Rashômon |
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Un film di Akira Kurosawa.
Con Toshirô Mifune, Machiko Kyô, Masayuki Mori, Takashi Shimura.
continua»
Titolo originale Rasho-mon.
Drammatico,
Ratings: Kids+16,
b/n
durata 88 min.
- Giappone 1950.
MYMONETRO
Rashômon
valutazione media:
4,49
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Quattro versioni d'un delitto accaduto in un boscodi Great StevenFeedback: 70023 | altri commenti e recensioni di Great Steven |
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gioved́ 26 marzo 2015 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
RASHOMON (GIAP, 1950) diretto da AKIRA KUROSAWA. Interpretato da TOSHIRO MIFUNE, MACHIKO KYO, MASAYUKI MORI, TAKASHI SHIMURA, MINORU CHIAKI, FUMIKO OMNA, KICHIJIRO UEDA, DAISUKE KATO
«La vita degli uomini è più effimera della rugiada che si scoglie nel primo mattino»: così il contadino interrogato dalla polizia conclude i suoi pensieri riguardo il fatto sul quale è stato costruito tutto il film. Del quale è opportuno analizzare gli aspetti caratteristici: in un passato dai contorni medioevali non meglio definito, un samurai viene ucciso in un bosco mentre vi passeggia tranquillamente in compagnia della moglie biancovestita. Le circostanze e le cause della sua morte sono l’oggetto dei testimoni che hanno assistito al suo omicidio e che vanno a raccontare l’accaduto alle forze dell’ordine, informate tempestivamente del delitto. Il primo a parlare è l’agricoltore sopracitato, che riferisce di aver visto l’evento luttuoso quando si trovava di passaggio nel bosco. Una seconda versione viene fornita da un feroce e maniacale bandito, ritenuto senza troppa convinzione come il responsabile dell’assassinio del defunto, il quale ammette da reo confesso di aver commesso l’atto incriminato, ma solo perché spinto in quella direzione dalla donna. È poi quest’ultima a esporre la sua personale versione dei fatti, a un certo punto trasfigurata e distorta da un incantesimo metafisico che la fa parlare con la voce del marito morto. Intendendo ritrattare la sua precedente esposizione, il taglialegna consegna nelle mani della giustizia una quarta e ultima versione del reato, aggiungendo ai fatti già noti un duello appassionato combattuto ad armi pari fra il samurai e il brigante pazzoide. Il film si apre col taglialegna, il giovane sacerdote e il muratore che parlano dell’omicidio recentemente avvenuto al riparo sotto un tetto da un acquazzone scrosciante, e si chiude nel medesimo luogo col boscaiolo che se ne va portando in braccio un pargoletto piangente, abbandonato dai genitori per cause sconosciute. Kurosawa ha messo in piedi un apologo realistico ed esplicativo della vita umana, regolata spesso da leggi tribali silenziose e dominata irreversibilmente da come le cose vengono raccontate, quindi sempre secondo i punti di vista, tutti veri e tutti falsi al tempo stesso, senza che nessuno cerchi mai di inseguire una verità autentica che possa rendere gli esseri umani davanti di fronte alla legge e a un’eventuale entità superiore. La presenza di un dio osservatore e scrutatore è auspicata tacitamente da tutti i personaggi di questo film estremamente drammatico e riflessivo, ma poi le conseguenze delle loro azioni rimandano ad un destino gestito per intero da un’umanità destinata preventivamente al fallimento, al dubbio e alla vana evasione dai pericoli che l’esistenza predispone di fronte a loro, come un sadico e scanzonato gioco al massacro. Come in altre opere del regista, i suoi due attori feticci – lo squilibrato, nevrastenico Mifune e il meditabondo, riflessivo Shimura – prendono parte alle interpretazioni migliori, le quali sanno distinguersi per un piglio recitativo che rasenta il sublime grazie ad una ricerca certosina delle imperfezioni umane e a un impegno infinitesimale che permette ad entrambi un lavoro coerente e funzionale. Un’ultima nota, questa volta polemica, va rivolta alla critica europea e americana: è un peccato che, nel cosiddetto Occidente del nostro pianeta, il cinema giapponese venga ignorato e bollato come semplice e noiosa replica dei film in cappa e spada che si vedono comparire sovente nei due continenti summenzionati. La terra nipponica ha saputo figliare registi e attori da ammirare senza riserve per la passione con cui trattano temi elevati quali la giustizia umana di fronte al Padreterno, la necessità della violenza, l’utilità delle congregazioni di stampo militaresco e la difesa dei più deboli operata da individui eroici. Questi uomini artisticamente valenti (Mifune, Kurosawa, Shimura, ecc.) andrebbero rivalutati e riconsegnati all’onore che hanno saputo meritarsi diffondendo nel mondo un modo di girare i film che nessuno ha saputo imitare con lo stesso puntiglio laborioso e la stessa tensione narrativa ed elaborativa.
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