michaelis
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giovedì 7 aprile 2005
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sporcarsi le mani.
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Germi ferroviere che rientrato a casa lava le sue mani sporche di grasso sbatte in faccia allo spettatore il realismo del lavoro e la fatica di vivere di un uomo e della sua famiglia. Con il Ferroviere Germi riesce non solo a esplorare la dura realtà dell'Italia post bellica, ma sopratutto naviga tra le condizioni sociali e psicologiche. Riuscendo a evidenziare non solo la dura realtà quotidiana, non solo la dura e faticosa vita operaia, ma riesce ad andare oltre, varcando le soglie della casa operaia.l'estratto sociale mostratoci da Germi, si avvicina alla realtà come pochi altri film hanno fatto. Il susseguirsi di scelte fatte dal pater familia lavoratore, portano la famiglia a ribellarsi a una serie di sue decisioni che non riescono a capire.
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Germi ferroviere che rientrato a casa lava le sue mani sporche di grasso sbatte in faccia allo spettatore il realismo del lavoro e la fatica di vivere di un uomo e della sua famiglia. Con il Ferroviere Germi riesce non solo a esplorare la dura realtà dell'Italia post bellica, ma sopratutto naviga tra le condizioni sociali e psicologiche. Riuscendo a evidenziare non solo la dura realtà quotidiana, non solo la dura e faticosa vita operaia, ma riesce ad andare oltre, varcando le soglie della casa operaia.l'estratto sociale mostratoci da Germi, si avvicina alla realtà come pochi altri film hanno fatto. Il susseguirsi di scelte fatte dal pater familia lavoratore, portano la famiglia a ribellarsi a una serie di sue decisioni che non riescono a capire. Il lavoro, la lotta politica operaia, il rifiuto di partecipare allo sciopero fanno apparire il ferroviere come un crumiro servo dei padroni. Però non riusciamo ad odiarlo, non riusciamo ad accusarlo, lo vediamo e lo osserviamo mentre tutto gli sfugge di mano. Tutto gli scivola via, la sua famiglia, il lavoro, gli amici, un uomo che vede crollare tutti i suoi valori. La vera lezione "realista" che Germi regala allo spettattore va oltre la sofferenza dell'operaio e le sue condizioni ingloriose. Il realismo è da ricercarsi nella dura vita familiare, nelle decisioni non accettate e nella rottura con i suoi cari. Germi ci lascia con un figlioletto, che riesce ancora a credere nel genitore, Germi ci lascia con un uomo che ha ancora la forza di continuare ad amare, ci regala la forza di credere nella famiglia, neglia amici, nella vita. La vita che il nostro ferroviere vedrà scivolargi tra le mani come il suo sapone.
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ziogiafo
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giovedì 6 settembre 2007
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il cinema essenziale…
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ziogiafo - Il Ferroviere - Italia 1955 – Questo appassionante film è sicuramente da annoverare tra le prestigiose pellicole del Cinema italiano di qualità, se non altro per la sua semplicità e per il forte impatto emotivo che riesce a dare la storia, grazie ad un superlativo Pietro Germi nel doppio ruolo di attore-regista che si cala nei panni del protagonista in maniera naturale in una complessa umanità richiesta dall’austero ma realistico ferroviere, carico di antica moralità e passionalità nell'affrontare le problematiche familiari dell’epoca. Il film inquadra la figura stoica del macchinista Andrea Marcocci che non si risparmia di fronte all’estenuante lavoro che purtroppo lo massacra ma non lo premia, anzi per una serie di problemi lo fa ritrovare solo ad affrontare una realtà sociale che non accetta e che combatte con tutte le sue forze.
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ziogiafo - Il Ferroviere - Italia 1955 – Questo appassionante film è sicuramente da annoverare tra le prestigiose pellicole del Cinema italiano di qualità, se non altro per la sua semplicità e per il forte impatto emotivo che riesce a dare la storia, grazie ad un superlativo Pietro Germi nel doppio ruolo di attore-regista che si cala nei panni del protagonista in maniera naturale in una complessa umanità richiesta dall’austero ma realistico ferroviere, carico di antica moralità e passionalità nell'affrontare le problematiche familiari dell’epoca. Il film inquadra la figura stoica del macchinista Andrea Marcocci che non si risparmia di fronte all’estenuante lavoro che purtroppo lo massacra ma non lo premia, anzi per una serie di problemi lo fa ritrovare solo ad affrontare una realtà sociale che non accetta e che combatte con tutte le sue forze. Nella furia coinvolge suo malgrado moglie e figli, involontarie vittime di un dramma familiare tipico di quel neorealismo profondo che conferisce alla figura paterna un ruolo di riferimento solido per tutti, a prescindere dai modi di fare e dal carattere non facile. Amore ed odio si alternano in uno scenario commovente, reso affascinante dallo stile narrativo del grande regista e dalla buona capacità recitativa degli altri attori. Il doppiaggio è di alta classe per i protagonisti, struggente è la colonna sonora che accompagna questo spaccato di vita italiana in un ritratto d’epoca memorabile che viene premiato dalla critica con un Nastro d’argento per la migliore regia.
Il Cinema essenziale… da non perdere! Cordialmente ziogiafo
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greatsteven
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giovedì 12 aprile 2018
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germi supera sé stesso con un capolavoro sensibile
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IL FERROVIERE (IT, 1955) di PIETRO GERMI. Con PIETRO GERMI, LUISA DELLA NOCE, SYLVA KOSCINA, SARO URZì, CARLO GIUFFRè, RENATO SPEZIALI, EDOARDO NEVOLA, RICCARDO GARRONE, AMEDEO TRILLI, ANTONIO ACQUA
Andrea Marcocci è un conducente di treno sposato con tre figli, dal maggiore al minore: Marcello, Giulia e Sandrino. Lavora sulla linea ferroviaria Bologna-Venezia-Firenze insieme al collega ed amico Pier Luigi Liverani, suo compagno di lavoro e di bevute, dato che Andrea ha il pessimo vizio di indulgere troppo tempo in osteria a tracannare bicchieri e bicchieri di vino. Il che comporta scompensi anche e soprattutto all’interno della sua famiglia: la moglie Sara è sempre meno affettuosa e più distante; Giulia rimane incinta di Renato Borghi, negoziante che lavora presso una rimessa di caramelle, e partorisce un bambino nato morto; Marcello si sveglia sempre tardi alla mattina e non trova un lavoro per la sua inettitudine; Sandrino riporta solo brutti voti a scuola.
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IL FERROVIERE (IT, 1955) di PIETRO GERMI. Con PIETRO GERMI, LUISA DELLA NOCE, SYLVA KOSCINA, SARO URZì, CARLO GIUFFRè, RENATO SPEZIALI, EDOARDO NEVOLA, RICCARDO GARRONE, AMEDEO TRILLI, ANTONIO ACQUA
Andrea Marcocci è un conducente di treno sposato con tre figli, dal maggiore al minore: Marcello, Giulia e Sandrino. Lavora sulla linea ferroviaria Bologna-Venezia-Firenze insieme al collega ed amico Pier Luigi Liverani, suo compagno di lavoro e di bevute, dato che Andrea ha il pessimo vizio di indulgere troppo tempo in osteria a tracannare bicchieri e bicchieri di vino. Il che comporta scompensi anche e soprattutto all’interno della sua famiglia: la moglie Sara è sempre meno affettuosa e più distante; Giulia rimane incinta di Renato Borghi, negoziante che lavora presso una rimessa di caramelle, e partorisce un bambino nato morto; Marcello si sveglia sempre tardi alla mattina e non trova un lavoro per la sua inettitudine; Sandrino riporta solo brutti voti a scuola. Tutto questo rende Andrea un uomo burbero e violento, sebbene la cattiveria non rientri nel suo carattere a prescindere. Ma poi un giorno, nel pieno esercizio delle sue funzioni, investe un suicida e subito dopo non rispetta un segnale rosso, il che fa aprire un’inchiesta che coinvolge i medici che debbono visitare i ferrovieri per constatarne le condizioni psicofisiche, il sindacato dei ferrovieri stessi che intende indire uno sciopero e il Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture, che degrada Marcocci assegnandogli incarichi inferiori, il che gli fa diminuire la sua fierezza di lavoratore, lui che era sempre stato devoto al mestiere. Non aderendo allo sciopero, l’ormai ex macchinista viene additato dai colleghi come un crumiro e perde la loro solidarietà, sentendosi abbandonato da tutti benché la responsabilità dell’incidente che lo ha coinvolto non sia da imputare a lui. Nel frattempo la prosecuzione, con relativo aumento, del vizio alcolico lo porta a contrarre una malattia cardiaca, e solo la vigilia di Natale riesce a riunire famiglia ed amici per aggregarsi ad una felicità che da tempo gli mancava e di cui avvertiva un disperato bisogno. Ma, proprio mentre chiede a Sara la chitarra che prima suonava davanti agli amici all’osteria intonando canzoni allegre, la morte lo coglie, con profondo sconforto di tutti i famigliari, soprattutto di Sandrino, simbolo della più candida innocenza filiale. Accusato da una parte della critica di essere un film di sinistra che abbraccia tendenze deamicisiane, altre fazioni ne hanno invece apprezzato il taglio neorealista e intimistico che mette in mostra al meglio le doti di Germi (1914-1974) sia come attore che come regista, schivando le facili accuse di moralismo populista e inserendo l’opera nel quadro dell’Italia appena uscita dalla Seconda Guerra Mondiale che tenta di rifarsi una nomea agli occhi del mondo, ma soprattutto di sé stessa, affidandosi al lavoro di uomini che lo sanno svolgere al meglio. Malgrado non siano poi all’altezza come persone umane. Andrea Marcocci è uno dei migliori macchinisti che traffichino sui piazzali degli anni ’50, ma la sua brutalità caratteriale gli impedisce di avvicinarsi alle persone con l’amore e la pazienza necessarie a tessere rapporti che gli permettano di vivere anche la sua non facile (perché massacrante e snervante) professione secondo le regole della piena tolleranza morale. La produzione della pellicola doveva essere affidata alla ditta Ponti-De Laurentiis, ma infine fu il solo Carlo Ponti a portarla a termine, perché, considerando che nemmeno credeva nel progetto, propose per la parte dell’attore principale nomi impossibili come Spencer Tracy e Broderick Crawford. Fu l’ottimo sceneggiatore Alfredo Giannetti, che scrisse la sceneggiatura assieme all’inossidabile Luciano Vincenzoni e allo stesso regista, a comprendere che Germi avrebbe funzionato impersonando il ruolo fondamentale, in quanto conosceva la storia e aveva non solo il physique-du-rôle adeguato, ma anche le doti argute e migliori per regalare al pubblico il fautore in toto di una storia melodrammatica, strappalacrime e spezzacuori. Una vicenda che consegna uno spaccato sociologico di un Paese riemergente, che risale a fatica la china ma non s’arrende dinanzi alle difficoltà e che trova, nel bollore ardente che fa sudare la fronte e piega la schiena durante lo sforzo sovrumano della ripresa, i valori fondanti e onnipresenti della famiglia. Quello stesso nucleo che Marcocci finirà per disgregare a causa del suo vizio peggiore da cui non sa distaccarsi perché vi trova divertimento, ma che tutto sommato apprezza perché sa che può contare solo su quello e sul suo lavoro. A parte i famigliari e la ferrovia, non ha altri appigli cui appoggiarsi. Il suo è dunque anche il calvario di una solitudine, alimentato per giunta dall’indifferenza delle istituzioni che lo accusano e gli affibbiano nomignoli inadatti per le sue scelte comunque coerenti, che non comprendono le sue motivazioni e lo ritengono responsabile di un atto che ha commesso contro la sua volontà, come lui stesso ammette proprio perché il poveretto aveva calcolato bene i suoi tempi. Un reparto femminile di prim’ordine, a partire da una Della Noce perfetta nelle vesti della moglie casalinga pragmatica ma non opprimibile a una ventiduenne S. Koscina meravigliosamente a suo agio nei panni della figlia: delusa, desiderosa di un riscatto, sballottata fra più relazioni, distrutta dal rapporto destrutturante col padre. Brillano anche S. Urzì come Liverani (pacioso e bonario) e C. Giuffrè come Renato (non invadente e dalla recitazione misurata e a briglia stretta). Ma la vera sorpresa è il piccolo E. Nevola, che talvolta si atteggia anche a narratore della storia, conferendole quel tratto di bianca ingenuità che contribuisce ad intensificare il tratto realistico e teatraleggiante di un film che raggiunge in pieno i suoi obiettivi di raccontare un quadro specifico, trattandolo come una tela da dipingere coi colori della verità, dell’incomprensione non percepita né desiderata, del bisogno in fondo evitabile della violenza fisica e verbale e della traslucidità degli sguardi offerti dai suoi personaggi, anti-maschere che recitano con sapienza ineccepibile e tracciano un riquadro sofferto del tema precipuo di quei giorni: la lotta contro la povertà e la fame.
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antonio pagano
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lunedì 30 dicembre 2019
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il turno delle fontane
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Andrea Marcocci (Pietro Germi) è un ferroviere allegro ma bevitore e irascibile alle prese con un lavoro duro, mitigato dall’amicizia con l’inseparabile collega Gigi (Saro Urzì), ed una famiglia dove la sua intransigenza si misura con la remissiva moglie Sara (Luisa Della Noce) e i figli Giulia (Sylva Koscina), sentimentalmente tormentata, Marcello (Renato Speziali), velleitario e avventato, e il piccolo Sandrino (Edoardo Nevola), che invece lo adora senza se e senza ma. Quando il ferroviere viene emarginato dal lavoro perdendosi per osterie e i due figli maggiori si allontanano da casa il dramma appare completo e irreversibile.
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Andrea Marcocci (Pietro Germi) è un ferroviere allegro ma bevitore e irascibile alle prese con un lavoro duro, mitigato dall’amicizia con l’inseparabile collega Gigi (Saro Urzì), ed una famiglia dove la sua intransigenza si misura con la remissiva moglie Sara (Luisa Della Noce) e i figli Giulia (Sylva Koscina), sentimentalmente tormentata, Marcello (Renato Speziali), velleitario e avventato, e il piccolo Sandrino (Edoardo Nevola), che invece lo adora senza se e senza ma. Quando il ferroviere viene emarginato dal lavoro perdendosi per osterie e i due figli maggiori si allontanano da casa il dramma appare completo e irreversibile.
Un film a metà tra il dramma familiare, di cui ricorrono tutti gli ingredienti classici (incomprensioni, segreti, fallimenti, abbandoni, etc.), e la corrente neorealista del cinema italiano (le mani sporche di grasso, il vivere quotidiano, i conflitti sindacali, etc.). Anche l’esito del dramma, cioè il recupero di dignità di Andrea, avviene grazie alla fusione tra il recupero commovente degli affetti familiari e la solidarietà operaia. Nessuno poteva essere più credibile di Pietro Germi nel ruolo del ferroviere che mette un accento sulla sua intera e nutrita filmografia, come regista, attore e sceneggiatore.
Accanto a lui spicca il personaggio intenso di Giulia, la cui interprete è indicata nei titoli di testa semplicemente come “Silva”, risibile italianizzazione dell’attrice croata Sylva Koscina al suo primo ruolo cinematografico importante: tra gli anni ’60 e ’80 sarà un’icona sensuale della commedia all’italiana, proprio a cominciare dal nome esotico.
L’Italia è quella degli anni ’50: nei condomìni popolari c’era il turno delle fontane, nelle osterie si cantava e si beveva sotto cartelli del tipo “spaghetti a tutte le ore” e “giovedì gnocchi”, la Polizia aveva in dotazione le jeep Willis lasciate dagli Americani, il rapido Milano-Roma ci metteva sette ore e l’agente di condotta di un treno si chiamava “macchinista in prima”. All’epoca un bambino scriveva con pennini intinti nell’inchiostro e faceva il monello con la fionda, oggi posta video su TikTok.
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luca scial�
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giovedì 7 agosto 2014
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esageratamente drammatico
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Pietro Germi ci racconta la vita dura dei macchinisti, attraverso le disavventure, anche private, di Andrea Marcocci. Porta in scena anche l'ipocrisia dei sindacati e del Ministero eccessivamente severo quando vuole. Il suo protagonista ha anche dei difetti, come il troppo bere, che gli porta anche ripercussioni negative in famiglia. Una serie di sventure, problemi, nervosismi, che tramutano la vita del protagonista in un incubo. A stargli vicini solo il figlio più piccolo e la moglie. La sinistra lo avversò per aver travisato la vita dei ferrovieri, come farà anche per l'Uomo di paglia.
Ma a questa pellicola, al di là di assurde critiche ideologiche, va forse rimproverato l'eccessivo inseguimento del dramma, che rischia di trasformarlo in un patetico strappalacrime anziché una commedia dai risvolti drammatici.
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Pietro Germi ci racconta la vita dura dei macchinisti, attraverso le disavventure, anche private, di Andrea Marcocci. Porta in scena anche l'ipocrisia dei sindacati e del Ministero eccessivamente severo quando vuole. Il suo protagonista ha anche dei difetti, come il troppo bere, che gli porta anche ripercussioni negative in famiglia. Una serie di sventure, problemi, nervosismi, che tramutano la vita del protagonista in un incubo. A stargli vicini solo il figlio più piccolo e la moglie. La sinistra lo avversò per aver travisato la vita dei ferrovieri, come farà anche per l'Uomo di paglia.
Ma a questa pellicola, al di là di assurde critiche ideologiche, va forse rimproverato l'eccessivo inseguimento del dramma, che rischia di trasformarlo in un patetico strappalacrime anziché una commedia dai risvolti drammatici. Germi ha saputo fare di meglio, sebbene, registicamente, non ci sia nulla da rimproverargli. Gli valsero comunque due Nastri d'argento e qualche premio internazionale di secondo piano.
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[+] ferrovieri si nasce
(di paolo)
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