Maria Caiano ha il pregio di non prendere mai alla leggera la direzione di un film. È un artigiano del cinema vero e lo dimostra anche in questa occasione alle prese con una storia anomala nel panorama del cinema storico/mitologico all’italiana. Le rigidità di una storia compressa tra amore e la persecuzioni dei primi cristiani lascia poco spazio all’esibizione di muscoli tipica dei film che vedono protagonista Maciste. Caiano si destreggia da par suo regalando un maggior approfondimento dei caratteri e una maggior attenzione alle evoluzioni della storia. Maciste, un po’ come Zorro, si finge amico dell’imperatoe Vitellio, vive a corte e contemporaneamente libera i cristiani grazie a una serie di astuzie degne di Zorro.
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Maria Caiano ha il pregio di non prendere mai alla leggera la direzione di un film. È un artigiano del cinema vero e lo dimostra anche in questa occasione alle prese con una storia anomala nel panorama del cinema storico/mitologico all’italiana. Le rigidità di una storia compressa tra amore e la persecuzioni dei primi cristiani lascia poco spazio all’esibizione di muscoli tipica dei film che vedono protagonista Maciste. Caiano si destreggia da par suo regalando un maggior approfondimento dei caratteri e una maggior attenzione alle evoluzioni della storia. Maciste, un po’ come Zorro, si finge amico dell’imperatoe Vitellio, vive a corte e contemporaneamente libera i cristiani grazie a una serie di astuzie degne di Zorro. In questa operazione è aiutato da una sceneggiatura scritta dall’esperto Mario Amendola, dal belga Albert Valentin e da un Alfonso Brescia che debutta nella scrittura dopo alcune esperienze come aiuto regista. Mario Caiano evita le esagerazioni scenografiche del genere mettendo a frutto la propria cultura personale. Nato a Roma nel 1933, infatti, dopo essersi laureato in Lettere Classiche e Archeologia all’inizio degli anni Cinquanta inizia a lavorare come archeologo presso la Sovrintendenza alle Antichità del Lazio. La sua vera passione è però il cinema i cui ambienti ha cominciato a frequentare quando ancora era studente e che non si rassegna ad abbandonare neppure dopo la laurea e il primo importante lavoro. Nel tempo libero trova modo di lavorare come sceneggiatore e in qualche caso come aiuto regista. Tra il 1952 e il 1960 abbandona progressivamente l’incarico presso la Sovrintendenza e finisce per dedicarsi a tempo pieno al cinema. Il suo debutto come regista avviene nel 1960 con il film Ulisse contro Ercole, un mitologico di cui cura anche soggetto e sceneggiatura. Da quel momento girerà vari film di buon successo che ne faranno uno dei più apprezzati registi e sceneggiatori del “cinema di genere” italiano. Tra gli attori oltre al lucido e muscoloso Mark Forest spicca la presenza di Marilù Tolo e di un insolito Ferruccio Amendola biondo, oltre a Claudio Undari, destinato a diventare con lo pseudonimo di Robert Hundar, tra i più feroci cattivi del western all’italiana. Tra le scene di culto figura di diritto il combattimento di Maciste con un finto gorilla.
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