L'infernale Quinlan |
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Un film di Orson Welles.
Con Janet Leigh, Charlton Heston, Marlene Dietrich, Orson Welles.
continua»
Titolo originale Touch of Evil.
Poliziesco,
Ratings: Kids+13,
b/n
durata 93 min.
- USA 1958.
MYMONETRO
L'infernale Quinlan
valutazione media:
4,02
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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"L’uomo dai mille volti (tecnici e attoriali)"di AndreaFeedback: 0 |
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lunedì 14 maggio 2001 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Capolovoro assoluto del cinema wellesiano dominato, anche quando non è fisicamente in campo, dal titanico personaggio di Quinlan, la cui dolcezza ed umanità emerge prepotentemente quando cerca (perché in questi momenti e solo in questi tutti sembrano non rispettarlo e l’interrompono con disprezzo, schiacciando il suo es ed il suo io e dimostrando così di essere interessati soltanto al suo “super-io”[il ruolo sociale di capitano di polizia]) di ricordare la sua tragedia: l’omicidio della moglie che cerca di esorcizzare utilizzando la stessa tecnica nel folle omicidio di Grande (Tamiroff). In questa scena il grandangolo, la fotografia di Metty (alla seconda esperienza con Welles dopo “The Stranger”, ma già intervenuto addizionalmente ne “L’orgoglio degli Amberson”) e i “furibondi” movimenti della m.d.p. rendono baroccamente e splendidamente delirante la sequenza. L’estrema complessità di Quinlan, in cui spietatezza e umanità lottano instancabilmente una contro l’altra, deriva, nella sua contraddittorietà d’impianto, dal fatto che in questo personaggio Welles condensa tratti e caratteri delle precedenti interpretazioni nei suoi film da regista-attore-sceneggiatore-produttore e nelle “partecipazioni esterne”. “Mostruosa”, sconcertante al di là della padronanza assoluta del grandangolo (usato dice Welles: « unicamente perché gli altri cineasti non se ne sono serviti…il cinema è come una colonia…voglio occupare un campo libero e lavorarci » ) e della profondità di campo (di cui aveva già mostrato padronanza assoluta assieme al grandangolo a 25 anni con “Quarto potere” e nel successivo “L’orgoglio degli Amberson”) è la modernità dei movimenti della m.d.p. In questo Welles raggiunge i massimi risultati espressionisticamente espressivi nella simbiosi raggiunta con il montaggio che porta a preferire l’articolatissima e magistrale scena finale rispetto al pur meraviglioso piano-sequenza d’apertura degno di entrare in ogni antologia cinematografica. In conclusione con questa pellicola Welles “non fa altro” che continuare a dimostrare “di aver imparato la tecnica in quattro giorni e di servirsene”, come pochissimi altri per continuità e rendimento nella storia del cinema, “per fare dell’arte”.
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