luigi de grossi
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mercoledì 10 luglio 2002
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un film "boreale"
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"Touch of Evil" è una summa delle tematiche più care a Wells: una impietosa riflessione sull'ambiguità della giustizia, sull'impossibilità di gestire il potere con trasparenza, sul valore dell'amicizia e la necessità del tradimento (Joseph Calleia dopo una vita di fedeltà e obbedienza nel bene e sopratutto nel male, tradisce il suo capitano ed amico) in nome di una giustizia che è comunque impossibile e utopistica. Welles sconvolge la sintassi narrativa del genere poliziesco e fa un film modernissimo, molto in anticipo sui tempi a cui fa da contrappunto una funanbolica cronologia del tempo : non è mai giorno e non è mai notte,la notte si confonfonde con il giorno e il giorno precipita in una plumbea notte dell'anima, o pittosto della colpa.
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"Touch of Evil" è una summa delle tematiche più care a Wells: una impietosa riflessione sull'ambiguità della giustizia, sull'impossibilità di gestire il potere con trasparenza, sul valore dell'amicizia e la necessità del tradimento (Joseph Calleia dopo una vita di fedeltà e obbedienza nel bene e sopratutto nel male, tradisce il suo capitano ed amico) in nome di una giustizia che è comunque impossibile e utopistica. Welles sconvolge la sintassi narrativa del genere poliziesco e fa un film modernissimo, molto in anticipo sui tempi a cui fa da contrappunto una funanbolica cronologia del tempo : non è mai giorno e non è mai notte,la notte si confonfonde con il giorno e il giorno precipita in una plumbea notte dell'anima, o pittosto della colpa. Welles inventa un tempo narrativo "boreale" la cui livida luce pervade il paesaggio e risucchia i personaggi e lo spettatore in un abbraccio dal quale sarà difficile liberarsi.
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rambo
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giovedì 31 maggio 2001
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capolavoro gigantesco
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Vargas (Heston), poliziotto messicano in viaggio di nozze con la moglie (Leigh) in America, assiste a un attentato. Nel tentativo di collaborare alle indagini si scontrerà col capitano Quinlan (Welles), famoso per i suoi modi poco puliti.
Partendo da una semplice storia poliziesca e con a disposizione pochi giorni di riprese, Welles ha realizzato un noir memorabile, capace di riflettere sul labile confine tra bene e male con una profondità difficilmente raggiunta altre volte al cinema grazie anche all’ ambiguo personaggio interpretato proprio dal regista, un poliziotto “sporco e disonesto” ma dall’ intuito infallibile. Il celebre piano-sequenza d’ apertura che culmina nell’ esplosione, quello ancora più virtuosistico dell’ interrogatorio di Quinlan al ragazzo sospettato dell’ omicidio, gli allucinanti momenti di prigionia della Leigh, in pratica tutto l’ impressionante lavoro sull’ immagine con grandangoli, inquadrature trasversali, forti contrasti di luce danno al film una dimensione davvero titanica alla quale è impossibile resistere.
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Vargas (Heston), poliziotto messicano in viaggio di nozze con la moglie (Leigh) in America, assiste a un attentato. Nel tentativo di collaborare alle indagini si scontrerà col capitano Quinlan (Welles), famoso per i suoi modi poco puliti.
Partendo da una semplice storia poliziesca e con a disposizione pochi giorni di riprese, Welles ha realizzato un noir memorabile, capace di riflettere sul labile confine tra bene e male con una profondità difficilmente raggiunta altre volte al cinema grazie anche all’ ambiguo personaggio interpretato proprio dal regista, un poliziotto “sporco e disonesto” ma dall’ intuito infallibile. Il celebre piano-sequenza d’ apertura che culmina nell’ esplosione, quello ancora più virtuosistico dell’ interrogatorio di Quinlan al ragazzo sospettato dell’ omicidio, gli allucinanti momenti di prigionia della Leigh, in pratica tutto l’ impressionante lavoro sull’ immagine con grandangoli, inquadrature trasversali, forti contrasti di luce danno al film una dimensione davvero titanica alla quale è impossibile resistere. Il film è stato rimontato nel 1999 secondo le indicazioni dello stesso Welles e allungato di alcune scene mancanti dalla prima versione (soprattutto è maggiormente serrato il montaggio della formidabile sequenza finale)
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andrea
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lunedì 14 maggio 2001
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"l’uomo dai mille volti (tecnici e attoriali)"
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Capolovoro assoluto del cinema wellesiano dominato, anche quando non è fisicamente in campo, dal titanico personaggio di Quinlan, la cui dolcezza ed umanità emerge prepotentemente quando cerca (perché in questi momenti e solo in questi tutti sembrano non rispettarlo e l’interrompono con disprezzo, schiacciando il suo es ed il suo io e dimostrando così di essere interessati soltanto al suo “super-io”[il ruolo sociale di capitano di polizia]) di ricordare la sua tragedia: l’omicidio della moglie che cerca di esorcizzare utilizzando la stessa tecnica nel folle omicidio di Grande (Tamiroff). In questa scena il grandangolo, la fotografia di Metty (alla seconda esperienza con Welles dopo “The Stranger”, ma già intervenuto addizionalmente ne “L’orgoglio degli Amberson”) e i “furibondi” movimenti della m.
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Capolovoro assoluto del cinema wellesiano dominato, anche quando non è fisicamente in campo, dal titanico personaggio di Quinlan, la cui dolcezza ed umanità emerge prepotentemente quando cerca (perché in questi momenti e solo in questi tutti sembrano non rispettarlo e l’interrompono con disprezzo, schiacciando il suo es ed il suo io e dimostrando così di essere interessati soltanto al suo “super-io”[il ruolo sociale di capitano di polizia]) di ricordare la sua tragedia: l’omicidio della moglie che cerca di esorcizzare utilizzando la stessa tecnica nel folle omicidio di Grande (Tamiroff). In questa scena il grandangolo, la fotografia di Metty (alla seconda esperienza con Welles dopo “The Stranger”, ma già intervenuto addizionalmente ne “L’orgoglio degli Amberson”) e i “furibondi” movimenti della m.d.p. rendono baroccamente e splendidamente delirante la sequenza. L’estrema complessità di Quinlan, in cui spietatezza e umanità lottano instancabilmente una contro l’altra, deriva, nella sua contraddittorietà d’impianto, dal fatto che in questo personaggio Welles condensa tratti e caratteri delle precedenti interpretazioni nei suoi film da regista-attore-sceneggiatore-produttore e nelle “partecipazioni esterne”. “Mostruosa”, sconcertante al di là della padronanza assoluta del grandangolo (usato dice Welles: « unicamente perché gli altri cineasti non se ne sono serviti…il cinema è come una colonia…voglio occupare un campo libero e lavorarci » ) e della profondità di campo (di cui aveva già mostrato padronanza assoluta assieme al grandangolo a 25 anni con “Quarto potere” e nel successivo “L’orgoglio degli Amberson”) è la modernità dei movimenti della m.d.p. In questo Welles raggiunge i massimi risultati espressionisticamente espressivi nella simbiosi raggiunta con il montaggio che porta a preferire l’articolatissima e magistrale scena finale rispetto al pur meraviglioso piano-sequenza d’apertura degno di entrare in ogni antologia cinematografica. In conclusione con questa pellicola Welles “non fa altro” che continuare a dimostrare “di aver imparato la tecnica in quattro giorni e di servirsene”, come pochissimi altri per continuità e rendimento nella storia del cinema, “per fare dell’arte”.
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(di mel)
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