vania
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sabato 26 febbraio 2005
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il mito, la storia, la favola eterna nella realtà
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Il progetto è ambizioso come spesso accade a Bertolucci, raccontare la leggendaria vita di Siddharta, incastonata come una pietra preziosa in una vicenda ambientata ai giorni nostri. Il contrasto è netto, temporale, geografico, culturale, persino cromatico, a sottolinearne le distanze. Il tema è la ricerca del reincarnato di un venerabile maestro buddista, il Lama Dorje, scomparso nove anni addietro. Sulle montagne himalaiane, il rispettato monaco Lama Norbu, riceve la segnalazione dalla lontana Seattle, dove un maestro buddista ha premonizioni inequivocabili in sogno; parte quindi alla ricerca dei segni della presenza della mente del Lama Dorje in Jesse, figlio di una illuminata coppia di professionisti.
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Il progetto è ambizioso come spesso accade a Bertolucci, raccontare la leggendaria vita di Siddharta, incastonata come una pietra preziosa in una vicenda ambientata ai giorni nostri. Il contrasto è netto, temporale, geografico, culturale, persino cromatico, a sottolinearne le distanze. Il tema è la ricerca del reincarnato di un venerabile maestro buddista, il Lama Dorje, scomparso nove anni addietro. Sulle montagne himalaiane, il rispettato monaco Lama Norbu, riceve la segnalazione dalla lontana Seattle, dove un maestro buddista ha premonizioni inequivocabili in sogno; parte quindi alla ricerca dei segni della presenza della mente del Lama Dorje in Jesse, figlio di una illuminata coppia di professionisti. L’avvicinamento del bambino e la sua famiglia, avviene con la delicatezza e il tatto propri dello spirito buddista, e la vicenda comincia a sdoppiarsi partendo con la narrazione delle gesta di Siddharta al bambino affascinato. A questo punto lo svolgersi della vicenda rischia di cadere in banalità, ma la sensibilità dei monaci e la potenza del racconto, sono tali tanto da coinvolgere anche gli scettici genitori. Inizia un rapporto di fiducia e di reciproca curiosità, il mondo fantastico dell’infanzia, dell’immaginazione e del gioco, si sposano perfettamente alla narrazione della leggendaria vita del Buddha, giustamente interpretato da Keanu Reeves. I fatti narrati sono parte della storia sacra buddista e fanno pensare anche al Siddharta di Hesse. La vita di Siddharta è ben narrata, sia nella struttura, sia nella potenza delle immagini, che nei meravigliosi colori dell’India, le sorprendenti visioni della meditazione sono magistrali.
La narrazione si alterna con le vicende dello studio su Jesse da parte del monaco Norbu e con le verifiche di riconoscimento, nel frattempo ci sono segnalazioni di altri due bambini, e così i nostri partono alla volta dell’Asia; altra prova, il mondo dell’infanzia si incontra e si riconosce subito con naturalezza. Le prove definitive culmineranno nel monastero, dove il verdetto della sorprendente divisione in tre della mente del maestro, filtra un messaggio di universalità e pacificazione tra culture lontane oggi sempre più necessario.
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fabal
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giovedì 23 marzo 2017
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la via di mezzo. quella inesatta
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Una piccola delegazione di monaci buddhisti, capeggiata dall'autorevole Lama Norbu, parte dal Bhutan per recarsi a Seattle. Secondo alcune premonizioni, infatti, il piccolo Jesse sarebbe la reincarnazione di un vecchio maestro. Lama Norbu regala al bambino una storia illustrata sulla vita del Buddha, da cui Jesse rimane affascinato. Ma il maestro Lama Dorje sembra aver scelto più di un bambino per reincarnarsi, e così la ricerca continua anche in Nepal.
Anteporre la forma alla sostanza è un appunto che proprio non si vorrebbe fare al film di Bertolucci, tutt'altro che ingenuo nel trattare il mondo estremo orientale già esplorato, e con una certa profondità, ne L'ultimo Imperatore.
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Una piccola delegazione di monaci buddhisti, capeggiata dall'autorevole Lama Norbu, parte dal Bhutan per recarsi a Seattle. Secondo alcune premonizioni, infatti, il piccolo Jesse sarebbe la reincarnazione di un vecchio maestro. Lama Norbu regala al bambino una storia illustrata sulla vita del Buddha, da cui Jesse rimane affascinato. Ma il maestro Lama Dorje sembra aver scelto più di un bambino per reincarnarsi, e così la ricerca continua anche in Nepal.
Anteporre la forma alla sostanza è un appunto che proprio non si vorrebbe fare al film di Bertolucci, tutt'altro che ingenuo nel trattare il mondo estremo orientale già esplorato, e con una certa profondità, ne L'ultimo Imperatore. Ma considerare il valore contenutistico de il Piccolo Buddha come didascalico sarebbe un'assoluzione troppo generosa. Perché non solo è superficiale, ma a tratti semplicemente errato.
La reincarnazione, termine improprio già per l'atman induista, non c'entra niente col buddhismo, e va a cozzare goffamente con la stessa teoria dell'impermanenza che pure Bertolucci si preoccupa di mostrarci con la suggestione dei Mandala di sabbia: bellissime composizioni richiedenti un interminabile e certosino lavoro, ma che, appena ultimate, verranno distrutte con un gesto della mano. Proprio perché si parla di impermanenza, non si parla di un'anima sostanziale, che non trasmigra né mantiene la coscienza della persona defunta. Un errore purtroppo non marginale, perché sulla reincarnazione si basa tutto il senso della ricerca del film, dal principio alla fine. Un ricerca di sicurezza, di eternità, un attaccamento all'intrinseco che contraddice a priori l'insegnamento del Buddha, e di cui non si può non tenere conto nella valutazione.
Se ci soffermiamo, invece, dal punto di vista formale, Bertolucci non delude. Bravissimo a polarizzare geograficamente Oriente e Occidente, presente e passato, con scelte fotografiche azzeccate e una regia che si cala perfettamente nei differenti ambienti cromatici: quasi tutte in interno le scene a Seattle, con uno sfondo grigio celeste annebbiato e un andamento sordo. Colorate di caldo e dinamiche le sequenze nel Bhutan, o nella fiabesca vita del Buddha interpretata dal volto sereno di Keanu Reeves.
Se il contrasto, insomma, fosse solo visivo, il Piccolo Buddha meriterebbe una sua dignità didattica, in cui lo schematismo e la nota fiabesca sarebbero un pregio per affascinare gli spettatori più giovani. Così, purtroppo non è, e il fascino del film di Bertolucci resta tutto sensoriale, non solo nelle immagini ma anche in un sonoro ben dosato. Bellissima la sequenza della morte del Lama, con i colpi di tamburo e le inquadrature alle raffigurazioni sacre.
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alejazz
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martedì 23 aprile 2019
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conoscere la cultura buddista del butan
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Il Piccolo Buddha nel suo complesso non regala nulla di eccezionale e particolare. Occidente e Oriente sono messi a confronto sia in termini di cultura che di paesaggio. Se da un lato lo scenografo mostra la classica città statunitense costituita da grattacieli, autostrade e comfort della vita moderna, dall’altro lato c’è l’Asia buddista dove le città sono più a misura d’uomo e la povertà è qualcosa all’ordine del giorno.
Ma dunque qual è il messaggio del film? Per scoprirlo occorre attendere l’ultima scena; è possibile, anche per l’americano radicato nella cultura occidentale, la conversione alla reincarnazione…
Piccolo Buddha di Bernando Bertolucci è un film che ad una prima analisi può restare insapore; oltre al confronto spontaneo tra mondo occidentale e orientale sia in termini paesaggistici che culturali, sembra che non vi sia altro d'aggiungere.
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Il Piccolo Buddha nel suo complesso non regala nulla di eccezionale e particolare. Occidente e Oriente sono messi a confronto sia in termini di cultura che di paesaggio. Se da un lato lo scenografo mostra la classica città statunitense costituita da grattacieli, autostrade e comfort della vita moderna, dall’altro lato c’è l’Asia buddista dove le città sono più a misura d’uomo e la povertà è qualcosa all’ordine del giorno.
Ma dunque qual è il messaggio del film? Per scoprirlo occorre attendere l’ultima scena; è possibile, anche per l’americano radicato nella cultura occidentale, la conversione alla reincarnazione…
Piccolo Buddha di Bernando Bertolucci è un film che ad una prima analisi può restare insapore; oltre al confronto spontaneo tra mondo occidentale e orientale sia in termini paesaggistici che culturali, sembra che non vi sia altro d'aggiungere. In realtà lo sforzo che deve compiere lo spettatore è quello di riuscire a vedere la storia con gli occhi del bimbo, il piccolo Jesse (Alex Wiesendanger), che è considerato per i monaci tibetani la reincarnazione di un loro importante leader. Quindi, possiamo ritenere che lo scopo della pellicola sia l’avvicinamento degli uomini, sin dalla tenera età, alla religione, indipendentemente se si tratta di cattolicesimo piuttosto che di islam o buddismo.
Se caliamo questo lavoro del 1993 ai giorni nostri, dove viviamo quotidianamente le lotte tra religioni, capiamo quanto sia sempre attuale.
Pertanto consiglio la visione a tutti, anche se tecnicamente non possiede particolari qualità.
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