paola di giuseppe
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lunedì 9 agosto 2010
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racconti tra realtà e fiaba
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Ispirato da due racconti di Ueda Akinari e dai Racconti soprannaturali di Maupassant,Ugetsu Monogatari è girato nel Giappone del dopoguerra ed esprime istanze sociali nuove per l'industria cinematografica. La rappresentazione della condizione femminile, tema centrale in Mizoguchi, diventa qui indagine storica e analisi di costume,critica sociale e sguardo sulla condizione umana tout court.
In questa prospettiva tutti i personaggi,non solo quelli femminili, sono termini di uno scandaglio psicologico che ne fa modelli di un’umanità verso la quale si esercita,profonda,la pietas dell’autore.
Uomini che sbagliano e,dolorosamente consapevoli,pagano le conseguenze delle loro azioni in un estremo tentativo di riscatto, convivono con figure femminili che dominano la scena come punti di luce nella straordinaria varietà dei toni chiaroscurali che segnano quest’opera, anche sul piano sonoro oltre che visivo.
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Ispirato da due racconti di Ueda Akinari e dai Racconti soprannaturali di Maupassant,Ugetsu Monogatari è girato nel Giappone del dopoguerra ed esprime istanze sociali nuove per l'industria cinematografica. La rappresentazione della condizione femminile, tema centrale in Mizoguchi, diventa qui indagine storica e analisi di costume,critica sociale e sguardo sulla condizione umana tout court.
In questa prospettiva tutti i personaggi,non solo quelli femminili, sono termini di uno scandaglio psicologico che ne fa modelli di un’umanità verso la quale si esercita,profonda,la pietas dell’autore.
Uomini che sbagliano e,dolorosamente consapevoli,pagano le conseguenze delle loro azioni in un estremo tentativo di riscatto, convivono con figure femminili che dominano la scena come punti di luce nella straordinaria varietà dei toni chiaroscurali che segnano quest’opera, anche sul piano sonoro oltre che visivo.
La storia di Ugetsu oscilla tra realtà e fiaba nella regione rurale Ohmi, alla fine del secolo XVI.
Due coppie di giovani vivono del loro lavoro in un villaggio, povero come tanti in età feudale.
Genjuro è un bravo vasaio e il fratello Tobei un contadino che sogna di diventare samurai.
Un po’ romantico ma di debole volontà il primo,artista di un’arte minore,la ceramica,sguardo di cane buono non immune da involontaria ferocia nell’irresponsabilità che lo contraddistingue di fronte ai suoi doveri di padre e marito;più rozzo il secondo, personaggio picaresco,un miles gloriosus su cui ridere,se la sua presenza non lasciasse una tragica orma sul destino della moglie Ohama.
La guerra civile si avvicina e i due uomini abbandonano le donne, la casa,il figlio,per inseguire le loro ambizioni di guadagno e di gloria.Lutti e rovina si abbatteranno sulle due famiglie e inutili saranno state le esortazioni delle mogli,lucide, quasi profetiche precorritrici di sventure,Cassandre di un mondo in cui la violenza non perdona l’intelligenza che si fa bontà,dedizione, annullamento di sè.
La storia di questi destini si dipana in un susseguirsi di quadri di stupefacente bellezza pittorica,un movimento circolare attraversa il tempo della narrazione,inizia e finisce nel villaggio e nella casa di Genjuro,la macchina segue le evoluzioni della vicenda,dapprima comune e poi parallela,di uomini e donne che appaiono e scompaiono in un tessuto narrativo complesso ma che ha la stessa trasparenza leggera di una fiaba e di questa tutta la forza evocatrice e l’eco fantastica.
La traversata fra le brume del lago Biwa,lo spuntare nella nebbia del barcaiolo morente, inquietante figura Acherontea,l’apparire fra veli bianchi della bellissima Wakasa,donna tentatrice eppure così fragile e indifesa nella sua inconsistenza fantasmatica,l’oscillare tra reale e irreale negli interni del palazzo dell’amore che rompe i vincoli famigliari di Gensjuro e che solo il sutra sanscrito dipinto sul suo corpo salverà,e,infine,la popolana,festosa baldanza del corteo del novello samurai Tobei,il chiasso del bordello,le scene strazianti dello stupro di Ohama e della morte di Miyagi col figlioletto che piange legato alla sua schiena,tutto questo straordinario convivere di elementi disparati,molteplici,rutilanti, in un’architettura filmica compatta,tesa e insieme fluida e trasparente, fanno di Ugetsu Monogatari una grande pagina nella storia dell’arte.
La sequenza finale è una delicata elegia e insieme un compianto funebre, è lo svelamento della fiaba e lo sguardo verso un futuro forse migliore.
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il cinefilo
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domenica 13 marzo 2011
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i racconti della luna pallida d'agosto
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La storia(regista e sceneggiatori si sono ispirati a due racconti di A.Ueda e a quelli di Maupassant)inizia con la presentazione dei due fratelli protagonisti i quali,mossi dall'ambizione nonchè dall'intenzione di lasciarsi alle spalle la povertà,partono insieme alle loro mogli in cerca di fortuna ma finiranno in rovina...ma se nella prima parte del film l'ambientazione appare pervasa dal tragico realismo nella seconda e per uno dei due fratelli(il vasaio Genjuro)la vicenda assume una connotazione surreale e fiabesca la cui grandezza estetica e narrativa è capace di destare un fascino incredibile e un coinvolgimento emotivo che il tempo non ha scalfito minimamente.
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La storia(regista e sceneggiatori si sono ispirati a due racconti di A.Ueda e a quelli di Maupassant)inizia con la presentazione dei due fratelli protagonisti i quali,mossi dall'ambizione nonchè dall'intenzione di lasciarsi alle spalle la povertà,partono insieme alle loro mogli in cerca di fortuna ma finiranno in rovina...ma se nella prima parte del film l'ambientazione appare pervasa dal tragico realismo nella seconda e per uno dei due fratelli(il vasaio Genjuro)la vicenda assume una connotazione surreale e fiabesca la cui grandezza estetica e narrativa è capace di destare un fascino incredibile e un coinvolgimento emotivo che il tempo non ha scalfito minimamente...almeno per quanto riguarda me.
Tobei vorrebbe diventare un grande samurai ed è talmente ossessionato da questa idea da rasentare l'imbecillità sprofondando nella più totale incoscienza finendo quindi per perdere la moglie che si scoprirà ridotta,successivamente,a lavorare come prostituta dopo aver perso"l'onore" per essere stata violentata da alcuni soldati e in quest'immagine drammatica emerge nuovamente l'interesse del regista ad analizzare la condizione in cui riversava la donna nel medioevo feudale giapponese...ma emerge anche da alcuni dialoghi tra Genjuro e il fantasma della donna che si è innamorata di lui e in cui,attraverso il lento passaggio dal clima spettrale e misterioso del palazzo durante la seduzione dell'uomo fino all'apparente estasi nel giardino insieme alla misteriosa e affascinante entità femminile,lo splendore onirico e inquietante della storia raggiunge il suo livello più ammaliante e contemporaneamente indecifrabile nei suoi complicati simbolismi orientali.
All'amore morboso e intenso per lo spettro si contrappongono poi le miserie della realtà con la brutale uccisione della moglie di Genjuro e la vigliacca arrampicata alla gloria di Tobei che viene consacrato come un eroe per un azione coraggiosa in realtà mai compiuta...ma viene punito dal destino non appena si accorge della drammatica condizione in cui è precipitata la sua povera moglie...e per la quale rinuncerà alla sua nuova situazione per cercare di rimediare al suo gesto.
Genjuro,grazie anche all'aiuto di un paesano,riuscirà a liberarsi dalla morbosa morsa dello spettro e tornare a casa dalla moglie...apparentemente viva ma in realtà fantasma anch'essa e che egli,il giorno dopo e insieme al figlio,inizierà a vegliare sul suo corpo sepolto vicino alla loro dimora...conclusione:fino ad oggi si tratta,probabilmente,del miglior film giapponese che abbia mai visionato.
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great steven
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sabato 21 novembre 2015
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la storia di un pacato vasaio e un futuro samurai.
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I RACCONTI DELLA LUNA PALLIDA D'AGOSTO (GIAP, 1953) diretto da KENJI MIZOGUCHI. Interpretato da MASAYUKI MORI, MACHIKO KYO, KINUYO TAKANA, EITARO OZAWA
Giappone, fine del sedicesimo secolo: a causa dell’arrivo di un’orda di feroci guerrieri assetati di sangue e desiderosi di spargere razzie un po’ dappertutto, due fratelli (uno stimato vasaio e lo scemo del villaggio che sogna di diventare un samurai) sono costretti ad abbandonare le proprie case e, insieme alle mogli e ai figli, fuggono in cerca di un riparo dalla guerra. Attraversando un fiume, vengono però a sapere da un moribondo pescatore che le sue acque sono infestate dai pirati, così i due uomini convincono le consorti a rimanere a terra per evitare di incappare in pericoli più gravi, mentre loro proseguono la navigazione.
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I RACCONTI DELLA LUNA PALLIDA D'AGOSTO (GIAP, 1953) diretto da KENJI MIZOGUCHI. Interpretato da MASAYUKI MORI, MACHIKO KYO, KINUYO TAKANA, EITARO OZAWA
Giappone, fine del sedicesimo secolo: a causa dell’arrivo di un’orda di feroci guerrieri assetati di sangue e desiderosi di spargere razzie un po’ dappertutto, due fratelli (uno stimato vasaio e lo scemo del villaggio che sogna di diventare un samurai) sono costretti ad abbandonare le proprie case e, insieme alle mogli e ai figli, fuggono in cerca di un riparo dalla guerra. Attraversando un fiume, vengono però a sapere da un moribondo pescatore che le sue acque sono infestate dai pirati, così i due uomini convincono le consorti a rimanere a terra per evitare di incappare in pericoli più gravi, mentre loro proseguono la navigazione. Il vasaio, vendendo la propria bellissima merce ad un mercato rionale, incontra un’affascinante acquirente: una ricca ragazza proveniente da una famiglia benestante che in breve volger di tempo ne fa il suo amante e lo ospita nella sua sontuosa villa. Quanto all’altro fratello, riesce a farsi ammettere in un plotone militare di samurai facendo credere a tutti che ha ucciso un generale nemico (che in realtà era soltanto un soldato semplice), ma la realizzazione del suo sogno incontra ben prestò un amaro cambiamento quando viene a sapere che la compagna è diventata una prostituta. Infine, il vasaio si ricorda della sua vera famiglia e rivela la verità alla donna ricca che lo ospita, per tornare in conclusione dalla moglie e dal figlio e riprendere con loro la vecchia esistenza. Premiato col Leone d’Argento al Festival di Venezia 1953, è un superbo capolavoro di pathos, tensione, denuncia dei mali causati dall’uomo e conoscenza profonda dei moventi che lo animano, nel quale tutti questi elementi sono perfettamente amalgamati per fornire agli spettatori una storia avvincente ricca di colpi di scena tutt’altro che assurdi e piazzati male, che fa al tempo stesso riflettere ed emozionare, rispettivamente per la complessità del sottotesto introspettivo/psicologico e per il coordinamento di un’azione sapientemente congegnata e gestita con molta intelligenza. Mizoguchi è considerato non solo il più grande regista della sua nazione, ma addirittura uno dei più illustri ed eccelsi professionisti del cinema mondiale, e questo titolo gli spetta con ogni sorta di merito, perché da uno che è capace di trasformare un semplice artigiano dei vasi in un eroe popolare che si eleva, tramite i propri comportamenti e le proprie decisioni, a giudice di un periodo storico che muove una perspicace polemica contro i conflitti e la società feudale. Alla base del film ci sono due racconti tratti da una raccolta di novelle tradizionali, nelle quali il sentimento nei confronti del feudalesimo e della guerra è assolutamente identico a quello che mostrano le immagini audiovisive di quest’opera monumentale che, pur non risparmiando nessuno fra coloro che di mestiere diffondono la cattiveria, non manca di aprire una rosea speranza per un futuro dove le donne e gli uomini taglieggiati e perseguitati possano coesistere in pace come onesti lavoratori e capifamiglia assennati e tranquilli. Un bianco e nero di sublime suggestione. Mai doppiato in italiano, lo si può reperire in DVD con i sottotitoli nella nostra lingua. Il che non fa che aggiungere suggestione e magica delicatezza alla sua aura di magnificenza e splendore. Nominato agli Oscar 1956 per i migliori costumi. Avrebbe senz’altro meritato anche una candidatura come migliore film straniero.
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carloalberto
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mercoledì 10 giugno 2020
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il wabi sabi per rinascere
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Mizoguchi, ispirandosi liberamente ad alcuni episodi dei Racconti di pioggia e di luna di Ueda Akinari, coglie l’occasione per raccontare il suo popolo nel frangente storico che sta penosamente vivendo nel 1953, dopo appena otto anni dalla fine della guerra, e, forse per sfuggire alla censura degli occupanti, ambienta la sua storia nel sedicesimo secolo, quando gli shogun si contendevano militarmente il Paese. La sua opera si presta, quindi, ad una doppia lettura, filologica letteraria, con risvolti moralistici, come le favole di Esopo, ed una allegorica, con un significato nascosto, per comunicare al mondo le sofferenze ed i sogni del suo popolo. Nelle due donne è riposta la sapienza delle tradizioni che insegnano la semplicità come modello di vita, il Wabi-sabi, il godere delle piccole cose, rammentando l’impermanenza delle stesse e la caducità dell’esistenza, il gusto di far bene il proprio lavoro, visto come fine e non come mezzo per ottenere gloria o ricchezze materiali, entrambe destinate all’oblio.
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Mizoguchi, ispirandosi liberamente ad alcuni episodi dei Racconti di pioggia e di luna di Ueda Akinari, coglie l’occasione per raccontare il suo popolo nel frangente storico che sta penosamente vivendo nel 1953, dopo appena otto anni dalla fine della guerra, e, forse per sfuggire alla censura degli occupanti, ambienta la sua storia nel sedicesimo secolo, quando gli shogun si contendevano militarmente il Paese. La sua opera si presta, quindi, ad una doppia lettura, filologica letteraria, con risvolti moralistici, come le favole di Esopo, ed una allegorica, con un significato nascosto, per comunicare al mondo le sofferenze ed i sogni del suo popolo. Nelle due donne è riposta la sapienza delle tradizioni che insegnano la semplicità come modello di vita, il Wabi-sabi, il godere delle piccole cose, rammentando l’impermanenza delle stesse e la caducità dell’esistenza, il gusto di far bene il proprio lavoro, visto come fine e non come mezzo per ottenere gloria o ricchezze materiali, entrambe destinate all’oblio. Ma i rispettivi mariti, gli uomini, sono sordi a quegli antichi richiami e si avventurano, ognuno per la sua strada, a cercare danaro e fama. Come non vedere in queste storie parallele simbolicamente rappresentato il Giappone contemporaneo del regista, nei villaggi saccheggiati e distrutti dalle scorribande dell’invasore la desolazione delle città e delle campagne, la povertà seguita alla disfatta della recente guerra, come non vedere nel demone ammaliatore, la novella maga Circe, le lusinghe della nuova cultura edonistica degli stranieri che promette agi, comodità e piaceri materiali, tutti vani e illusori fantasmi, che soltanto grazie ai rimedi di un vecchio monaco buddista rivelano la loro vera natura di morte. Mizoguchi condanna le smanie militariste del suo Paese, rappresentato dall’aspirante samurai, che hanno causato, con la nefasta avventura nel secondo conflitto mondiale, la caduta della nazione madre nelle mani del nemico, che ne ha fatto scempio, conducendola alla prostituzione e a una vita dissoluta. Il primo fortunoso successo di Pearl Harbor si può paragonare alla testa raccolta del generale nemico e portata a vanto delle sue imprese guerresche dal vanaglorioso aspirante al capo dei samurai per ottenere onori e prebende. I due uomini entrambi sconfitti e delusi, torneranno al villaggio, al duro lavoro nei campi e all’arte del fabbricare vasi di terracotta, dipinti con colori sgargianti. L’uno ha sofferto l’infamia di vedere la propria moglie servire in un bordello, come le tante giapponesi che per fame si prostituirono agli americani nel dopoguerra, l’altro, invece, è più fortunato, su di lui veglia lo spirito della moglie ferita a morte, dai soldati ubriachi, nel corpo, ma non nello spirito, come la madre patria ferita a morte a Hiroshima e Nagasaki ma che sopravvive nello spirito grazie alle sue secolari tradizioni. Nel culto degli avi è riposta la speranza che le nuove generazioni in futuro riscoprano le antiche tradizioni e sappiano ascoltare quegli stessi insegnamenti che i loro padri hanno tradito. Così, nell’ultima scena, il bambino correrà a portare la ciotola di riso in offerta votiva sulla tomba della madre.
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