mericol
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domenica 7 luglio 2013
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commedia nella tragedia:un capolavoro di lubitsch
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Nella Varsavia di uno dei periodi più tragici del XX secolo, la compagnia di Josef e Maria Tura recita una satira sul nazismo,ma è costretta a ripiegare sull’Amleto. Il banale, romantico,titolo italiano (Vogliamo Vivere) tradisce il significato del titolo originale(To be or not to be) del film che ha uno dei punti di forza nel monologo dell’Amleto. Attorno al monologo infatti sorge la commedia degli equivoci,dei travestimenti,delle gag,l’incrocio tra la realtà storica e la finzione scenica. Il celebre monologo a momenti è parola d’ordine per i partigiani che organizzano la resistenza, ma contemporaneamente anche alibi per le schermaglie amorose della affascinante prima donna Maria(C.
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Nella Varsavia di uno dei periodi più tragici del XX secolo, la compagnia di Josef e Maria Tura recita una satira sul nazismo,ma è costretta a ripiegare sull’Amleto. Il banale, romantico,titolo italiano (Vogliamo Vivere) tradisce il significato del titolo originale(To be or not to be) del film che ha uno dei punti di forza nel monologo dell’Amleto. Attorno al monologo infatti sorge la commedia degli equivoci,dei travestimenti,delle gag,l’incrocio tra la realtà storica e la finzione scenica. Il celebre monologo a momenti è parola d’ordine per i partigiani che organizzano la resistenza, ma contemporaneamente anche alibi per le schermaglie amorose della affascinante prima donna Maria(C. Lombard) con un affascinante tenente polacco. Commedia deliziosa che coniuga meravigliosamente i due opposti della tragedia e della satira. Fa pensare al “Grande dittatore” (Chaplin) o ai recenti “La vita è bella”(Benigni) e “Train de vie”(Mihaileanu).Peccato che la versione restaurata originale,con sottotitoli italiani, sia distribuita in poche copie. Visibile in poche sale delle grandi città. Un film del 1942 che risulta certamente uno dei più belli dell’ultima stagione. Omaggio a Lubitsch, grande maestro del Cinema mondiale,non adeguatamente apprezzato ai suoi tempi, ma ampiamente rivalutato dai critici dei “Cahiers du Cinema”.Nella Sala di Milano dove ho assistito alla proiezione, applauso spontaneo finale(inusuale) del pubblico.
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mahleriano
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mercoledì 18 novembre 2009
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volete ragionare sul nazismo? guardate questo film
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A fronte di un film su cui in questo periodo molti hanno così seriosamente voluto vedere le origini del nazismo scrivendo fiumi d'inchiostro, mi piace parlare con molta semplicità di questa pellicola, in cui c'è realmente e beffardamente più nazismo di quanto non si immagini lontanamente... La differenza? Quanta vera genialità qui! Il nazismo descritto in queste immagini è reale fin dalla descrizione dell'invasione della Polonia: e non è uno scherzo. Pur presentandosi come commedia, l'avvio è in fondo drammatico, la percezione del dolore che verrà, ben palpitante. E ciononostante... Magia! L'ironia si insinua fin dall'inizio con un monologo memorabile (essere o non essere) che non potrà mai più essere dimenticato, perché apre e chiude il film come soltanto un genio della comicità poteva concepire! Ma perché questo film è ancora così attuale e per nulla datato o scontato?
Perché in questo film gli uomini sono uomini e non indagini di studi filosofici più o meno arroganti.
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A fronte di un film su cui in questo periodo molti hanno così seriosamente voluto vedere le origini del nazismo scrivendo fiumi d'inchiostro, mi piace parlare con molta semplicità di questa pellicola, in cui c'è realmente e beffardamente più nazismo di quanto non si immagini lontanamente... La differenza? Quanta vera genialità qui! Il nazismo descritto in queste immagini è reale fin dalla descrizione dell'invasione della Polonia: e non è uno scherzo. Pur presentandosi come commedia, l'avvio è in fondo drammatico, la percezione del dolore che verrà, ben palpitante. E ciononostante... Magia! L'ironia si insinua fin dall'inizio con un monologo memorabile (essere o non essere) che non potrà mai più essere dimenticato, perché apre e chiude il film come soltanto un genio della comicità poteva concepire! Ma perché questo film è ancora così attuale e per nulla datato o scontato?
Perché in questo film gli uomini sono uomini e non indagini di studi filosofici più o meno arroganti. Gli uomini si innamorano nonostante la guerra, gli uomini pensano al teatro perché non smettono mai di amare il loro mestiere legato così intimamente all'intelligenza e alla passione, gli uomini tramano per riconquistare la libertà, gli uomini prestano la loro arte recitativa per servire una causa e per dimostrare quanto in fondo i loro oppressori siano solo semplici e aberranti burattinai intimamente stupidi. Probabilmente più stupidi di quanto nessuno studio si sia mai degnato di ammettere pubblicamente. E come non notare che una frase come quella pronunciata dal professore all'attrice protagonista la dica tanto più lunga su tante indagini psicologiche, proprio perché in fondo così di bassa lega? "In teatro lei certo sa quanto è importante scegliere la parte giusta... ma anche nella vita si deve saper scegliere qual è la parte giusta... quella che vince..." Chi vuole intendere intenda, altro che bambini sottoposti ad angherie, come purtroppo da sempre accade.
Ed ecco le figure del colonnello e del suo attendente Schultz, certo parodiche, si, ma fino a che punto? Fino a che punto non si vuole ammettere che il nazismo sia stato anche questo? O fino a che punto non ridere alla grande di un rapito saluto nazista fra un bacio ed un altro perché la causa è così intimamente idiota da travalicare ogni buon senso? Perché non ammettere che tutto questo, oltre alla più che abusata parola esaltazione, non sia descrivibile anche con un'altra semplicissima parola: stupidità abissale. Solo chi ha la percezione della Comicità con la C maiuscola poteva forse capire e inventare un film così, che per certi versi davvero è la continuazione de Il grande dittatore di Chaplin. Ma più concreto, e forse per questo ancora più sferzante. Perché nasceva due anni dopo, e di devastazioni se ne erano già accumulate molte. Ma che non perde la capacità di uccidere con una satira feroce e coraggiosissima, se si pensa che la guerra era ancora in atto. E non a caso il film non fu immediatamente compreso per quello che realmente era e fu bersaglio di critiche. Fatto sta che ha quasi settanta anni e non si sentono, e si ride, ma soprattutto si riflette. E se anche so bene che non sia affatto lecito paragonare due film così diversi, credo che qualche nastro di colore immacolato, pieno di pretenziosità intellettuali e ammiccanti per la scelta di una Germania anziché di uno Zambia qualunque, si squaglierà ben prima.
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(di antonio montefalcone)
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pepito1948
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venerdì 21 giugno 2013
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grandioso, nonostante il titolo italiano
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Nel 1940, come è noto, Chaplin diede al mondo una lezione di cinema-commedia a sfondo politico-ideologico in cui, usando l’arma della satira, sbeffeggiò Hitler ed il suo regime, reinventando ed adeguando Charlot ma dotandolo della parola. L’eco e l’efficacia di questo film soave ma intriso di fervore libertario –l’iniziativa bellica nazista era agli inizi- furono enormi, e rimasero a lungo intatte anche dopo, quando il cinema diede la stura alla lunga serie di film sulla II guerra mondiale in chiave antinazista, per lo più cupi, tragici, talvolta epici.
Due anni dopo toccò al tedesco Ernst Lubitsch - che si era trasferito negli USA molto prima della fuga di tanti cineasti dalla dilagante egemonia hitleriana- affrontare il tema dell’(anti)nazismo con una commedia da par suo, campo in cui si era andato specializzando nel periodo americano e nel quale era diventato famoso per il suo tocco morbido ma sferzante, divertente ma irridente, appunto il “tocco Lubitsch”.
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Nel 1940, come è noto, Chaplin diede al mondo una lezione di cinema-commedia a sfondo politico-ideologico in cui, usando l’arma della satira, sbeffeggiò Hitler ed il suo regime, reinventando ed adeguando Charlot ma dotandolo della parola. L’eco e l’efficacia di questo film soave ma intriso di fervore libertario –l’iniziativa bellica nazista era agli inizi- furono enormi, e rimasero a lungo intatte anche dopo, quando il cinema diede la stura alla lunga serie di film sulla II guerra mondiale in chiave antinazista, per lo più cupi, tragici, talvolta epici.
Due anni dopo toccò al tedesco Ernst Lubitsch - che si era trasferito negli USA molto prima della fuga di tanti cineasti dalla dilagante egemonia hitleriana- affrontare il tema dell’(anti)nazismo con una commedia da par suo, campo in cui si era andato specializzando nel periodo americano e nel quale era diventato famoso per il suo tocco morbido ma sferzante, divertente ma irridente, appunto il “tocco Lubitsch”. Il titolo To be or not to be (dimentichiamo la traduzione italiana, stupida ed insignificante) fa riferimento al team di protagonisti, una compagnia teatrale che, nel mezzo dell’occupazione della Polonia da parte tedesca, si trova invischiata in una intricata storia di spie, di resistenza antinazista, di deprecabili personaggi del regime occupante, di marionette con l’elmetto, ma anche di spasimanti piloti che escono ed entrano dal teatro durante il monologo di Amleto e di rapporti privati difficili tra i due attori di punta della compagnia. Gli attori sono attori ma sempre cittadini, ed in una situazione critica ai massimi livelli decidono di sfruttare a servizio della causa della liberazione la propria capacità di essere (recitanti) e non essere (insensibili alla sorti della Polonia), risolvendo al meglio un vortice di complesse situazioni inanellate a catena e svolgendo così una missione salvifica ed eroica.
Il film, come è stato detto, è perfetto sotto ogni aspetto: il plot scorre magnificamente, i dialoghi sempre arguti ed intelligenti e soprattutto esilaranti; i monologhi connessi ai “movimenti” in platea sono da manuale ed hanno una vis comica irresistibile; la recitazione splendida,a cominciare da Carole Lombard (tragicamente scomparsa prima della fine delle riprese); la regia che, priva di qualsiasi effetto speciale, accompagna attentamente ogni movimento, massimizzandone gli effetti sia comici sia drammatici, in un misto armonico che non è mai ossimoro ma abile pluritonalità funzionale all’obiettivo di demolire il nemico attraverso la sua ridicolizzazione, senza far venir meno il pathos di una tragedia costantemente presente. L’arte è vita, è nella vita, serve alla vita; per vivere al meglio e migliorare la propria vita quanto quella degli altri occorre essere grandi artisti, ed in particolare grandi attori, perché la finzione e la realtà sono due aspetti dell’uomo sapiens che hanno bisogno l’una dell’altra. Questo sembra dirci Lubitsch, che, maestro della commedia, non esita a sfoderare ed affondare gli artigli della satira come e più di Chaplin, debordando volutamente dai toni contenuti anche se taglienti del Grande Dittatore nel grottesco, nel macchiettismo pur di togliere al nazismo ogni sia pur minimo accenno di credibilità o di umanità. E questo con l’uso sapiente delle sole armi di un umorismo acuminato che genera risate e insieme esecrazione e della poesia, qui fortemente evocata dai ripetuti monologhi, sul palcoscenico e fuori scena, tanto del protagonista quanto della comparsa che si farà comprimaria.
Il film, restaurato in epoca recente come lo stesso Grande Dittatore, è in lingua originale con sottotitoli, e sarebbe impensabile che non lo fosse; anche il miglior doppiaggio toglierebbe autenticità e sfumature fondamentali per una ottimale fruizione. Grandioso.
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catcarlo
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martedì 25 giugno 2013
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to be or not to be
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A più di settant’anni dalla prima uscita e dopo un accurato restauro, torna sugli schermi uno dei capolavori di Lubitsch con il sonoro originale e i sottotitoli (ho letto che il doppiaggio italiano risalente agli anni Quaranta non fosse all’altezza, ma ho visto la vecchia versione tanto di quel tempo fa che proprio non saprei dire). Ci vuole una grande bravura per trattare argomenti tragici con il tocco della commedia e ancor di più quando lo si fa in contemporanea agli avvenimenti, senza la rassicurante distanza di una prospettiva storica: come ‘Il grande dittatore’, ‘Vogliamo vivere’ – detto fra noi, il titolo italiano è di una stupidità abissale - non cancella la barbarie con una risata, ma la sottolinea facendone risaltare stolidità e brutalità.
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A più di settant’anni dalla prima uscita e dopo un accurato restauro, torna sugli schermi uno dei capolavori di Lubitsch con il sonoro originale e i sottotitoli (ho letto che il doppiaggio italiano risalente agli anni Quaranta non fosse all’altezza, ma ho visto la vecchia versione tanto di quel tempo fa che proprio non saprei dire). Ci vuole una grande bravura per trattare argomenti tragici con il tocco della commedia e ancor di più quando lo si fa in contemporanea agli avvenimenti, senza la rassicurante distanza di una prospettiva storica: come ‘Il grande dittatore’, ‘Vogliamo vivere’ – detto fra noi, il titolo italiano è di una stupidità abissale - non cancella la barbarie con una risata, ma la sottolinea facendone risaltare stolidità e brutalità. La sintesi di cotanta miseria umana si incarna nella figura del colonnello Ehrhardt (Sig Ruman) - pavido ma sempre pronto a firmare ordini di fucilazioni o di internamento, da cui ricava persino il soprannome che alla fine serve solo per sbeffeggiarlo - a cui fa da contraltare l’infido professor Siletski (Stanley Ridges): di fronte a loro, una piccola compagnia di teatro – di cui è primattore vanesio Joseph Tura, sposato alla prima donna Maria dai molti spasimanti mentre sono tanti i comprimari che si sentono sottoutilizzati – si ritrova a giocare una partita estremamente pericolosa in cui le doti istrioniche vengono assai comode allo scopo di salvare l’esistenza propria e quella della Resistenza polacca. Per narrarne le gesta, Lubitsch (autore anche della sceneggiatura assieme a Edwyn Justus Mayer) dirige una storia dalla levità sorprendente grazie alla struttura di commedia degli equivoci perfettamente calibrata, tanto che alla fine quasi ci si sorprende che siano già trascorsi i cento minuti appena scarsi di durata. Saranno anche passati sette decenni, ma c’è ben poco (per non dire nulla) che sia invecchiato: dopo un debutto freddo a causa dei tempi cupi e dell’improvvisa, tragica morte della sua protagonista, il film è così diventato ben presto un classico e parecchi registi odierni, specie quelli che vogliono far ridere, dovrebbero riguardarsi spesso opere come questa, dove le situazioni sono costruite magari con poche ma azzeccate inquadrature – una per tutte quando a Tura, travestito da Siletski, vien fatto trovare il professore ormai cadavere - e le battute si susseguono a ritmo scoppiettante senza mai neppure sfiorare la volgarità (eppure non mancano certo le allusioni a sfondo sessuale). Alla fine delle riprese di quella che fu la sua ultima interpretazione, Carole Lombard – che veleggia radiosa attorniata da soli colleghi maschi – dichiarò che era stata la sua esperienza più felice sul set, a testimonianza di un clima disteso e collaborativo che senza dubbio ebbe il suo peso nella riuscita finale. Attorno alla sua Maria ruota tutto l’intreccio, tra giovani aviatori innamorati (un giovanissimo Robert Stack), spie e gerarchi che ci provano, infine un marito geloso che trova il coraggio di andare ben oltre le proprie leggerezze e i propri difetti, nei cui panni Jack Benny offre una prova assai più misurata di quanto ci si potesse aspettare.
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il cinefilo
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mercoledì 9 marzo 2011
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coraggiosa e brillante satira sul nazismo
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Ernst Lubitsch confeziona,con questo film,una satira coraggiosa e particolarmente divertente sulla follia del nazismo la cui intelligenza risiede nella trovata di far emergere un audace inno alla libertà attraverso il mondo del teatro e dei suoi attori per smantellare,in maniera brillante,le falsità immorali della gerarchia hitleriana...merita un confronto con un altro classico,sulla stessa linea,dell'epoca quale IL GRANDE DITTATORE di Charles Chaplin.
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tomdoniphon
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domenica 18 maggio 2014
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la perfezione di lubitsch
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Nella Varsavia del 1939, la compagnia teatrale di Joseph e Maria Tura sta preparando uno spettacolo dal titolo "Gestapo", che verrà censurato con l'inizio della guerra e l'invasione della Polonia da parte della Germania di Hitler. Quando il giovane ufficiale Sobinski torna in patria dall'Inghilterra per smascherare il professor Silensky, finto partigiano ed in realtà spia nazista, tutta la compagnia teatrale verrà coinvolta nella lotta antinazista. Il capolavoro dei capolavori di Lubitsch (il maestro della commedia), inimitabile nella sua capacità di trattare un argomento tragico (ed attualissimo nel 1942, anno di uscita del film) in chiave di commedia, per questo precursore di film come "La vita è bella" o "Train de Vie".
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Nella Varsavia del 1939, la compagnia teatrale di Joseph e Maria Tura sta preparando uno spettacolo dal titolo "Gestapo", che verrà censurato con l'inizio della guerra e l'invasione della Polonia da parte della Germania di Hitler. Quando il giovane ufficiale Sobinski torna in patria dall'Inghilterra per smascherare il professor Silensky, finto partigiano ed in realtà spia nazista, tutta la compagnia teatrale verrà coinvolta nella lotta antinazista. Il capolavoro dei capolavori di Lubitsch (il maestro della commedia), inimitabile nella sua capacità di trattare un argomento tragico (ed attualissimo nel 1942, anno di uscita del film) in chiave di commedia, per questo precursore di film come "La vita è bella" o "Train de Vie". La grandezza del film non sta solo nel mettere alla berlina Hitler (ancor più del coevo "Il Grande dittatore" di Chaplin), ma soprattutto nella capacità del regista di saper cogliere la mostruosità della guerra e dell'invasione nazista attraverso (perfetti) momenti di comicità. Un film "perfetto" nel puro senso del termine, senza la benché minima scena inutile e con un ritmo trascinante. Nel 2013 il film è uscito nelle sale italiane in edizione restaurata dalla Teodora (in originale con i sottotitoli) con un risultato di pubblico di gran lunga al di sopra delle più rosee aspettative (soprattutto perchè era stato proiettato soltanto in 14 cinema in tutta Italia). Per chi non lo avesse visto, consiglio vivamente di correre nel negozio più vicino per acquistarne il dvd (anch'esso in edizione restaurata): fondamentale, da questo punto di vista, la visione in lingua originale (coi sottotitoli). In conclusione, va ricordato che il grande Billy Wilder, discepolo di Lubitsch, teneva nel proprio studio un cartello con scritto "Che cosa farebbe Lubitsch?"; perchè, se è vero che "A qualcuno piace caldo" (di Billy Wilder) si concludeva con la frase "Nessuno è perfetto", questo principio non valeva per Lubitsch.
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