stefano capasso
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lunedì 14 febbraio 2022
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le macerie della post industrializzazione
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Dopo un incidente automobilistico, Giuliana, giovane moglie di un ricco industriale del ravennate, rimane in uno stato di crisi “psicologica”, in particolare sulla propria identità. L’arrivo di Corrado movimenta la sua vita, i due diventano amanti, ma la crisi depressiva di Giuliana non accenna a smorzarsi.
Primo film a colori di Michelangelo Antonioni, e proprio il lavoro sulla fotografia è certamente mirabile, forse la parte migliore del film. È un lavoro sulle geometrie e sui colori che definisce i personaggi e i luoghi fino a staccarli dal loro contesto, amplificando così il senso di smarrimento dei protagonisti. Siamo a metà degli anni ’60 e nonostante la modernizzazione tecnologica del paese sia appena cominciata, è rappresentata come fosse già arrivata alla fase successiva, quella del “post” dove predominano i danni e le macerie prodotti dal moderno.
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Dopo un incidente automobilistico, Giuliana, giovane moglie di un ricco industriale del ravennate, rimane in uno stato di crisi “psicologica”, in particolare sulla propria identità. L’arrivo di Corrado movimenta la sua vita, i due diventano amanti, ma la crisi depressiva di Giuliana non accenna a smorzarsi.
Primo film a colori di Michelangelo Antonioni, e proprio il lavoro sulla fotografia è certamente mirabile, forse la parte migliore del film. È un lavoro sulle geometrie e sui colori che definisce i personaggi e i luoghi fino a staccarli dal loro contesto, amplificando così il senso di smarrimento dei protagonisti. Siamo a metà degli anni ’60 e nonostante la modernizzazione tecnologica del paese sia appena cominciata, è rappresentata come fosse già arrivata alla fase successiva, quella del “post” dove predominano i danni e le macerie prodotti dal moderno. In questo contesto gli esseri umani sono completamente smarriti, o si adattano all’ambiente finendo per divenire anch’essi residui di umanità oppure entrano in una crisi dalla quale non c’è via d’uscita, una crisi che colpisce lo stesso corpo fisico dei protagonisti, adulti e bambini. Per completare il discorso è perfettamente calzante la musica elettronica di Gelmetti, che costruisci tappeti sonori aspri, che ricalcano in tutto e per tutte le sonorità assordanti prodotti dalle fabbriche.
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matteo
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domenica 15 novembre 2020
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alienazione industriale
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La crisi di una donna borghese nel cuore del boom economico ha il volto di una inquieta e tormentata Monica Vitti. Il rumore assordante dell’industria diventa incomunicabilità tra i membri di una classe dedita agli affari e al profitto. Questi suoni assordanti cambiano toni ma rimangono in tutto il film e suggellano i momenti di estraneazione e di angoscia della protagonista. Così come i colori e le inquadrature tipiche di Antonioni. La crisi della donna come preludio alla crisi di una classe? Si può parlare di alienazione borghese da un mondo che ha costruito e che con forza cerca di conservare? Forse si e forse solo i più deboli fra loro ( non a caso una donna) subiscono questo scacco.
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La crisi di una donna borghese nel cuore del boom economico ha il volto di una inquieta e tormentata Monica Vitti. Il rumore assordante dell’industria diventa incomunicabilità tra i membri di una classe dedita agli affari e al profitto. Questi suoni assordanti cambiano toni ma rimangono in tutto il film e suggellano i momenti di estraneazione e di angoscia della protagonista. Così come i colori e le inquadrature tipiche di Antonioni. La crisi della donna come preludio alla crisi di una classe? Si può parlare di alienazione borghese da un mondo che ha costruito e che con forza cerca di conservare? Forse si e forse solo i più deboli fra loro ( non a caso una donna) subiscono questo scacco. Un film su un dramma esistenziale con sfumature sociali.
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greatsteven
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giovedì 23 marzo 2017
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donna che non trova rimedio alla sua depressione.
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IL DESERTO ROSSO (IT/FR, 1964) diretto da MICHELANGELO ANTONIONI. Interpretato da MONICA VITTI, RICHARD HARRIS, CARLO CHIONETTI, XENIA VALDERI, RITA RENOIR, LILI RHEIMS, VALERIO BARTOLESCHI
Protagonista è Giuliana, una donna di circa trent’anni, sposata e madre di un bambino, preda della depressione.
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IL DESERTO ROSSO (IT/FR, 1964) diretto da MICHELANGELO ANTONIONI. Interpretato da MONICA VITTI, RICHARD HARRIS, CARLO CHIONETTI, XENIA VALDERI, RITA RENOIR, LILI RHEIMS, VALERIO BARTOLESCHI
Protagonista è Giuliana, una donna di circa trent’anni, sposata e madre di un bambino, preda della depressione. Insoddisfatta della sua vita coniugale (il marito, romagnolo, è progettista di navi), si estranea sempre più dal mondo che la circonda, perde contatto con la realtà e non riesce a trovare un sollievo dai suoi frequenti e intensi attacchi d’ira improvvisa, dalle pericolose scivolate nell’apatia e dal suo egocentrismo autodistruttivo. Allevando il figlio senza passione e rivelandosi una genitrice iperprotettiva e coltivando un rapporto col coniuge privo di autentico affetto, Giuliana desidererebbe stringere rapporti sociali importanti, ma è sempre frenata dal suo bisogno patologico degli altri, che le fornisce inettitudine e le nega una piena serenità interiore. L’incontro con Corrado Zeller, ingegnere minerario che commercia con l’Argentina e amico del marito Ugo, sembra caricarla di un’energia mai provata prima, energia che le dà una temporanea riabilitazione prima con un pomeriggio trascorso con donne e uomini beceri e gaudenti, poi con numerose passeggiate per la riviera romagnola, invasa dalle navi che attraccano e popolata di impianti industriali che sputano fumo e fuoco. Ma nemmeno Corrado, consapevole del dolore che la donna si porta appresso, è utile per far uscire Giuliana dal suo permanente stato depressivo, malgrado l’avventura amorosa che i due vivono. Terminata la trilogia dell’incomunicabilità (iniziata nel 1960 con L’avventura, proseguita con La notte e conclusasi con L’eclisse), Antonioni aggiunge un quarto capitolo che funge da spin-off, come si direbbe oggi, o meglio è un’istruttiva postilla di enorme pregio artistico che riprende il tema dell’individuo umano solo e strapieno di paure, al quale l’universo circostante non dà occasioni di esternare i suoi talenti, né di prender parte alla sua costruzione con una partecipazione attiva e soddisfacente. Leitmotiv della pellicola – un dramma introspettivo eccellente e con un’ottima tensione drammatica – sono le arrabbiature nevrotiche di M. Vitti (alla sua 4° collaborazione con Antonioni, e ormai consacrata come attrice di spicco del cinema italiano anni ’60), la sua ricerca di un senso nelle cose, la sua costante ipocondria e la sua incapacità di acquisire un’indipendenza dagli altri, perché con loro non sta bene, ma riconosce lei stessa di averne un bisogno decisamente morboso. Il titolo, inerente anche al meraviglioso colore dei capelli della protagonista, fa riferimento anche alle assi di legno della malandata casetta sull’acqua da cui il gruppetto festante, insensibile ai problemi di Giuliana e divoratore esclusivo di ciarlatanerie, osserva il passaggio delle navi da carico. Ulteriore punto di forza della pellicola è la scenografia, che raffigura una Ravenna nebbiosa, popolata di ciminiere e tralicci elettrici, erogante fumi dai colori forti, una città balneare triste, ferma (nonostante il continuo lavorio industriale), bigia e che sa rispecchiare la vacuità d’animo della protagonista, che passeggia per mano con suo figlio come se il luogo in cui cammina non le appartenesse, come se fosse un contenitore che la spinge ad alienarsi ancora di più. La fotografia di Carlo Di Palma (che collaborò anche al restauro del film) bacia i paesaggi della costa ravennate, raffigurandone con verosimiglianza il grigiore estetico e la tenebrosa incombenza che riescono a comunicare allo spettatore, rendendo questo contributo tecnico una pietra miliare su cui fare affidamento per un direttore della fotografia alle prime armi. Unica incursione nella bellezza della natura è il racconto favolistico che Giuliana fa al figlio, quando questi, probabilmente ispirato dalla madre, si finge ammalato: la spiaggia rosa, attorniata da una natura rigogliosa e lambita da un’acqua trasparente, è una magnifica oasi di pace che la stessa Giuliana sogna di poter un giorno raggiungere, ma le sue speranze vengono troncate da subito dal suo autolesionismo. E poi il romagnolo parlato dai personaggi è un dialetto rattristante, privo di quella vivacità che gli idiomi locali italiani da sempre hanno, perché, grazie ad una sceneggiatura attenta e coerente, le loro parole vengono epurate dell’ottimismo e precipitano chi le pronuncia in un abisso inquietante di vuotezza. R. Harris in uno dei suoi primi ruoli importanti, si distingue per un’eleganza e un delicato carisma che conferiscono al suo carattere un’aura signorile, da signore della recitazione, il che avvantaggia la sua pacata ed efficiente interpretazione. Leone d’oro alla XXV Mostra del Cinema di Venezia.
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jackiechan90
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lunedì 30 marzo 2015
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antonioni e la teoria dei colori
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Giuliana(Monica Vitti) è la moglie di un ricco industriale del ravennate(Carlo Chionetti) è in preda a una forte depressione dopo aver avuto un incidente. Si sente alienata rispetto al mondo che la circonda. Cerca uno sfogo in Corrado(Richard Harris) un collega del marito ma anche questa piccola avventura sembra non darle molta soddisfazione per cui decide di tornare dalla sua famiglia e accettare la sua condizione per quella che è. Il primo film a colori di Antonioni è in realtà un film molto "grigio", ambientato in una Ravenna industriale e periferica circondata da una nebbia perenne. Proprio per questo i colori che si stagliano in essa risaltano ancora di più evidenziando gli elementi di rilievo, primo fra tutti il personaggio di Giuliana che, con il suo cappotto verde, evidenzia l'unica carica vitale del paesaggio.
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Giuliana(Monica Vitti) è la moglie di un ricco industriale del ravennate(Carlo Chionetti) è in preda a una forte depressione dopo aver avuto un incidente. Si sente alienata rispetto al mondo che la circonda. Cerca uno sfogo in Corrado(Richard Harris) un collega del marito ma anche questa piccola avventura sembra non darle molta soddisfazione per cui decide di tornare dalla sua famiglia e accettare la sua condizione per quella che è. Il primo film a colori di Antonioni è in realtà un film molto "grigio", ambientato in una Ravenna industriale e periferica circondata da una nebbia perenne. Proprio per questo i colori che si stagliano in essa risaltano ancora di più evidenziando gli elementi di rilievo, primo fra tutti il personaggio di Giuliana che, con il suo cappotto verde, evidenzia l'unica carica vitale del paesaggio. Antonioni, e con lui il direttore della fotografia Carlo Di Palma, si servono della simbologia dei colori per descrivere le sensazioni dei protagonisti: sono loro che ricreano il paesaggio in base a quello che vivono. Così la camera rossa crea una situazione ad alto tasso erotico, la stanza rosa e la spiaggia di Budelli raffigurano una sensazione di pace e serenità. Nella spiaggia, inoltre, si svolge l'unica sequenza del film girata in technicolor con una tecnica tradizionale per raccontare una favola, quindi qualcosa di estraneo dalla realtà, che invece è nel grigio-quasi bianco/nero del resto della pellicola. Da notare il fatto che gli unici posti veramente "colorati" sono quelli artificiali, ovvero la casa di Giuliana e suo marito, piena di giochi e riferimenti all'arte pop, e la fabbrica. Il mondo di plastica viene raffigurato come più "umano" dell'ambiente reale. Antonioni sperimenta, seppur con molto garbo, tecniche sperimentali come la colorazione su pellicola, in un film che parla del problema dell'alienazione nelle periferie post-industriali che stavano sorgendo negli anni del boom economico e lo fa utilizzando la sua attrice-feticcio Monica Vitti che domina la scena dall'alto della sua insicurezza e fragilità. Un campionario di umanità e avanguardia tecnica che rimane ancora oggi insuperabile.
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kappakappa
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sabato 17 gennaio 2015
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woooow
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fedeleto
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venerdì 31 gennaio 2014
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il deserto colorato dell'aridita'
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Giuliana vive in una Ravenna fortemente industriale, ha un bambino e un marito che non la considerano.Ma quando arriva Corrado le cose sembrano cambiare, ma è solo una mera illusione.Giuliana è una donna depressa che in passato ha tentato il suicidio, purtroppo sembra che non esista cura per lei, ma il malessere deriva da quelle fabbriche e da quel cielo grigio contaminato , o da navi immerse nelle nebbia che appaiono nel nulla? Antonioni (il grido, l'avventura) dopo L'eclisse firma un altro capolavoro straordinario sul tema dell'incomunicabilita' e dell'alienazione.Primo film a colori del regista ferrarese, e non a caso essi svolgono nel film un ruolo di estrema importanza .
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Giuliana vive in una Ravenna fortemente industriale, ha un bambino e un marito che non la considerano.Ma quando arriva Corrado le cose sembrano cambiare, ma è solo una mera illusione.Giuliana è una donna depressa che in passato ha tentato il suicidio, purtroppo sembra che non esista cura per lei, ma il malessere deriva da quelle fabbriche e da quel cielo grigio contaminato , o da navi immerse nelle nebbia che appaiono nel nulla? Antonioni (il grido, l'avventura) dopo L'eclisse firma un altro capolavoro straordinario sul tema dell'incomunicabilita' e dell'alienazione.Primo film a colori del regista ferrarese, e non a caso essi svolgono nel film un ruolo di estrema importanza .Soggetto e sceneggiatura di Antonioni e Tonino Guerra, fotografia sublime di Carlo di Palma che svolge un ruolo di primaria importanza.Partendo dall'inizio dei titoli di apertura che mostrano fabbriche sfocate (come se il fumo e quindi l'inquinamento avesse oscurato lo schermo) per poi passare all'inquadratura di Giuliana con suo figlio che cammina alla ricerca di qualcosa (suo marito che l'aspetta in Fabbrica?), possiamo vedere come si passi dall'opaco (la fabbrica) al chiaro (uomo).Poco dopo infatti Giuliana compra un panino già iniziato da una persona, questo perché ella sente la necessità di nutrirsi di qualcosa di commestibile poiché intorno a lei c'e' solo il grigio del cielo i fumi delle fabbriche , l'aridita' e il fango del suolo, scarti di detriti chimici, dunque sente il bisogno del "puro" e non del contaminato.Il suo cappotto non a caso è verde , simboleggia dunque la natura, cio' che non è ancora contaminato.Il personaggio di Corrado è colui che fugge da fuori, egli dice si sposta sempre , a volte sente di non meritare di essere dove si trova(rimorsi di coscienza?).Giuliana vittima di un incidente in passato, ha avuto un forte shock, e al contrario di Corrado lei vuol fuggire da quello che ha dentro, lei vuole avere tutto perché sente di non avere niente.Corrado si rivela solo un personaggio che mira al suo tornaconto personale, ovvero passare una notte d'amore con Giuliana, ove lei è restia ad accettare , alla fine infatti Corrado, come dice Giuliana stessa , non l'ha aiutata se non a diventare una moglie infedele.Per giuliana c'e' qualcosa di terribile nella realtà e non sa cosa è. Infatti ella nella favola raccontata al figlio (dunque nell 'immaginazione-irrealta') trova forse il suo desiderio, un'isola deserta in un mare chiarissimo e trasparente , senza rumori , con un cielo chiaro e vascelli curiosi insieme a canti di sirena.Ovviamente questo scenario magistralmente fatto da Antonioni è importantissimo poiché in esso non vi sono dialoghi ma l'eloquenza sta nelle immagini.Ebbene tornando alla realtà, il luogo in cui vive Giuliana è l'opposto , fiumi neri, cieli grigi, navi immerse nella nebbia fitta, si potrebbe azzardare l'ipotesi che la nebbia sia l'inconscio di Giuliana , infatti lei dice di non poter guardare a lungo il mare altrimenti perde l'interesse per la terra, qui subentra l'alienazione.La scena della baia, ove lo stanzino rosso diventa territorio di giochi erotici , e' decisamente interessante.Il rosso infatti prevale , il colore della perdita di inibizioni , e in un certo senso il colore del sangue e quindi del corpo materiale, fuori dalla baia invece c'e' l'inconscio-nebbia.Ella uscita dalla baia-corpo, vorrebbe fuggire , prende la macchina ma per poco non finisce in mare (tentato suicidio?).Giuliana è sola , un marito dedito al lavoro in fabbrica , un uomo che la sfrutta e parte (forse era solito fare cosi anche prima con altre donne?), un figlio che vuole attenzioni solo per se.Non rimane che tentare di partire , e nel dialogo-monologo con il marinaio, Giuliana capisce che bisogna accettare che i due corpi convivano (realtà e irrealta'?).i colori pertanto assumono rilievo e assoluta importanza , in un certo senso parlano più loro che gli attori.Prevalentemente i colori più presenti sono il verde, il blu, il grigio, dei primi due dice Giuliana sono colori che non danno fastidio (verde-natura, blu-cielo) al contrario del rosso (colore del corpo-sesso) o viola (ambiguità) colori che vede(immagina?) nella camera di Corrado.Il giallo (bandiera gialla, colera dice qualcuno, o fumo giallo dove gli uccelli non passano più perché lo sanno che morirebbero)(accettazione della vita come Giuliana?).Un film straordinario che possiede la forza visiva di scene scenograficamente perfette. (come la scena della nave nella nebbia) ma tematicamente profondo nel suo presagire un futuro devastato dell'industria e l'inevitabile morte dell'uomo e dei suoi sentimenti.Monica Vitti eccellente.Ottime musiche elettroniche di Vittorio Gelmetti.Un capolavoro.
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luca scial�
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sabato 21 dicembre 2013
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l'uomo perso nella società industriale
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Giuliana è la moglie di un industriale, che dopo aver avuto un brutto incidente automobilistico è spesso vittima di angoscia e attacchi di panico. Un ambiente attorno fatto di industrie inquinanti, nebbia fitta e fiumi inquinati, nonché un marito poco presente, non la aiutano a riprendersi.
Primo film a colori per Michelangelo Antonioni, che gli valse il Leone d'oro a Venezia. Sofisticato, astratto, non di immediata comprensione, diventa, attraverso le inadeguatezze della protagonista interpretata da una straordinaria Monica Vitti, una critica alla società industriale. Cupa, inquinata, fredda.
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alex41
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venerdì 25 gennaio 2013
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allucinante
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Un film sopravvalutatissimo, opera noiosa fino alle lacrime agli occhi, senza senso, senza scopo, lento, pesante, a tratti banale, con una sceneggiatura che sembra essere stata scritta di fretta prendendo tre o quattro frasi e spargendole quà e là all'interno del film. Il film poi presenta numerose pause totalmente inutili e al di fuori della trama, che dovrebbero catturare per la loro bellezza nelle riprese, ma ciò non accade, o meglio non interessa (quasi) a nessuno. Salvo la bravissima Monica Vitti e la bellissima fotografia. Per il resto, film da evitare come la peste.
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cibox89
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venerdì 13 luglio 2012
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quando l'espressività dice tutto del mondo
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Premessa:questo è il mio primo film di Antonioni.Conclusione:se tutti i film sono come questi credo che potrò guardarli tutti con enorme entusiasmo!Già perchè un film è così che deve essere.Un film deve riuscire a comunicare tutta l'angoscia e la disperazione;tutto il malessere esistenziale che ogni uomo,uomo del 900 soprattutto,prova.Intendiamoci:un film comunica attraverso la sua totale complessità.in un film non ci si ferma mai alle sole parole-dialoghi,ma si va molto oltre.Dobbiamo guardare i colori scelti;le inquadrature scelte;la meravigliosa espressività dei personaggi;dobbiamo ascoltare il tono col quale gli attori parlano;dobbiamo guardare agli oggetti messi in scena e al loro significato;alle colonne sonore scelte o non scelte o ai suoni che invadono lo schermo! Sarà solo allora,quando guarderemo a questa complessità,che sapremo ammirare con sacro rispetto un film così elevato artisiticamente.
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Premessa:questo è il mio primo film di Antonioni.Conclusione:se tutti i film sono come questi credo che potrò guardarli tutti con enorme entusiasmo!Già perchè un film è così che deve essere.Un film deve riuscire a comunicare tutta l'angoscia e la disperazione;tutto il malessere esistenziale che ogni uomo,uomo del 900 soprattutto,prova.Intendiamoci:un film comunica attraverso la sua totale complessità.in un film non ci si ferma mai alle sole parole-dialoghi,ma si va molto oltre.Dobbiamo guardare i colori scelti;le inquadrature scelte;la meravigliosa espressività dei personaggi;dobbiamo ascoltare il tono col quale gli attori parlano;dobbiamo guardare agli oggetti messi in scena e al loro significato;alle colonne sonore scelte o non scelte o ai suoni che invadono lo schermo! Sarà solo allora,quando guarderemo a questa complessità,che sapremo ammirare con sacro rispetto un film così elevato artisiticamente.Antonioni è il nuovo cinema:un cinema che si presenta ai nostri occhi come l'arte totale,come summa sublime di tutte le arti possibili a noi conoscibili. Già summa sublime: perchè in questo film vi è pittura;vi è musica tutte raccontate con la meravigliosa misteriosa maestria della Monica Vitti un'attrice che ci porta dentro alla sua inquetudine,che a volte ci chiede di soffrire con lei,ma altre volte ci respinge lei,un respingersi classico di quello che Kant chiamava "l'allontanamento del sublime"! Per tutte queste cose credo che il maestro Antonioni ci abbia regalato un film strepitoso,film che diventa immediatamente fonte di ispirazione e di riflessione su noi stessi e sulla nostra realtà che ci circonda! Ultima cosa: anche io all'inizio dicevo "Non succede nulla,i dialoghi sono scarsi",già perchè non siamo più abituati ad un cinema che racconti delle interiorità dei soggetti,dove magari non succede nulla ma in realtà succede l'intera totalità dell'esistenza! Per chi non voglia farsi trasportare nel mondo di Antonioni vada pure a vedere "Spiderman"o "Batman"...ma non venga a parlare di Antonioni con superficialità solo perchè non ha capito il suo mondo,il suo cinema,la sua arte,e quindi la NOSTRA ESISTENZA!
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paride86
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venerdì 9 gennaio 2009
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bellissimo
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Primo film di Antonioni a colori, ambientato in una zona industriale tanto asettica quanto laboriosa, fumosa e colorata.
La storia è quella di Giuliana, depressa dopo lo shock di un incidente.
Come in molti altri film del regista, la trama è piuttosto evanescente e quello che conta sono le situazioni, i dialoghi e soprattutto l'impianto visivo.
Le scenografie sono davvero particolari ed è molto interessante il contrasto che ha usato Antonioni: l'aridità meccanica e industriale viene rappresentata, infatti, con colori brillanti e soluzioni suggestive mentre la genuinità viene proposta come una spiaggia incantata e deserta.
In questo film si vedono - a mio parere - anche dei riferimenti politici e sociali: quasi tutti i personaggi proposti fanno parte di una catena di montaggio, un processo produttivo industriale/sociale al quale non possono sfuggire; l'uomo viene ridotto ad un ingranaggio del sistema e quindi depauperato della sua umanità e della sua componente spontanea, affettiva.
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Primo film di Antonioni a colori, ambientato in una zona industriale tanto asettica quanto laboriosa, fumosa e colorata.
La storia è quella di Giuliana, depressa dopo lo shock di un incidente.
Come in molti altri film del regista, la trama è piuttosto evanescente e quello che conta sono le situazioni, i dialoghi e soprattutto l'impianto visivo.
Le scenografie sono davvero particolari ed è molto interessante il contrasto che ha usato Antonioni: l'aridità meccanica e industriale viene rappresentata, infatti, con colori brillanti e soluzioni suggestive mentre la genuinità viene proposta come una spiaggia incantata e deserta.
In questo film si vedono - a mio parere - anche dei riferimenti politici e sociali: quasi tutti i personaggi proposti fanno parte di una catena di montaggio, un processo produttivo industriale/sociale al quale non possono sfuggire; l'uomo viene ridotto ad un ingranaggio del sistema e quindi depauperato della sua umanità e della sua componente spontanea, affettiva. Giuliana, dopo lo shock, non riesce più a trovare il proprio posto nel mondo proprio perché non ama più niente e nessuno, è un granello sfuggito al sistema e in realtà è come se lei fosse "rinsavita" e guardasse le cose per quello che sono; non a caso nella sua immaginazione si identifica con una solitaria ragazza in un posto sperduto e incantato allo stesso tempo.
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