a17540
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venerdì 10 giugno 2011
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truffaut e deneuve insieme indimenticabili
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Siamo a Parigi nel 1942 nella Francia occupata. Al teatro Montmartre Marion Steiner (Catherine Deneuve), celebre attrice, s’improvvisa capocomico al posto del marito Lucas, ebreo, ricercato dai nazisti, apparentemente fuggito ma che in realtà vive nascosto nei sotterranei del teatro.
Alla compagnia, che tra mille difficoltà cerca di mettere in scena La scomparsa, dramma immaginario affine ai classici di Ibsen o Strinberg, si unisce Bernard Granger (Gérard Depardieu), attor giovane, donnaiolo, attivo nella resistenza.
Truffaut fa di Marion il centro degli interessi degli uomini (e delle donne) che le orbitano intorno e dal suo punto di vista dipana i molti fili narrativi della trama.
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Siamo a Parigi nel 1942 nella Francia occupata. Al teatro Montmartre Marion Steiner (Catherine Deneuve), celebre attrice, s’improvvisa capocomico al posto del marito Lucas, ebreo, ricercato dai nazisti, apparentemente fuggito ma che in realtà vive nascosto nei sotterranei del teatro.
Alla compagnia, che tra mille difficoltà cerca di mettere in scena La scomparsa, dramma immaginario affine ai classici di Ibsen o Strinberg, si unisce Bernard Granger (Gérard Depardieu), attor giovane, donnaiolo, attivo nella resistenza.
Truffaut fa di Marion il centro degli interessi degli uomini (e delle donne) che le orbitano intorno e dal suo punto di vista dipana i molti fili narrativi della trama. La seguiamo nel suo destreggiarsi nel rapporto col marito, costretto a nascondersi ma che vuole continuare a mantenere il controllo sul teatro, il dramma, la moglie; nei rapporti con le autorità tedesche, particolarmente sgradevoli; nel rapporto con Bernard, così vitale quasi brutale ma affascinante; nel rapporto con gli attori, il regista, i mestieranti nel ruolo, per lei nuovo, di capocomico. E’ il ritratto di una donna padrona di se stessa, delle sue scelte e anche dei suoi errori che viene magnificamente portato sullo schermo da una Deneuve straordinaria al suo meglio come attrice e come donna.
Nel film sono presenti temi cari al regista: l’analisi di una passione che è in grado di limitare o addirittura stravolgere la capacità di giudizio delle persone, l’amore per i libri, il teatro nel teatro, il valore della tolleranza e del rispetto dell’altro.
Bravi tutti gli attori: oltre la Deneuve, spiccano Depardieu, estremamente convincente in una parte che è diventata un tratto della sua personalità e Andréa Ferréol nel cameo della scenografa lesbica. Azzeccatissime le musiche di Georges Delerue che fin dai titoli aiutano a calarsi nel clima della Parigi occupata. a17540
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piovani84
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giovedì 2 ottobre 2008
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l'ultimo metrò di claudio arresta
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L’ultimo metrò (1980)
Per la prima volta in un film di Truffaut, appare il teatro. Se in “La nouit american” (Effetto notte) avevamo assistito ad una fusione e confusione tra la vita ed il cinema in “L’ultimo metrò” ritroviamo l’accavallarsi tra il reale e la finzione. In realtà questo film, uno dei più riusciti e completi del regista parigino, allarga lo spettro dei temi trattati di cui il teatro non è che uno degli espedienti attraverso il quale Truffaut ci racconta la sua storia.
I consueti titoli di testa tematicamente slegati dal resto del film è ormai un esercizio di stile facile da riconoscere e che anche in questo film apre la strada ad una storia che lascia il fiato sospeso fino alla fine e che a sua volta è un mezzo per parlare di qualcos’altro.
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L’ultimo metrò (1980)
Per la prima volta in un film di Truffaut, appare il teatro. Se in “La nouit american” (Effetto notte) avevamo assistito ad una fusione e confusione tra la vita ed il cinema in “L’ultimo metrò” ritroviamo l’accavallarsi tra il reale e la finzione. In realtà questo film, uno dei più riusciti e completi del regista parigino, allarga lo spettro dei temi trattati di cui il teatro non è che uno degli espedienti attraverso il quale Truffaut ci racconta la sua storia.
I consueti titoli di testa tematicamente slegati dal resto del film è ormai un esercizio di stile facile da riconoscere e che anche in questo film apre la strada ad una storia che lascia il fiato sospeso fino alla fine e che a sua volta è un mezzo per parlare di qualcos’altro. Le relazioni tra gli uomini sono alla base del film, senza di questi approfondimenti non esisterebbe la storia.
I titoli di testa, dicevamo, partono su di uno sfondo rosso accompagnati da una dolce chanson français.
Poi parte una voce narrante che ritroveremo solo verso la fine del film che commenta delle immagini che mostrano guerre e cartine geografiche. L’inizio quindi è molto simile a “La mia droga si chiama Julie”, anche qui si parla della seconda guerra mondiale quando Parigi è per metà occupata dai nazisti. Dice la voce narrante che nonostante la mestizia provocata dalla guerra i parigini non rinunciano ad andare al cinema ed al teatro la sera, è fondamentale quindi prendere l’ultimo metrò per tornare a casa prima del coprifuoco.
Dopo questa introduzione parte il film vero e proprio: la prima scena vede Bernard Granger (Gerard Depardieu) provarci per la strada con una donna impellicciata. Un carrello segue i due camminare di notte per la rue parigina cupa e intristita mentre lui prova in tutti i modi ad avere il numero di telefono o l’indirizzo di lei senza per altro riuscirci. I dialoghi sono adesso frizzanti e veloci con una certa ironia di fondo che persisterà durante tutto il film.
Bernard è un attore di teatro che è stato contattato dal teatro Montmartre per un ruolo da protagonista in una commedia del regista ebreo tedesco Lucas Steiner. Si reca quindi in teatro a discutere dei termini del contratto con la Sig. Marion Steiner (Cathrine Deneuve) che fa le veci del marito dopo la sua fuga dalla francia verso l’America del Sud.
Bernard (che ha lo stesso nome del protagonista de “L’uomo che amava le donne”, con il quale condivide alcuni aspetti della personalità) è uno spaccone che ci prova con tutte le donne che incontra e con un modo di fare molto socievole e divertente che fa anche un pò di tenerezza a chi lo incontra, ma è un grande attore per questo Marion Steiner gli fa firmare prontamente il contratto per scritturarlo nel suo teatro e per farlo recitare affianco a lei nella commedia scritta dal marito.
Marion Steiner, invece, è l’opposto: donna di una bellezza algida e distaccata, sempre molto posata e abbottonata che si limita ad intrattenere rapporti tanto cordiali quanto poco approfonditi con chiunque le stia al fianco.
L’incontro tra i due è infatti molto rapido e sfuggente. L’unica cosa di cui discutono è il contratto ed in particolare una clausola obbligatoria: Bernard, come tutti gli attori del Montmartre, devono firmare di non essere e di non avere parenti ebrei e questo non gli va molto giù.
Cominciano le prove: recita anche quella donna con la quale Bernard ci aveva provato per le strade insieme ad altri attori che avranno ruoli secondari. I protagonisti sono Bernard e Marion, Janpol invece è il regista che sostituisce Lucas Steiner.
Le prove procedono bene anche se con un pò di preoccupazione per il fatto che il vero regista non è presente anche se ha lasciato diversi appunti sul come inscenare la commedia, e perchè per causa della guerra gli spettacoli potrebbero interrompersi da un momento all’altro.
Tra una prova e l’altra Bernard non smette di provarci con le attrici con la sua consueta ironia. Famoso è il suo gesto di leggere la mano alle donne “In te ci sono due donne...” , dice sempre.
A questo punto il film prende una piega diversa: quella che fino ad ora era una storia che filava liscia e serena adesso si sta imbrunendo come è normale che fosse visto il background storico che sorregge il film. Si veve Marion scendere segretamente in uno scantinato dove è nascosto il marito, un uomo magro dai capelli grigi e dal forte accento tedesco. Marion lo sta aiutando a fuggire attraverso delle conoscenze, ma ben presto i due si rendono conto che è troppo pericoloso quindi Lucas rimane qui per il momento, assistito da una moglie tanto dedita e premurosa. I due sembrano felici ed innamorati anche se gli occhi di Marion non lo dimostrano affatto.
Durante le prove arriva con aria arrognate un giornalista in teatro, un critico filonazista che subito viene mal visto dalla troupe. In radio poi dirà che gli ebrei devono andare via dai teatri e in generale dalla Francia.
Il lineare svolgimento delle vicende del teatro Montmartre sono interrotte da Truffaut da incursioni ironiche che potrebbero stonare in qualsiasi altro film con uno sfondo bellico alle spalle, ma non in questo nato sin dal principio con un atmosfera ed un mood dilettevole e pacifico. A parte l’ironia del personaggio Bernard è riccorente la scena di un bambino, che recita una piccola parte nella commedia teatrale, che innaffia delle piante di tabacco nell’aiuola del teatr. Oltre che un riferimento o una citazione si tratta anche di espedienti per alleggerire un film che altrimenti si sarebbe appiattito sul tema storico.
“Non ci devono essere più categorie di spettatori: che lo spettatore che vede più di cento film all'anno, il cinefilo trovi più cose di colui che va al cinema una volta l'anno, è normale, ma il film deve presentarsi esteriormente nello stesso modo a tutti e due” (F.Truffaut)
Truffaut non amava fare film per la nicchia, se c’è una lezione che ha imparato dal suo maestro Hitchcock è quella che un film, anche quello che tratta di temi più alti e nobili possibili deve intrattenere in continuazione lo spettatore e sono vari e personalizzabili i modi per farlo. Truffaut diceva che un film d’autore deve interessare gli spettatori esperti, ma non deve annoiare gli altri.
Attraverso un buco nelle condutture della caldaia, Lucas riesce ad ascoltare perfettamente ciò che si dice su in teatro, così facendo può assistere alle prove dando poi dei suggerimenti tecnici alla moglie. Questo lo fa stare un pò più tranquillo anche rinchiuso in quella cantina in quanto la sua passione per il teatro appaga molti dei suoi bisogni.
Il film procede in maniera rapida, ma spezzettata: Marion e il critico nazista si incontrano in un bar con una disistima reciproca. Lui le riferisce che sa che Lucas Steiner non è fuggito dalla Francia anche se non sa dove si nasconde; a questo punto le scene tornano giù in cantina dove Marion ed il marito si scambiano effusioni amorose (Lucas le tocca le gambe puntualmente dettagliate dalla macchina da presa. Non esiste personaggio maschile che non sia ammalato di gambe femminili), ma negli occhi di Marion non compare mai un totale trasporto. La sua classe oscura la sua dolcezza, la sua è una bellezza marmorea, anche con il marito, con il quale appare molto servizievole non dà mai l’impressione di un qualcosa che le venga direttamente dal cuore. Non si legge nel suo volto alcuna tristezza, nè alcun dolore, per questo motivo la scelta della Denueve risulta inappuntabile. Truffaut diceva dell’attrice parigina, con la quale ha avuto una storia, dopo averne avuto anche una con la sorella maggiore François scomparsa in un incidente stradale:
“Non teme di essere guardata, teme di essere scoperta nella sua identità”
Le uniche mosse espressive del volto di Marion le troviamo in tutte le occasioni in cui Bernard fa il cascamorto con altre donne. Marion non lo ammetterebbe mai nè agli altri nè a se stessa, ma su i suoi occhi Truffaut ci mostra la gelosia.
Ancora un intermezzo caustico spezzata l’andare delle vicende del teatro Monmatre: Marion scopre che due sue attrici sono lesbiche aprendo la porta del loro camerino e vedendole baciarsi. Una di queste attrici è la donna della prime scene, quella che rifiuta di essere abbordata da Bernard e che da tempo era attratta dalla Sig.ra Marion Steiner.
I dialoghi si mantengono quindi sempre molto piacevoli. Bernard continua ad importunare la lesbica, inconsapevole delle sue tendenze. Riportiamo qui un frammento:
Bernard “In te ci sono due donne...”; lei “ e nessuna delle due vuole venire a letto con te”
Quella che era la preda di Bernard adesso per ironia della sorte o per ironia di Truffaut è la sua rivale in amore, visto che anche Bernard pian piano si accorge di essere attratto da Marion che mostra ancora una volta con lo sguardo la sua gelosia quando in una cena al ristorante che la troupe teatrale ha organizzato Bernard si presenta con una donna. A quella cena Bernard però non parteciperà perchè si accorge che quel ristorante è pieno di tedeschi, quindi se ne va, ma andrà via anche Marion, passerà la notte con un uomo appena conosciuto quella sera. I corpi di Marion e Bernard si allontanano, ma le loro menti sono più vicine che mai: il momento del loro avvicinamento è nell’aria. Infatti se ne accorge anche Lucas che dalla sua cantina sente un certo trasporto della moglie quando recita al fianco di Bernard. Ma l’affetto e il senso di appartenenza che Marion sente nei confronti del marito è molto grande, talmente grande da impedire che si chiamasse la polizia in occasione di un furto in teatro per il rischio che venga scovato il nascondiglio del marito.
Arriva poi il gran giorno: il momento della prima. Il teatro è pieno, in prima fila siede il critico nazista. La macchina da presa, però, si concentra poco sul palco e molto meno sul pubblico, l’obiettivo è puntato sul dietro le quinte. Quello che interessa non è ciò che avviene in teatro, ma attorno al teatro. Le vicende umane, gli scontri, i problemi, il dolore, il sacrificio, la passione, l’attrazione sono i veri protagonisti.
"Mi rendo conto che è un poco anormale, ma è così. Non amo i paesaggi, ne le cose; amo le persone, mi interesso alle idee, ai sentimenti." (F.Truffaut)
La sguardo del regista è indirizzato verso il backstage: le ansie (Marion che vomita prima dello spettacolo, Lucas che non mangia), i piccoli problemi tecnici, gli attori che si cambiano, il cast in subbuglio ecc...
Pochi sono i momenti in cui si vede lo spettacolo. Qui ne riportiamo un piccolo frammento di uno dei pochi:
Bernard dice a Marion: “Sei talmente bella che guardarti è una sofferenza”
Lei risponde: “Ieri dicevate che era una gioia”
Lui ribatte “ E’ una gioia e una sofferenza”
Lo spettacolo si conclude con queste battute e con l’applauso del pubblico estasiato. Il sipario si chiude, Marion bacia improvvisamente Bernard, poi riapre il sipario per l’inchino.
Si festeggia e si brinda dietro le quinte; viene a fare le congratulazioni anche l’uomo con cui Marion ha passato quella notte, ma Bernard lo allontana dietro richiesta di lei. Poi Marion scende dal marito il quale non si sente ancora soddisfatto di come è andato lo spettacolo. Marion è sfuggente, deve andare via a festeggiare con gli altri, è quasi tutto chiaro che è presa da Bernard.
Ma le cose tra i due non vanno tanto bene in quanto ad una cena al solito ristorante della troupe Bernard litiga con il critico nazista perchè secondo lui si è comporato male con Marion scrivendo sul suo giornale che il suo spettacolo è da censurare in quanto apolitico. A causa di questa scenata pubblica Marion non vuole rivolgere più la parola a Bernard e il suo comportamento ritorna ad essere freddo e distaccato anche più di quello che aveva prima del bacio. I due continuano a recitare insieme, ma nient’ altro. Così la Marion che stava cominciando a far trasparire un pò della sua anima si richiude in se stessa: l’episodio della lite appare più una scusa che un vero motivo di rancore nei confronti del povero Bernard che seppur con modi discutibili stava cercando di difenderla. Il personaggio di Marion (stesso nome e stessa attrice della vera Julie in “La mia droga...) è molto coerente e lineare, ma difficile da afferrare per la sua laconicità e la sua aria da donna appagata. Il pretesto del litigio era perfetto per chiudere con Bernard, un uomo dal quale il suo corpo e la sua mente sono attratti, ma che per rispetto del marito, ma soprattutto per rispetto del suo ruolo da donna implacabile, una donna che non deve chiedere mai si potrebbe dire nel 2000. Il suo è un atteggiamento proteso alla difesa di tutto ciò che ha più a cuore, la libertà del marito. Neanche la carriera da attrice sembra distrarla, lei che era stata anche un’attrice di cinema. Ma la sua corazza non è completamente tetragona alle tentazioni come vedremo più avanti.
Nel frattempo il critico nazista infuriato per la scenata di Bernard si mette contro il teatro Monmatre, ricattando JeanPaul di dirigere commedie scelte da lui per non farli chiudere definitivamente sfruttando le sue conoscenze in campo tedesco. Neanche Marion riesce a trovare una soluzione, anche perchè scopre tristemente che l’unico tedesco che la poteva aiutare si è sparato.
Bernard decide di lasciare il suo ruolo nella commedia e farsi sostituire da un altro attore, ma nel frattempo irrompono i tedeschi in teatro i quali vogliono perquisire la cantina. Marion e Bernard scendono per far nascondere Lucas dietro un mobile, così l’attore scopre che Lucas non era fuggito.
I tedeschi vanno via, non hanno trovato Lucas il quale aveva nel frattempo riferito a Bernard che sua moglie è innamorata di lui. Quella che era solo una sensazione adesso è una certezza. Bernard prima di andare via bacia Marion, la quale dopo la classica e non decisa resistenza femminile si lascia andare. I due fanno l’amore in camerino: il primo piano di Truffaut è sulle gambe di Marion. L’aspetto erotico dei suoi film, a volte velato, spesso accennato, altre filmato esplicitamente, hanno condito da sempre le sue storie in maniera irripetibile. L’ossessione per le gambe poi, che condivide con i suoi personaggi maschili, esplicito nel caso di certe inquadrature, è una dimostrazione di coraggio che lui e pochi altri suoi colleghi hanno avuto nella loro carriera, come abbiamo già detto nessuno come lui è riuscito a convogliare dentro lo stesso film tanti spunti quanti erano le idee che aveva in testa. Generi, temi, approcci, colori, luci, scenografie, tecniche, quanto di più vario possa esistere nel cinema è inglobato nel suo cinema. L’erotismo è un tema che non manca mai e probabilmente era uno tra quelli che gli stavano più a cuore insieme all’infanzia e al rapporto tra uomo e donna. Tra uomo e donna è difficile un’amicizia: l’uomo e la donna non possono non sentire attrazione l’uno per l’altra in qualsiasi periodo storico, in qualsiasi posto del mondo e in qualunque situazione. E’ per questo che il tema erotico è immancabile, perchè ritenuto dal regista francese una colonna portante della vita dell’uomo e della donna oltre che all’amore.
Bernard lascia e va via. Poi è il 1944, la Francia viene liberata dalle truppe alleate. A causa dei guasti alla corrente molti teatri sono costretti a chiudere, ma il teatro Montmartre continua a dare spettacoli con una corrente elettrica prodotta da una dinamo. Lucas è finalmente libero di uscire dal covo e di dirigere i suoi spettacoli.
L’ultima scena è una delle più ricordate della Nouvelle Vague: ispirata a...... si vede Marion che va a trovare Bernard in ospedale, ferito di guerra. Marion vuole ricominciare con lui, ma lui non accetta per orgoglio. I due si dicono per sempre un addio che sa di amarezza, di rimpianto, ma non è realtà, non pura quantomeno. Si chiude il sipario, in una scena che ricorda “La donna del ritratto” di Friz Lang, e finisce lo spettacolo tra gli applausi scroscianti del pubblico che ha guardato estasiato insieme all’occhio soddisfatto del regista Lucas Steiner, poi i titoli di coda su di una musica trionfalistica, ma appassionata diretta dal solito Georges Delerue che descrive il tema della liberazione francese come un’appropriazione di libertà sociale, ma soprattutto artistica.
Il film, che ottenne la nomitation all’Oscar come miglio film straniero, è un testo che descrive in termini visivi l’angoscia e l’abbattimento per la guerra attraverso dei colori cupi e spenti come quelli delle notti parigine, la penombra dello scantinato, la luce soffusa del teatro, ma ci riporta alla narrazione attraverso delle penetrazioni ironiche (ultime la scena delle bici che attivano la dinamo e il rilascio e il riarresto del vice regista JeanPaul) che spezzattano il discorso fino alla scena finale quando il connubio tra il teatro e la vita è talmente saldato da apparire quasi normale all’interno della narrazione.
La storia gioca molto su i personaggi, trattati con ironia nel caso di Bernard, ma con eccessivo rigore per quanto riguarda Marion. Tra di loro c’è una forte attrazione pur essendo completamente diversi, ma questa attrazione fa fatica a concretizzarsi a causa di fattori più interni che esterni. Marion è troppo orgogliosa per ammettere a se stessa di non amare più il marito e di essere innamorata di un seduttore come Bernard e Bernard non accetterebbe mai di essere solo l’amante della Sig.ra Steiner. Lucas Steiner dal canto suo, sembra più innamorato del teatro e del suo lavoro che della moglie, che pur rispetta. Ancora una volta un triangolo che non funziona, ma per quanto toccante il finale è lieto: la Francia è salva, Bernard e Marion ritornano a recitare con la stessa passione e veemenza di sempre, Lucas Steiner può finalmente dirigere le sue commedie dall’alto, non c’è più un pericolo di sabotaggio da parte di tedeschi, il teatro è salvo, l’arte è salva. E’ questo il lieto fine: in mezzo a tutti i problemi interni ed esterni, il teatro fila dritto, the show must go on, dirà qualcuno in quegli anni. Vita e teatro sono così a stretto contatto perchè indossano gli stessi problemi: l’amore, il tradimento, il denaro, la politica, la società, la guerra, ma questi problemi fortificano l’arte come fortificano l’uomo: l’amore tra Marion e Bernard ha creato dei problemi, ma ha dato vita ad ‘una interpretazione perfetta in quanto le loro vite era quantomai coinvolte nella finzione. L’amore di Lucas Steiner per il teatro è stata la sua salvezza, la guerra ha portato i tedeschi, ma li ha anche mandati via.
Quello che apparentemente può sembrare un film sui problemi è invece un inno alla vita e al teatro, due dimensioni che si intersecano fino a diventare una sola cosa. La musica di stampo trionfalistico nel finale ne è la prova, ma Truffaut non è certo il regista dell’ottimismo cieco, per questo ci mostra uno scenario storico difficile e doloroso come l’oppressione tedesca, la caccia agli ebrei, considerati dei falliti aggiungendo i sentimenti che non possono mancare. Il teatro vince su tutto, ma non si tratta di una denuncia politica, sia chiaro: a Truffaut non interessa ribellarsi al nazismo, ma come la gente, la Francia, gli artisti lo fanno. Non esiste una reazione comune, ognuno reagisce a modo suo: Marion, donna forte, deve sobbarcarsi di lavoro e responsabilità che non dovrebbero essere sue: la gestione del teatro, il rapporto con i suoi dipendenti, la fuga del marito. Nel cinema di Truffaut la donna solitamente è più forte dell’uomo e questo spesso è uno dei motivi della provvisorietà dei rapporti. L’amore fa male, come si dice nella commedia del Montmartre e come dice Julie in “La mia droga si chiama Julie”, amare è una gioia ed una sofferenza.
Il film sfugge via velocemente, eliminando i tempi morti, cioè quelli esterni al teatro, per questo vive di momenti di dramma e tensione, ma è anche carico di emotività e ilarità. I dialoghi sono tragicomici, il cast di attori è di primo livello, la scelta del titolo è significativa: il metrò delle 20:30 è l’ultimo utile per tornare a casa, la gente non ha paura, va in teatro. Il teatro è vivo, viva il teatro.
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dounia
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sabato 12 novembre 2011
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l'importanza del teatro
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La storia del film presenta un gruppo di attori e attrici che lavorano al Teatre Mormatre di Parigi nel 1942, quando esiste il dominio dell'invasione nazista. Tante persone vanno a teatro sia per scaldarsi e a casa diventa difficile, sia perché il teatro piace molto alla gente. Per farlo non devono perdere l'ultimo metrò delle 20.30. L'équipe di attori mette in scena una commedia che ottiene il successo. La regia è della moglie del regista che è ebreo ed ufficialmente è in America Latina, ma in realtà è rinchiuso nello scantinato del teatro e, attraverso un foro alla parete, segue le prove delegando i suoi impegni alla consorte. Un nuovo attore bravo che è arrivato, capo del gruppo, s'innamora della moglie del regista e, verso la fine del film si vede che è corrisposto.
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La storia del film presenta un gruppo di attori e attrici che lavorano al Teatre Mormatre di Parigi nel 1942, quando esiste il dominio dell'invasione nazista. Tante persone vanno a teatro sia per scaldarsi e a casa diventa difficile, sia perché il teatro piace molto alla gente. Per farlo non devono perdere l'ultimo metrò delle 20.30. L'équipe di attori mette in scena una commedia che ottiene il successo. La regia è della moglie del regista che è ebreo ed ufficialmente è in America Latina, ma in realtà è rinchiuso nello scantinato del teatro e, attraverso un foro alla parete, segue le prove delegando i suoi impegni alla consorte. Un nuovo attore bravo che è arrivato, capo del gruppo, s'innamora della moglie del regista e, verso la fine del film si vede che è corrisposto. Il regista s'accorge di ciò che è successo e la commedia che vuole portare in scena, dopo la prima, rappresenta questo fatto. La guerra poi finisce e il regista è presente con grande entusiasmo del pubblico che vuole farglielo capire con un lungo battimani. Il film, oltre che a trasmettere la vita del teatro in quei tempi e a far vedere il teatro nel cinema, rivela l'importanza della sua esistenza e degli attori che lo fanno vivere. E' importante inoltre che ci sia perché dimostra la cultura che vuole essere manifestata al pubblico.
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fedeleto
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venerdì 16 dicembre 2011
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l'ultimo cinema-teatro
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Durante la seconda guerra mondiale ,una donna(catheirne denueve) dirige un teatro e nasconde un ebreo (suo marito) nella cantina.La recita continua (come la recita che la donna effettua nela vita nascondendo il marito),fino a quando non finira' la guerra.Anche se forse la donna e' innamorata di un attore (gerard depardieu).Tra il cinema e teatro ,l'ultimo metro si svolge in modo lineare e chiaro .Una cosa e' sicura ,Francois Truffaut(la sposa in nero,effetto notte,adele h)dopo l'insuccesso dell'amore fugge ,tenta di dirigere una pellicola in salsa di metateatro,l'impresa riesce ,grazie anche ai due attori principali.L'ultimo metro ovvero l'ultima corsa della metro prima del coprifuoco ,simboleggia anche l'amore per un ultimo periodo del cinema d'oro ,ovvero gli anni quaranta.
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luca scialò
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mercoledì 16 novembre 2011
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antenato di bastardi senza gloria
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Nella Parigi degli anni dell'occupazione nazista, un noto sceneggiatore teatrale è costretto a vivere in una cantina perché ebreo. Il suo teatro è gestito dalla moglie Marion e malgrado le difficoltà stanno preparando una commedia: La scomparsa, dramma immaginario della norvegese Karen Karenberg di cui quest'ultima è protagonista. A recitare al suo fianco Bernard Granger, diviso tra la passione del teatro e quella per la politica, essendo un membro della resistenza.
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Nella Parigi degli anni dell'occupazione nazista, un noto sceneggiatore teatrale è costretto a vivere in una cantina perché ebreo. Il suo teatro è gestito dalla moglie Marion e malgrado le difficoltà stanno preparando una commedia: La scomparsa, dramma immaginario della norvegese Karen Karenberg di cui quest'ultima è protagonista. A recitare al suo fianco Bernard Granger, diviso tra la passione del teatro e quella per la politica, essendo un membro della resistenza. Tra mille problemi riescono comunque a inscenare la loro opera, ma negli ultimi mesi della resistenza l'oppressione nazista si fa più dura...
Truffaut si cimenta in un complicato tentativo di intrecciare cinema e teatro. Sovente pare che il secondo sconfini nel primo, anzi, perfino che nell'impostazione scenica incombi la Tv. Di fatti questo lungometraggio a tratti sembra quasi uno sceneggiato televisivo; ma forse tale impressione è proprio dovuta alla mescolanza tra le due arti. Un tentativo comunque riuscito abbastanza, a parte qualche verbosità di troppo e qualche lentezza nell'arrivare al punto. Non è da escludere che questo film abbia ispirato anni dopo Queentin Tarantino per il recente Bastardi senza gloria. In fondo similitudini tra i due registi non sono nuove, come nel caso di La sposa in nero di Truffaut e Kill Bill del secondo.
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stiletto120
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lunedì 31 marzo 2008
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l'ultimo metrò
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Nella Parigi occupata dei nazisti il teatro di Montmartre è rimasto senza il direttore, Lucas Steiner, un ebreo fuggito in Sud America per evitare la deportazione. A gestire l'organizzazione del teatro ci pensa sua moglie Marion, che è l'unica a sapere che Lucas è in realtà nascosto nella cantina del locale. Quando iniziano le prove della nuova pièce, la compagnia si trova subito ad avere a che fare con i piccoli e grandi avvenimenti che rendono la vita difficile al mondo dello spettacolo in tempo di guerra.
L'ultimo metrò passa alle 20:30, appena in tempo per arrivare a casa prima del coprifuoco imposto dai nazisti. Ma nonostante questa limitazione, il pubblico parigino del 1942 non rinunciava al teatro, quasi che la ricerca del divertimento fosse un modo per esorcizzare le brutture della vita reale.
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Nella Parigi occupata dei nazisti il teatro di Montmartre è rimasto senza il direttore, Lucas Steiner, un ebreo fuggito in Sud America per evitare la deportazione. A gestire l'organizzazione del teatro ci pensa sua moglie Marion, che è l'unica a sapere che Lucas è in realtà nascosto nella cantina del locale. Quando iniziano le prove della nuova pièce, la compagnia si trova subito ad avere a che fare con i piccoli e grandi avvenimenti che rendono la vita difficile al mondo dello spettacolo in tempo di guerra.
L'ultimo metrò passa alle 20:30, appena in tempo per arrivare a casa prima del coprifuoco imposto dai nazisti. Ma nonostante questa limitazione, il pubblico parigino del 1942 non rinunciava al teatro, quasi che la ricerca del divertimento fosse un modo per esorcizzare le brutture della vita reale. È in questa situazione che Truffaut decide di ambientare il suo film, un film che rappresentava il coronamento di tre suoi desideri: rappresentare al cinema il backstage di una rappresentazione teatrale, ricostruire l'occupazione dei tedeschi in Francia e affidare finalmente a Catherine Deneuve il ruolo di una donna responsabile.
Certamente meno riuscita della rappresentazione del backstage cinematografico di "Effetto Notte", "L'ultimo metrò" è comunque una pellicola complessa nella sua struttura e curatissima nella riproduzione storica. Molto lontana dall'emotività di altre sue pellicole, nonostante il forte tema affrontato, questa terzultima regia di Truffaut appare come uno studio sui personaggi e sulle relazioni che li legano. Probabilmente l'aspetto politico non è trattato con l'attenzione che ci si aspetterebbe, ma in fondo l'ambientazione storica non è altro che un espediente narrativo ed il finale del film comunque giustifica questa supposta superficialità.
Premiatissimo in Francia, ottenne la nomination all'Oscar come miglior film in lingua straniera del 1980 ma perse da "Moscow does not believe in tears" di Vladimir Menshov.
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