Diceva Marco Ferreri, il regista più anarchico del cinema italiano, che per combinare qualcosa bisogna riportare l'uomo allo stato brado, al livello animale (lo pensava anche Dino Risi): Ciprì e Maresco sono i registi che sono andati più all'estremo nella loro polemica contro una società non soltanto siciliana per la quale nutrono un dichiarato profondo disprezzo. La loro arte è quella laica e libera che periodicamente ha fatto scandalo (vedi "La dolce vita" di Fellini o i film di Pasolini) e che secondo pareri autorevoli di intellettuali e perfino di magistrati può avere un significato salutare. Le battaglie, in genere vittoriose, del cinema contro la censura hanno dimostrato che l'arte può fiorire solo nella libertà: il caso politico di questo film fu l'abolizione della norma sul divieto assoluto di visione che la competente commissione di primo grado aveva per l'ultima volta decretato (anche se prima dell'approvazione del disegno di legge la commissione d'appello aveva già dato il nulla osta col divieto ai minori di 18 anni). Nel degrado di una Palermo dominata dalla mafia il cui clima oppressivo era reso in maniera straordinaria dalla fotografia di Luca Bigazzi, si muovevano in un clima allucinato e apocalittico i personaggi della rubrica "cinico tv" che li rese celebri se non mitici, specialmente tra i giovani. Con immagini di straordinaria forza visionaria, Ciprì e Maresco disegnavano le figure di un girone dantesco, tra la tragedia e la vignetta satirica. In "Totò che visse due volte" già dai titoli di testa si avverte il senso di un'altro mondo, come nel "Satyricon" felliniano. Qualcosa ricorda "2001", oltre a Pasolini. L'ironia nel sacro rimanda invece a Bunuel. L'evidenza della rappresentazione (con momenti decisamente teatrali) costituisce l'umiltà di un film che rispetta il sacro, che sa rendere in maniera scandalosa. Momenti di cinema nero e horror si alternano con quelli surreali, con svolte nella vignetta comica. A volte il film ha la forza espressiva del cinema muto, e alcune composizioni fotografiche hanno una grande bellezza pittorica. Di una libertà fino allo sperimentalismo, il film, in tutta la sua sgradevolezza, riesce a rivelare lo stato magico della realtà come capita solo ai capolavori altissimi (Rossellini ad esempio) anche se rivela un'umanità che può essere riscattata (come avveniva in Pasolini) solo dalla gratuità della grazia, malgrado la propria scelleratezza.
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