…) e solennità artificiali, tali da tenere lo spettatore a naso all’insù per due ore, senza capire cosa sta realmente guardando. Ma al pubblico, ormai, piace così. Tra i tarantiniani entra di diritto anche Quentin, che ormai se stesso. Più che un capolavoro, una curiosità antropologica.
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