lucio
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domenica 6 maggio 2007
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passero malinconico
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La vita di Edith Giovanna Gassion è incredibile . La sua infanzia tormentata e difficile le ha dato la forza per superare ogni tipo di ostacolo . Il film di Olivier Dahan , struggente e malinconico , ce la mostra in tutta la sua tragicità . Il padre saltimbanco la porta con sé , come una scimmietta ammaestrata , per essere di supporto ai suoi tristi spettacoli di piazza . La scena in cui la piccola canta la Marsigliese ( spronata dal genitore che le dice " dai , inventa qualcosa " )è da antologia . Quello è il momento della catarsi .
La voce che esce dal suo piccolo e malnutrito petto commuove il pubblico presente e arriva qualche monetina . Da lì inizia il cammino che la porterà in cima al mondo .
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La vita di Edith Giovanna Gassion è incredibile . La sua infanzia tormentata e difficile le ha dato la forza per superare ogni tipo di ostacolo . Il film di Olivier Dahan , struggente e malinconico , ce la mostra in tutta la sua tragicità . Il padre saltimbanco la porta con sé , come una scimmietta ammaestrata , per essere di supporto ai suoi tristi spettacoli di piazza . La scena in cui la piccola canta la Marsigliese ( spronata dal genitore che le dice " dai , inventa qualcosa " )è da antologia . Quello è il momento della catarsi .
La voce che esce dal suo piccolo e malnutrito petto commuove il pubblico presente e arriva qualche monetina . Da lì inizia il cammino che la porterà in cima al mondo . Edith , dagli occhi azzurri e velati di tristezza , sopravviverà a molte disgrazie.
Amori , aerei che cadono , bordelli , alcol , droghe , passioni incendiarie e una infinita voglia di raccontare , in musica , il senso profondo dell'esistenza , ne faranno un simbolo immortale dello spettacolo . L'attrrice francese Marion Cotillard sembra provenire da un'altra galassia . La sua interpretazione della Piaf è sublime , straordinaria , potente e convincente . Un bravo regista , un cast eccellente e una storia vera . Ecco cosa ci vuole per dare nuova linfa al cinema europeo .
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bartolo fontana
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lunedì 7 maggio 2007
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mome
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La Vie En Rose
Marion Cotillard interpreta Edith Piaf, la grande cantante col fisico di un passerotto ma dalla voce di un’aquila reale.
Per capire la bravura della Cotillard, bisognerebbe vedere il film “ Un’ottima annata”.
Un attore diventa tale, solo se le sue espressioni si impossessano del personaggio, che non saranno mai uguali all’interpretazione precedente…fino alla perdita della sua totale identità.
Tutto gira attorno a questa artista, la Piaf, che rimane certamente una delle più grandi cantanti del secolo scorso.
Attori dal calibro di Depardieau quasi passano inosservati, tale e tanta è l’intensità del film.
Per fortuna ci sono le canzoni, le musiche che corroborano un attimo lo spirito.
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La Vie En Rose
Marion Cotillard interpreta Edith Piaf, la grande cantante col fisico di un passerotto ma dalla voce di un’aquila reale.
Per capire la bravura della Cotillard, bisognerebbe vedere il film “ Un’ottima annata”.
Un attore diventa tale, solo se le sue espressioni si impossessano del personaggio, che non saranno mai uguali all’interpretazione precedente…fino alla perdita della sua totale identità.
Tutto gira attorno a questa artista, la Piaf, che rimane certamente una delle più grandi cantanti del secolo scorso.
Attori dal calibro di Depardieau quasi passano inosservati, tale e tanta è l’intensità del film.
Per fortuna ci sono le canzoni, le musiche che corroborano un attimo lo spirito. Quasi a lenire la crudezza della vita.
Ma questo film non è solo la biografia di Edith Giovanna Gasson, in arte Edith Piaf.
Olivier Dahan, il regista, si scatena in uno dei più tortuosi tragitti che la mente umana conosca: l’inconscio che sfocia, inevitabilmente, alla destinazione fatale e finale, o semplicemente, destino.
Non solo, egli conosce i sintomi della morte, con quei segnali premonitori. La nascita di un essere umano è sempre una proiezione impazzita in avanti, nel futuro.
Poi, la boa, il suo giro.
E allora, lentamente, si torna indietro con i ricordi, i sapori, le sensazioni, gli odori, i profumi.
Quasi un’ironia: ci si avvicina al proprio parto ma si intuisce, poi, che la nascita è solo l’inizio della morte.
Ma non si saprà mai se si tornerà nuovamente a nascere.
In fondo la morte è solo una bellissima bugia, disse qualcuno.
La Mome ( titolo originale ) non è una biografia, soltanto.
E’ un po’ della nostra vita.
Ironica, come solo la vita sa essere.
Fino alla morte.
Lei, il “Passerotto”, cresciuta in un bordello.
Lei, che non aveva mai avuto una famiglia, respinta dalla madre.
Accettata, forse più per interesse, dal padre.
Mai una famiglia, mai il calore di una carezza vera se non quella delle sue corde vocali.
Mai nulla di suo, veramente.
Tutto e sempre solo da condividere, anzi da dividere.
Anche per l’unico vero e grande amore della sua vita, morto tragicamente in un incidente aereo.
Mai una famiglia, dunque.
Eppure, sulla sua tomba sovrasta una sola scritta: FAMILLE Gassino-Piaf.
Famille.
E non è ironia questa, se non avere tutto quando nulla più ti appartiene?
Nacque non voluta in una strada putrida di Parigi.
Al suo funerale, la seguirono oltre quarantamila persone e ben undici automobili furono necessarie per portare i fiori.
“ Due occhi che fanno abbassare i miei.
Un sorriso che si perde sulla sua bocca.
Ecco il ritratto senza ritocchi
Dell’uomo a cui appartengo”. ( La Vie En Rose – La Vita In Rosa )
Signore e signori, questa è stata Edith Piaf.
Bartolo Fontana
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[+] un film che tradisce la grande piaf
(di roberto casiraghi)
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leonardo62
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lunedì 11 febbraio 2008
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film emotivamente riuscito ma diseguale.
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Non c'è dubbio che il film di Dahan sulla Piaf abbia il dono dell'originalità, e di una lettura non convenzionale e piatta della sua difficile vita, come non c'é dubbio che per tutto il film risalti il senso dell'emozione prodotto dalla sua inconfondibile voce senza che al tutto venga dato un significato troppo didascalico (bellissima al proposito la scena, commentata dalla colonna sonora ma "muta" della sua voce del suo primo trionfo pubblico), infine molto poetica l'evocazione della sfortunata storia d'amore con Marcel Cerdan e molto bella la scena in piano sequenza in cui lei apprende della sciagura aerea in cui Cerdan perse la vita. Detto questo si ha comunque l'impressione di un film che servito da una sceneggiatura migliore e più accurata avrebbe potuto dirsi pienamenbte riuscito; troppi infatti i passi del film che sorvolano velocemente su fatti e personaggi che risultano poco chiari a chi non conosca già la vicenda e troppo poco accento sull'ambiente culturale che circondava la Piaf e che lei contibuiva a influenzare, anche con un'attività poetica non indifferente, mentre il film si concentra soprattutto sugli aspetti più "da strada" della sua vicenda.
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Non c'è dubbio che il film di Dahan sulla Piaf abbia il dono dell'originalità, e di una lettura non convenzionale e piatta della sua difficile vita, come non c'é dubbio che per tutto il film risalti il senso dell'emozione prodotto dalla sua inconfondibile voce senza che al tutto venga dato un significato troppo didascalico (bellissima al proposito la scena, commentata dalla colonna sonora ma "muta" della sua voce del suo primo trionfo pubblico), infine molto poetica l'evocazione della sfortunata storia d'amore con Marcel Cerdan e molto bella la scena in piano sequenza in cui lei apprende della sciagura aerea in cui Cerdan perse la vita. Detto questo si ha comunque l'impressione di un film che servito da una sceneggiatura migliore e più accurata avrebbe potuto dirsi pienamenbte riuscito; troppi infatti i passi del film che sorvolano velocemente su fatti e personaggi che risultano poco chiari a chi non conosca già la vicenda e troppo poco accento sull'ambiente culturale che circondava la Piaf e che lei contibuiva a influenzare, anche con un'attività poetica non indifferente, mentre il film si concentra soprattutto sugli aspetti più "da strada" della sua vicenda. Alla fine rimane l'emozione di "Je ne regrette rien" e comunque non è poco.
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maryluu
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martedì 4 marzo 2008
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una vita non molto "rosea"
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Avevo già sentito parlare di Edith Piaf. Come non conoscere il suo grande successo " La vie en rose". Non mi ero mai interessata però alla sua biografia, ritenendo più interessante lasciarmi estasiare delle malinconiche e soavi note delle sue canzoni. Dopo aver visto questo bellissimo film ho rimpianto di non aver letto niente prima. La storia raccontata da Dahan, ricca di flash back e ricordi sbiaditi destinati a scomparire col tempo lasciando un alone indelebile, è la vita della chanteuse francese, molto travagliata e poco "en Rose".
Violentemente e continuamente allontanata dai suoi affetti più cari visse sempre in bilico tra solitudine e popolarità, povertà e ricchezza, amore e morte.
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Avevo già sentito parlare di Edith Piaf. Come non conoscere il suo grande successo " La vie en rose". Non mi ero mai interessata però alla sua biografia, ritenendo più interessante lasciarmi estasiare delle malinconiche e soavi note delle sue canzoni. Dopo aver visto questo bellissimo film ho rimpianto di non aver letto niente prima. La storia raccontata da Dahan, ricca di flash back e ricordi sbiaditi destinati a scomparire col tempo lasciando un alone indelebile, è la vita della chanteuse francese, molto travagliata e poco "en Rose".
Violentemente e continuamente allontanata dai suoi affetti più cari visse sempre in bilico tra solitudine e popolarità, povertà e ricchezza, amore e morte.
Nota significativa è la sua devozione per Santa Teresa, cui rivolge ogni preghiera possibile.
La sua vita è alternata da fortuna e sfortuna che giocano un ruolo drammatico ma profondo. Sarà la morte dell'amato pugile Marcel a portarla definitivamente sul letto di morte, anche se piuttosto giovane.
Dietro questa immagine di donna triste e sfortunata si celava un immane talento. Una grande arte. Una donna affascinante e intelligente.
Il mio grande applauso va a Marion Cotillard, vincitrice del premio Oscar come miglior attrice protagonista 2008. Ho atteso un pò per scrivere questa recensione per accertarmi di questa meritatissima vincita.
Egregie le ambientazioni, connotate dal contrasto perenne, come la vita della protagonista. La dolce Parigi e la gelida New York rendono omaggio a un talento senza tempo e senza spazio.
Le musiche eccelse di Edith sono il contorno perfetto di un "piatto" già gustoso e ottimo.
Il film si conclude con la canzone simbolo della sua vita:"Je ne regrette rien" cioè " Non rimpiango nulla" per sottolineare che nonostante visse molto drammaticamente , Edith si ritenne contenta in punto di morte, di aver vissuto quella vita. La sua vita.
Ottimo film, davvero consigliato!
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(di lilli)
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sara
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venerdì 9 novembre 2007
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emozionante
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"Quand il me prend dans ses bras, Qu'il me parle tout bas,Je vois la vie en rose…" cantava Édith Piaf nella canzone che dona il titolo a questo bio-pic a lei dedicato. Una donna con una vita che di rosa ha ben poco: una salute cagionevole, un'infanzia passata tra bordelli e saltimbanchi, una vita sempre segnata da eccessi e da una dose di sfortuna capace di far diventare scaramantico anche l'ultimo degli illuministi e finita a soli 48 anni a causa di una broncopolmonite.
Una vita costellata di fatti drammatici che Olivier Dahan scrive e dirige senza voler essere didascalico, ma cercando di dare un'interpretazione al tutto e non una semplice costruzione temporale. Ecco quindi che fin dall'inizio la storia si svolge su più piani temporali, la gioventù è legata al declino (fisico, mai artistico), il successo all'incapacità di vivere una vita "normale" che sempre l'ha accompagnata.
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"Quand il me prend dans ses bras, Qu'il me parle tout bas,Je vois la vie en rose…" cantava Édith Piaf nella canzone che dona il titolo a questo bio-pic a lei dedicato. Una donna con una vita che di rosa ha ben poco: una salute cagionevole, un'infanzia passata tra bordelli e saltimbanchi, una vita sempre segnata da eccessi e da una dose di sfortuna capace di far diventare scaramantico anche l'ultimo degli illuministi e finita a soli 48 anni a causa di una broncopolmonite.
Una vita costellata di fatti drammatici che Olivier Dahan scrive e dirige senza voler essere didascalico, ma cercando di dare un'interpretazione al tutto e non una semplice costruzione temporale. Ecco quindi che fin dall'inizio la storia si svolge su più piani temporali, la gioventù è legata al declino (fisico, mai artistico), il successo all'incapacità di vivere una vita "normale" che sempre l'ha accompagnata. Si viaggia per associazioni di idee, come un collage: per andare dal rosso al giallo, si deve passare per l'arancione. La colonna sonora è ovviamente fondamentale. Dahal ha il merito di non farla mai diventare l'apice di un qualsiasi spezzone, ma sempre una (splendida) conseguenza, o più semplice accompagnamento. Al centro c'è la Piaf, non le sue canzoni. E così si spiega la splendida scelta di non far sentire la voce della protagonista proprio nel momento in cui si esibisce per la prima volta con un grande pubblico, la prima tappa della sua ascesa, per sostituirla con un sottofondo stile carillon che lega concettualmente l'evento alla dolcezza dell'infanzia (in fondo la Piaf sembra sempre una bambina nel film).
Un film bello, ricco di trovate registiche interessanti che evita di fare un'apologia (data l'importanza della Piaf in Francia era possibile cadere nella trappola), ma dando una precisa idea della donna che si celava dietro quella voce così ricca. Stona giusto un poco la scelta di fare vedere la morte della figlia solo a fine film, quando è chiaro che si è trattato di un evento che ha segnato ogni attimo della vita futura della Piaf, e la storia d'amore con il pugile Marcel Cerdan.
Marion Cotillard, splendida in "Un'ottima annata", diventa una superba Piaf a scapito dell'estetica. La voce quando canta è di Jil Aigrot, ma lei come attrice è comunque bravissima. Ottimo anche il resto del cast. I sottotitoli ci sono solo per le canzoni il cui testo ha una particolare importanza a livello narrativo.
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gre
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domenica 5 agosto 2007
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ama
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"Le vie en rose" è senza dubbio il film più bello di questa ultima stagione cinematografica.
Racconta,con semplicità la vita di Edith Piaf, liberandola di tutti quei fronzoli luccicanti che hanno sempre ricoperto la sua figura fino a nasconderla. Oliver Dahan ripercorre il vissuto della cantante non cronologicamente bensì per contrasti; dalla nascita alla morte, dalla prima esibizione sui marciapiedi di Francia all'ultima, dalla fama alla malattia, dall'amore alla morte... Tutto ciò colpisce lo spettatore arrivando dritto al suo cuore.
Il film risulta, anche nella drammaticità, essere fine e semplicie; ciò infatti contraddistingue il grande cinema francese, perchè questo, signori, è l'ultimo perfetto esempio di grande cinema.
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"Le vie en rose" è senza dubbio il film più bello di questa ultima stagione cinematografica.
Racconta,con semplicità la vita di Edith Piaf, liberandola di tutti quei fronzoli luccicanti che hanno sempre ricoperto la sua figura fino a nasconderla. Oliver Dahan ripercorre il vissuto della cantante non cronologicamente bensì per contrasti; dalla nascita alla morte, dalla prima esibizione sui marciapiedi di Francia all'ultima, dalla fama alla malattia, dall'amore alla morte... Tutto ciò colpisce lo spettatore arrivando dritto al suo cuore.
Il film risulta, anche nella drammaticità, essere fine e semplicie; ciò infatti contraddistingue il grande cinema francese, perchè questo, signori, è l'ultimo perfetto esempio di grande cinema.
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serenella
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sabato 1 settembre 2007
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un' emozione grandissima: il film la vie en rose
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Bellissimo film che coinvolge emotivamente lo spettatore fin dalle prime scene.Commovente e di esempio per tutti la grande forza d'animo e la grande capacità di dare amore di Edith. Traspare la sua vita come conseguenza di un infanzia estremamente triste. Descrizione magnifica dell'infanzia in cui si coglie e si percepisce il dolore e l'infelicità di questa piccola Edith per cui la sua vita successiva è frutto di quel suo passato. Il regista e gli attori hanno reso tutto cio' chiaro e semplice.
Se Edith tutta la vita ha rincorso l'amore e' perchè non si e' sentita amata da piccola, soprattutto dalla madre che rappresenta l'universo per qualsiasi bambino.
Il merito del regista è quello di aver permesso alla figura di questa piccola e nello stesso tempo grandissima donna di entrare nel cuore dello spettatore e rimanerci per tutta la vita .
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Bellissimo film che coinvolge emotivamente lo spettatore fin dalle prime scene.Commovente e di esempio per tutti la grande forza d'animo e la grande capacità di dare amore di Edith. Traspare la sua vita come conseguenza di un infanzia estremamente triste. Descrizione magnifica dell'infanzia in cui si coglie e si percepisce il dolore e l'infelicità di questa piccola Edith per cui la sua vita successiva è frutto di quel suo passato. Il regista e gli attori hanno reso tutto cio' chiaro e semplice.
Se Edith tutta la vita ha rincorso l'amore e' perchè non si e' sentita amata da piccola, soprattutto dalla madre che rappresenta l'universo per qualsiasi bambino.
Il merito del regista è quello di aver permesso alla figura di questa piccola e nello stesso tempo grandissima donna di entrare nel cuore dello spettatore e rimanerci per tutta la vita .
Grazie Edith di esserci stata !!!!!Non puoi non commuoverti nel vedere il film questo è dovuto anche all'ottima interpretazione degli attori ma è la stessa vita di Edith che provoca una stretta al cuore.
Questa piccola donna che ha rincorso tutta la vita l'amore dandosi generosamente a chi le stava vicino.
Il regista ha saputo trasmettere tutto questo allo spettatore per cui consiglio a tutti la visione di questo splendido film. Serenella
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[+] una piccola grande donna
(di marioconsiglio@tiscali.it)
[ - ] una piccola grande donna
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riccardo-87
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martedì 15 giugno 2010
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la scintilla di vita nel cuore di edith piaf
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Oliver Dahan mette qui in scena una delle vite più tormentate e al contempo più intense della storia della musica: la vita di Edith Piaf. La cantante francese è ritratta in maniera estremamente suggestiva in questo film che, facendo anche largo uso della tecnica del flashback, prende in esame la sua vita per intero, dall’età di cinque anni sino alla sua morte, mostrando il percorso che porta Edith a cantare “non, je ne regrette rien”. Il registra mostra quindi tutte le angosce e le gioie che costellarono la vita della cantante, dal periodo della sua infanzia vissuto in un bordello, alla morte del figlio, ai primi successi e all’incontro con Cerdan sino alla morte di lui, e il periodo ultimo della sua vita, le sue depressioni ma anche la sua forza di reagire e di ritornare infine sul palco.
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Oliver Dahan mette qui in scena una delle vite più tormentate e al contempo più intense della storia della musica: la vita di Edith Piaf. La cantante francese è ritratta in maniera estremamente suggestiva in questo film che, facendo anche largo uso della tecnica del flashback, prende in esame la sua vita per intero, dall’età di cinque anni sino alla sua morte, mostrando il percorso che porta Edith a cantare “non, je ne regrette rien”. Il registra mostra quindi tutte le angosce e le gioie che costellarono la vita della cantante, dal periodo della sua infanzia vissuto in un bordello, alla morte del figlio, ai primi successi e all’incontro con Cerdan sino alla morte di lui, e il periodo ultimo della sua vita, le sue depressioni ma anche la sua forza di reagire e di ritornare infine sul palco. La vita della cantante, come si dice bene nella critica, non è tuttavia descritta in maniera “didascalica” ma “libera”, e questo permette allo spettatore di cogliere la tragicità degli eventi ma anche la vitalità di lei, la forza che esprime sempre nel cantare e il suo amore per la vita– si pensi all’intervista sulla spiaggia, quando le viene chiesto “che consiglio darebbe a una donna? E a una ragazza? E a un bambino?” a cui lei risponde sempre “ama”-. Inoltre lo spettatore ha il piacere di riascoltare tutte le canzoni più famose di una cantante che a definirla unica pare già di sminuirla, da “milord” a “la vie en rose” sino a “non, je ne regrette rien”. Con questo film lo spettatore riesce davvero a “viaggiare” e a “sentirsi nuovamente a Parigi”, meriti riconosciuti a Piaf dopo che nel film ha cantato “la vie en rose”; come era riuscito a fare Milos Forman in “Amadeus”, nel film di Oliver Dahan si riesce a comprendere il motivi per cui Edith riesce a cantare alcune canzoni con tale forza espressiva, motivo innervato nel fatto che esse sono parte della sua vita stessa - “sì, questa è proprio la mia vita!” esclama “il passerotto” dopo aver sentito per la prima volta “je ne regrette rien”; e non diverso è per “la vie en rose”, composta per colui che più di tutto ha significato per lei: “se tu morissi” scrive la cantante rivolta all’amato Cerdan, “non mi chiederei neppure se ti amo o no, perché sarei già morta io stessa”-. Insomma negli occhi della Edith Piaf di Dahan (magistralmente interpretata da Marion Cotillard), si riesce a vedere quella scintilla vitale che la cantante ha indubbiamente portato nel suo cuore lungo la sua tormentata esistenza, scintilla che, una volta esternata, non può non commuovere lo spettatore, perché è proprio questa che ci rende umani nel senso più spettacoloso di questo termine, che risveglia in noi le emozioni, le passioni e i sentimenti, che ci ricorda il senso più profondo del nostro vivere e del nostro sperare.
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silver90
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martedì 14 aprile 2020
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corpo, voce e performance
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Una voce straordinaria, capace di raggiungere vette inimmaginabili, in un corpo troppo piccolo per contenerla, e un nome, che legato a quello della Francia li avrebbe portati molto in alto insieme: questa era Edith Giovanna Gassion, al secolo Edith Piaf, secondo il personale ritratto che ne fa il regista Oliver Dahan. La voce calda gliela diede il cielo, a lei figlia disgraziata di un’artista incompresa e di un contorsionista ubriaco, costretta a vivere in continue ristrettezze economiche e a fronteggiare le miserie dell’esistenza sin dalla più tenera età. Il nome Piaf, “uccellino”, le fu imposto invece dall’impresario Louis Lepleé quando la strappò dalla strada e la portò ad esibirsi nel suo locale, creando il personaggio della Mome.
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Una voce straordinaria, capace di raggiungere vette inimmaginabili, in un corpo troppo piccolo per contenerla, e un nome, che legato a quello della Francia li avrebbe portati molto in alto insieme: questa era Edith Giovanna Gassion, al secolo Edith Piaf, secondo il personale ritratto che ne fa il regista Oliver Dahan. La voce calda gliela diede il cielo, a lei figlia disgraziata di un’artista incompresa e di un contorsionista ubriaco, costretta a vivere in continue ristrettezze economiche e a fronteggiare le miserie dell’esistenza sin dalla più tenera età. Il nome Piaf, “uccellino”, le fu imposto invece dall’impresario Louis Lepleé quando la strappò dalla strada e la portò ad esibirsi nel suo locale, creando il personaggio della Mome. Da quel momento, quell’uccellino minuto, fragile e incredibilmente forte avrebbe spiccato il volo verso la fama e il successo, e mai avrebbe rimesso piede sulla terra, trascorrendo gli anni a venire a pencolo sui drammi di un’esistenza tormentata. Sarebbe morta di polio a 48 anni, dimostrandone almeno venti di più, consumata dalla droga e dagli eccessi... In Francia, è risaputo, amano soffrire, ed è per questo che non deve meravigliare che una figura come quella di Edith Piaf, artista brava quanto sfortunata, continui a suscitare in patria profondo interesse e sincera commozione, al punto da aver ricevuto già due adattamenti cinematografici. La vita di Edith Piaf non fu affatto una lunga “vita in rosa”, come avrebbero meritato il suo enorme talento e lo spessore delle sue esibizioni canore – seppure spesso sostenute da una buona dose di morfina – quanto piuttosto una continua altalena fra alti e bassi, grandi gioie e immensi dolori, discese a rotta di collo e faticose risalite. Quello di Dahan non è l’ultimo film biopic, memorialistico e celebrativo, sulla grande cantante, e non diversamente dagli altri, rappresenta l’ennesimo tributo dei francesi ad un mito nazionale e ad un’artista dal valore universale. Suggestionato dal contrasto stridente fra le precarie condizioni fisiche e le possibilità espressive della sua voce, Olivier Dahan non si è limitato a descriverne la storia, cercando di cogliere, un passaggio dopo l’altro e una sfaccettatura dopo l’altra, i diversi aspetti della personalità della Piaf: dall’infanzia serena presso il bordello della nonna paterna, circondata dall’affetto della prostituta Titine, a quella poverissima con il padre girovago; dall’adolescenza “borderline” vissuta con l’amica fraterna Momone chiedendo l’elemosina sui marciapiedi parigini, sino alla lenta consacrazione sui palcoscenici di tutto il mondo. Proprio come in un lungo vagheggiamento, la regia di Dahan opera una selezione di immagini e contenuti, soffermandosi sulla breve ma intensa storia d’amore con Marcel Cerdan, pugile campione del mondo con cui la Piaf ebbe una relazione dal 1948 al 1949, e sulla fragilità esteriore e interiore dell’artista. Il film pretende di affrontare tutti gli eventi della sua vita, o almeno i più significativi, quelli che, uniti in un rapporto di causa-effetto, contribuirono a determinare la fisionomia del personaggio Piaf e l’eccezionalità della sua vicenda umana. In accordo con la patina melodrammatica e un po’ stucchevole che avvolge il film sin dalle prime scene, c’è spazio anche per raccontare la malattia che stava per renderla cieca all’età di otto anni, per la perdita di una figlia ancora in età infantile e per una serie di drammi funzionali a ricreare un’atmosfera malinconica e fortemente rievocativa. Per lo stesso motivo, si preferisce invece sorvolare sulle vicende storiche del periodo, agitato dalle due Grandi Guerre e dalle tempeste economiche, e l’adozione di un punto di vista focalizzato sulla vita della protagonista non si traduce mai in un’analisi storica e sociale, se non intravista di scorcio. L'unico possibile riferimento alla Storia resta l’incontro con l’altra grande diva dell’epoca, Marlene Dietrich, risolto con una stretta di mano intensa e piena di significato in un teatro newyorkese. All’intento francesizzante con cui Dahan ha diretto l’interpretazione accorata di Clotilde Coreau nei panni della madre della cantante o ha dato spazio a un pieno Gérard Depardieu nel ruolo dell’impresario Lepleé, va aggiunto un montaggio anomalo e a tratti confusionario che si sforza di seguire i picchi emotivi della protagonista e in cui l’ordine degli eventi non segue quello temporale, pur se ogni passaggio è la diretta conseguenza di quello precedente e la premessa di quello successivo. D’altra parte, se “Le vie en rose” è il capolavoro che ci aspetteremmo, gran parte del merito va a Marion Cotillard, attrice francese finora sconosciuta al grande pubblico, che è riuscita nel compito arduo di imitare alla perfezione la voce non certo suadente, e anzi sgradevole, della Piaf quotidiana, e a ricalcarne le movenze caratteristiche e le espressioni del volto, penetrando nell’intimo del personaggio e illudendoci di essere “realmente” la grande cantante. L’esibizione finale sulle note dolenti di “Je regrette rien” somiglia ad un ideale passaggio di consegne per la Cotillard, la cui luminosa bravura nell’interpretare il ruolo di una vita conferma quello che tutti, vedendo questo film, hanno capito: è per artiste come lei, e come Edith Piaf, che amare l’arte ha ancora senso.
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luca scial�
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giovedì 15 maggio 2014
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degno omaggio a una grande artista
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Edith nasce in una famiglia povera nella piccola cittadina di Grasse. Il padre lavora nel circo come contorsionista, mentre la madre fa la cantante di strada con scarsi successi. Si curano poco di loro, al punto che il padre la porta in una casa di tolleranza, dove sarà allevata da alcune prostitute. Poi se la riprende, per portarla in giro con sé e qui inizia a cantare per strada. Da ragazzina, a Montmatre, viene scoperta da un impresario che la avvia al mondo dello spettacolo e le daì il nome d'arte Piaf (passerotto in dialetto parigino, per il suo aspetto gracilino). Di qui la sua vita sarà un continuo sali-scendi, tra successi ed eccessi, ma anche tanta sfortuna, che la porteranno all'abuso di alcool e droghe e a una morte prematura.
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Edith nasce in una famiglia povera nella piccola cittadina di Grasse. Il padre lavora nel circo come contorsionista, mentre la madre fa la cantante di strada con scarsi successi. Si curano poco di loro, al punto che il padre la porta in una casa di tolleranza, dove sarà allevata da alcune prostitute. Poi se la riprende, per portarla in giro con sé e qui inizia a cantare per strada. Da ragazzina, a Montmatre, viene scoperta da un impresario che la avvia al mondo dello spettacolo e le daì il nome d'arte Piaf (passerotto in dialetto parigino, per il suo aspetto gracilino). Di qui la sua vita sarà un continuo sali-scendi, tra successi ed eccessi, ma anche tanta sfortuna, che la porteranno all'abuso di alcool e droghe e a una morte prematura. Specie per la morte di Michelle, pugile nordafricano che le aveva fatto finalmente trovare l'amore.
Quarto film per Olivier Dahan su una grande cantante, dalla voce unica e inimitabile, ora dolce, ora aggressiva. La vita di Edith Piaf è stata complicata fin da subito e anche quando ha raggiunto il successo, non è stata mai felice. La scelta registica è quella del continuo alternarsi di presente e passato, che si mischiano sapientemente tra un palcoscenico e un camerino, una sfortuna e un successo. Il ruolo della Piaf è affidato a Marion Cotillard, bravissima nelle mimiche facciali e nella postura tipica della cantante. A partire dall'età giovanile fino agli ultimi anni deteriorati dalla malattia al fegato. Commovente, ci mostra la vita della Piaf al di là della Vie en Rose. Ma lei Ne regrette rien...
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