Full Metal Jacket

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FMJ: analisi della violenza collettiva organizzata Valutazione 4 stelle su cinque

di mik


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mercoledì 11 marzo 2009

Inizio col dire che è chiaro che "Full Metal Jacket" è molto più di un film di condanna della guerra. Qui si scava nelle implicazioni più sottili della mentalità non solo militare, ma anche umana che portano alla violenza (un tema che ricorre spesso nella filmografia del regista americano). E cos'è la guerra se non la razionalizzazione e l'organizzazione collettiva della violenza umana? E' in questa chiave che si spiega il preludio che mostra l'addestramento delle reclute e il graduale processo di disumanizzazione cui sono costrette, cosa che pochi film di genere hanno mostrato. Kubrick compie il primo passo nella sua immersione allucinatoria: qui la tensione è smorzata da una figura quasi caricatuale come quella del tenente istruttore(ma le caricature qui hanno il potere di rendere l’effetto allucinatorio ancora maggiore) ma di contro c'è tutta la tronfia retorica maschilista dominante di cui sono imbevute le reclute, e la progressiva sostituzione del desiderio sessuale per la donna verso una pulsione di morte. Ma questo maschilismo che schernisce e umilia il diverso (omosessuale e/o minorato ) mostra tutta la sua contraddizione nel ricreare un rapporto omosessuale tra la reclute e il fucile/fallo, cancellando del tutto l’elemento femminile, che sembra così rimosso e invece ritornerà prepotente nel finale del film. La figura di Joker merita un' analisi a parte. Se le caricature sono personaggi mono dimensionali, Joker è invece qualcosa di più complesso e sfuggente, e forse addirittura un drammatico stravolgimento rispetto ad un altro consueto dualismo stereotipato (quello soldato buono vs soldato cattivo). Joker imita buffamente John Wayne ma allo stesso tempo ne subisce il fascino, si è arruolato perchè "volevo essere il primo del mio palazzo a fare centro dentro uno". Kubrick ci pone di fronte ad un personaggio forse con più scuri che chiari e sembra domandare allo spettatore fino a dove giurerebbe che i semi di quest'odio non siano arrivati, fin dove la fascinazione per la guerra possa arrivare a fagocitare un prototipo ben diverso dall’idea di soldato-tipo: Joker rappresenta una figura border-line a cavallo tra lucidità e schizofrenia, che sembra essere più consapevole ma allo stesso forse addirittura più responsabile dell’inferno che si muove intorno perché aderisce ad esso con più lucidità razionale. Con la seconda parte del film l’allucinazione si completa con l’arrivo nel Vietnam. “La sporca guerra” nel sud-est asiatico è un’ ideale palcoscenico dove proseguire il proprio viaggio nell’orrore e la spettrale città di Huè (tra macerie fumanti, fiamme, desolazione totale) ne rappresenta lo sfondo, modificando il significato della città da luogo di aggregazione sociale a luogo di distruzione e morte. Ma dov’è il “nemico” , o meglio chi è? Sembra non avere volto e muoversi alle spalle di soppiatto, quasi uno spettro. Solo la sequenza finale ne restituisce una figura nitida. Il cecchino annidato tra le macerie che miete vittime tra i marines, è in realtà una donna (quasi una ragazzina): tutto l’inconscio rimosso durante l’addestramento ritorna fuori prepotentemente…il “nemico” di questi uomini non è altro che la parte di se stessi diversa da se, o più generalmente il diverso da se (donna, orientale, ragazzina e non maschio occidentale adulto) . Joker stesso, colui che sembra aver salvato un briciolo di quella diversità, dimostrerà come è pronto ad annullarla per aderire idealmente alla lucida schizofrenia del gruppo di soldati, finendo di uccidere quel residuo di innocenza e umanità che ancora conserva. Tornerà a casa sano e salvo, ma non sarà mai più lo stesso.

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