The Doors

"Avete avuto un vita tanto importante da poterne fare un film?" - "Vi parlerò dell'angoscia e della perdita di Dio.." - " Siete riusciti ad entrare? Siete riusciti ad entrare? Lo spettacolo sta per cominciare..". E' così che inizia The Doors di Oliver Stone, film che ripercorre la carriera bruciante della band californiana dei Doors ("Le porte della percezione, l'acido") dal 1967 alla fuga a Parigi e alla Morte del loro leader Jim Morrison nel 1971. La prima scena è sul deserto, con una inquadratura di una landa stepposa e l'effetto pioggia di Riders on The Storm a fare da sottofondo. Jim, il padre, la madre e la sorella incrociano un incidente automobilistico in cui hanno perso la vita degli indiani Navajos. Dice Morrison (Val kilmer, molto simile all'originale se non più alto) - "Le loro anime sono saltate dentro la mia" -. E' questa la sintesi della musica dei Doors: spiritualità, eccessi, perdita di certezza e perdita di dio ("My only friend, the end"), Nietzsche, la filosofia unita alla musica, il rock come esperienza sensoriale che apre le porte dell'immaginazione e consente la fuga dal mondo, il leader della band, Jim, una sorta di shamano Navajo. "Into the sun we're born, into this world we're thrown": la nascita, il mondo in cui siamo gettati (thwown), sono due esperienze terribili per l'uomo, capitate per fato o destino. Il mondo è duro, il rock ti fa andare oltre: questo è il senso. Per me trattasi di film spirituale, che ha il bello di essere celebrativo sì, ma non all'eccesso. Nella pellicola si fa la conoscenza di personaggi come Andy Warhol, il grande della popart. Si ascoltano tutti i brani principali della produzione dei Doors da, appunto, Riders on the Storm a Love Her Maadly e The end. Ma anche Spanish Caravan, strange days, people are strange, Roadhouse blues. Morrison, che esistenzialmente non è stato certo un risparmiatore, nella pellicola brucia se stesso e la sua esistenza fra sesso, droga e rock'n roll come nel copione di una rockstar che si rispetti. Peccato che, prima di lui, questo copione non l'avesse scritto nessuno e che quindi James Douglas Morrison sia senza dubbio il capostipite della cultura rock come cultura di "depravazione" (vista con le categorie sociali "classiche"), o, meglio, come cultura dell'eccesso finalizzato all'apertura della mente. I doors, infatti, non sono certo un fenomeno da baraccone, ce ne fosse mai bisogno di dirlo, ma il risultato di un profondo lavoro culturale svolto da persone culturalmente dotate. Misticismo, filosofia, eccesso: questo sono i doors. Nel film traspare ogni virgola di questo modo di intendere la realtà, quello del vivi tutto e subito e con la maggiore profondità possibile. I doors sono prima di tutto amore, un amore incondizionato per la vita, un amore per il difficile e un amore appassionato per il pubblico. Non fu certo una vita facile, la loro, come non lo è mai stata la vita dei rivoluzionari. Lo consiglio agli appassionati della band o degli anni '60 e '70, ma anche ai cultori del rock in generale. E' un film spesso e profondo e richiede categorie interpretative e filosofiche avanzate per essere realmente capito, o, quanto meno, analizzato. "Riders on the stor, there's a killer on the road"!.