fabiofeli
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mercoledì 1 aprile 2020
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la irragionevole "ragionevolezza" maschile
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Mamiya (Shin Saburi) è il più “laico” e pratico di Hirayama,professore universitario, vedovo da 5 anni e di Taguchi, che parla troppo e che in un rametto di the che galleggia verticale vede un segno del Cielo. Sono al 7° anniversario della morte di Miwa, un amico farmacista; vengono accolti dalla figlia, Ayako(Yoko Tetsua), e dalla moglie, Akiko (Setsuko Hara), sui 45 anni, fiorente e gradita agli ex-spasimanti di venti anni prima. Nelle storie di Ozu c’è spesso chi si prodiga per combinare matrimoni: qui Mamiya cerca un marito per la bella Ayako, anzi ha già un in mente un giovane dipendente con tanto di laurea, Goto, e prende l’iniziativa invitando la ragazza nel suo ufficio.
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Mamiya (Shin Saburi) è il più “laico” e pratico di Hirayama,professore universitario, vedovo da 5 anni e di Taguchi, che parla troppo e che in un rametto di the che galleggia verticale vede un segno del Cielo. Sono al 7° anniversario della morte di Miwa, un amico farmacista; vengono accolti dalla figlia, Ayako(Yoko Tetsua), e dalla moglie, Akiko (Setsuko Hara), sui 45 anni, fiorente e gradita agli ex-spasimanti di venti anni prima. Nelle storie di Ozu c’è spesso chi si prodiga per combinare matrimoni: qui Mamiya cerca un marito per la bella Ayako, anzi ha già un in mente un giovane dipendente con tanto di laurea, Goto, e prende l’iniziativa invitando la ragazza nel suo ufficio. Ma giustamente alla giovane non basta vedere il giovane che somiglia alla lontana a Gregory Peck (adorato dal pubblico giapponese in Vacanze romane e Moby Dick) per dire subito sì. Ayako non vuole sposarsi perché non vuole lasciare sola la madre e il manager pensa che bisogna far maritare la madre per rassicurare la figlia che non serve il suo sostegno … Anche questo film del 1960 diretto da Ozu è sul soggetto di Satomi Ton, che rappresenta la upper class di Tokyo. Le inquadrature, godibilissime, sono sempre più stilizzate, geometriche e curate come se gli oggetti fossero astrazioni zen; non manca il bollitore metallico a smalto arancione, mentre l’angolo di un interno si illumina di riflessi in movimento d’acqua in una fontana; anche qui scene dei ristoranti, più sofisticati della trattoria La Luna di 11 anni prima in Tarda primavera. Nel film appena citato l’ostacolo al matrimonio era un padre, qui è una madre; chi deve rinunciare al bouquet di fiori è sempre una figlia. Un figlio condizionato? Mai. Qui un ragazzo dice a cuor leggero al padre che non lo criticherà se si risposa, anzi! Comanda l’uomo in famiglia, ma decide la praticità della donna. Non ha un buon concetto Ozu della superficialità maschile, dei pruriti sessuali mai sopiti ed ostentati, che occupano più del 60% dei loro pensieri: il resto è nutrirsi di prelibatezze come germogli di felce sotto aceto, imbottirsi di sakè con gli amici, giocare a golf, fumare la pipa inglese e combinare guai nella vita di giovani e meno giovani solo per voler dimostrare la irragionevole “ragionevolezza” delle loro opinioni e, diciamo così, intuizioni soprattutto dei desideri femminili. I giovani sanno cosa vogliono fare, anche commettere errori, perché la vita è la loro. Ozu rispetta anche le donne, disposte a rinunciare alla loro“felicità”, perché il prezzo da pagare può essere una nuova soggezione ai rituali della vita in due, da riprendere da capo. La sensazione di imbattersi in un altro film irripetibile c’è tutta, quando i boschi diventano autunnali e a una gita di fine anno i giovani studenti ascoltano chi recita ad alta voce: - Le lanterne luccicano vivide alla pallida luce del crepuscolo ... Gli scolari sono le lanterne, gli altri pallida luce. Splendido. Valutazione ****e 1/2 FabioFeli
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carloalberto
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domenica 31 maggio 2020
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l'ossessione di ozu
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C’è il trattenersi, l’indugiare pensoso, in un tempo sospeso, incantato, nel passaggio da un’età all’altra, diviso tra un desiderio di permanere, sottraendosi, presso il focolare domestico, nel culto degli avi, e un anelito alla fuga in avanti, un darsi incondizionato alla vita. Forze centrifughe, impersonate da agenti inconsapevoli, tre vecchi amici, agiti dal tempo, spingono la figlia di un loro amico scomparso verso il suo destino di sposa, mentre forze centripete, sentimenti atavici primordiali, trattengono la stessa, nel nucleo familiare a due, con la madre vedova. Il ruolo del padre, in Tarda primavera, che la figlia, Setsuko Hara, non voleva abbandonare, è specularmente interpretato dalla stessa attrice in Tardo autunno.
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C’è il trattenersi, l’indugiare pensoso, in un tempo sospeso, incantato, nel passaggio da un’età all’altra, diviso tra un desiderio di permanere, sottraendosi, presso il focolare domestico, nel culto degli avi, e un anelito alla fuga in avanti, un darsi incondizionato alla vita. Forze centrifughe, impersonate da agenti inconsapevoli, tre vecchi amici, agiti dal tempo, spingono la figlia di un loro amico scomparso verso il suo destino di sposa, mentre forze centripete, sentimenti atavici primordiali, trattengono la stessa, nel nucleo familiare a due, con la madre vedova. Il ruolo del padre, in Tarda primavera, che la figlia, Setsuko Hara, non voleva abbandonare, è specularmente interpretato dalla stessa attrice in Tardo autunno. Ozu coglie il momento di quell’equilibrio precario, lo dilata oltremisura. E’ la stasi in tensione. Gli apparenti contrasti si risolvono in una armoniosa composizione. Non c’è contrapposizione, ma incontro. L’ideogramma. L’ikebana. Attingendo ad opere già compiute, dando l’impressione della continuazione di temi già trattati, realizza in un nuovo affresco, con pennellate riuscite altrove, ciò che è ossessivamente presente già in Tarda primavera e in Viaggio a Tokio. Così l’ufficio del dirigente è identico a quello di Shin Saburi in Fiori d’equinozio. Un accenno agli ideogrammi, tra i giovani nel rifugio di montagna, mostra lo stile, il segno, come forma d’arte calligrafica, che rinvia simbolicamente a complessi di significati. Ozu non lascerà mai la madre, se non per morire prematuramente a 60anni. Trasfigura in immaginazione filmica sentimenti soffocati nel mondo reale, mette in opera l’inespresso, il non vissuto. La cinepresa posta ad altezza di tatami dà la prospettiva del bambino che guarda al mondo degli adulti con meraviglia, ritiene nella memoria piccole cose, che ritorneranno più tardi, con rimpianto, per chi non ha assaporato quegli attimi fugaci, che il tempo dona per gli affetti più cari. L’autunno s’avvicina, nel canto della scolaresca in vacanza nell’albergo dello zio, durante l’ultimo viaggio che faranno insieme madre e figlia. E’ un inno alla vita, mentre le due si danno l’addio e le stagioni si succedono. I tre amici, persi nei ricordi della loro gioventù, bevono sakè e ridono della grassoccia proprietaria della bottega. Ma è tempo di andare, i giovani incalzano. La nuova generazione è più sveglia, rifiuta i matrimoni combinati, accetta soltanto alcuni dei costumi tradizionali e con riluttanza. Anche il vecchio Giappone sta morendo, e le insegne dei bar ce lo rammentano. L’occidente ha preso il sopravvento. Film minimalista, con una vena di tristezza in più, rassegnazione forse, e un’ironia stanca, che ride di sé per non commiserarsi.Ozu, nel 1960, coglie la transizione della sua Nazione, dall’antico al moderno, riflessa in una vicenda familiare, nel particolare sta l’universale. Un dramma umano e storico raffigurato coi toni della commedia, un ideogramma che sta per struggente, malinconico, senso dell’ineluttabile impermanenza, composto da fotogrammi color pastello con sottofondo di chiacchiericci giocosi. Il mezzo attuale, innervato dalla tradizione, lascia traccia di un mondo che s’avvia al tramonto, travolto dall’inevitabilità delle trasformazioni imminenti, che lasceranno soltanto ricordi, nella vita di un uomo come in quella di un popolo, tra nostalgia e rimpianto. A noi un film. Uno degli ultimi ikebana di Ozu.
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