francesco2
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domenica 23 giugno 2019
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mi delude il protagonista -ma non il film
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Credo che questo, per Panahi, sia il film successivo dopo i lLeone d’Oro vinto con il “Cerchio”, preferito all’eccellente “Platform”, titolo forte nella –buona- cinematografia di Jia Zhang-Ke. La tecnica del finale “circolare – è un caso che sia l’aggettivo corrispondente proprio al sostantivo “Cerchio”?- era stata utiizzata, con spessore molto diverso , dal mcedone Manchewski nel suo “Prima della pioggia” (1994)., anch’esso Leone d’Oro a Venezia. Panahi, invece, sceglie un lunghissimo piano-sequenza che si( sof)ferma sul protagonista, e sulle reazioni immediate rispetto al suo gesto estremo.
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Credo che questo, per Panahi, sia il film successivo dopo i lLeone d’Oro vinto con il “Cerchio”, preferito all’eccellente “Platform”, titolo forte nella –buona- cinematografia di Jia Zhang-Ke. La tecnica del finale “circolare – è un caso che sia l’aggettivo corrispondente proprio al sostantivo “Cerchio”?- era stata utiizzata, con spessore molto diverso , dal mcedone Manchewski nel suo “Prima della pioggia” (1994)., anch’esso Leone d’Oro a Venezia. Panahi, invece, sceglie un lunghissimo piano-sequenza che si( sof)ferma sul protagonista, e sulle reazioni immediate rispetto al suo gesto estremo.
. Anche il protagonista stesso, e l’altro ,sono figure non necessariamente molto riuscite, per la cui condizione, questo si, è assolutamente provare desolazione. Ed anche qui, il personaggio principale è un uomo (auto)accerchaito(si?) in una Teheran che, come probabimentetante altre metropoli, condensa al suo interno svariatesituazioni; ove le relazioni , siano umane o professionali, appaiono spesso eteree. Lo stile sembra (r) accogliere svariate suggestioni, si tratti di Kiarostami- non a caso , autore del soggetto-. o, forse, del debole film afgano ‘Djameh”; ma, nonostnte gli insistiti –a vuoto-primi piani sul protagonista, Panah trova altrove una cifra artistica personale. . Dipinga egli individui singoli, quali il gioielliere, la “ragazza in moto”, o un uomo che, ricevuta una pizza dal protagonista in un frangente lavorativo,o anche la folla vittima di repressioni psicologiche o addirittura fisiche, il suo è un –taglio –quasi- scevro da populismi pietistici, come non sempre ma spesso, lo era nel “Cerchio”, ove una fitta ragnatela burocratica, culturale e talvolta persino fisica, imprigionava legiovanissime protagoniste, loro si –secondo chi scrive-; capaci di suscitare simpatia. Persino l’ultima parte, che in –tante- altre situazioni sarebbe potuta risultare didascalica,a dispetto delle caratteristiche “monologanti”, risulta sentita ed illuminnte. In più,Panahi è anche abile quando, a questa parte estremamente parlata, lascia seguire una lunga presa di coscienza, che lo porta alla sua “soluzionefinale”.
Sono cresciuti, insomma, i protagonisti dell’ingenuo, troppo ingenuo “Palloncino bianco”, che del resto risale aalla meta dei ‘9O. Talora, sono cresciuti troppo in fretta, come l’adolescente cui chiede: “Non sei troppo giovane per fare questo lavoro?”
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stefanocapasso
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lunedì 12 maggio 2014
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la difficoltà di procedere nella vita
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Un racconto circolare che attraversa il tessuto sociale di Teheran con gli occhi di Hussein.
Il lungo flashback che ha inizio nel momento in cui Hussein sta rapinando una gioielleria ci porta per le strade della città, sulla moto di Hussein che gira per consegnare le pizze.
La varia umanità che incontra, che sembra sempre poco attenta all'altro. C’è una parte ricca e mondana che si diverte e che può di aggirare le leggi islamiche; c’è un'altra parte alle prese con le ristrettezze economiche, e tutti in genere sono molto presi dalle proprie cose.
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Un racconto circolare che attraversa il tessuto sociale di Teheran con gli occhi di Hussein.
Il lungo flashback che ha inizio nel momento in cui Hussein sta rapinando una gioielleria ci porta per le strade della città, sulla moto di Hussein che gira per consegnare le pizze.
La varia umanità che incontra, che sembra sempre poco attenta all'altro. C’è una parte ricca e mondana che si diverte e che può di aggirare le leggi islamiche; c’è un'altra parte alle prese con le ristrettezze economiche, e tutti in genere sono molto presi dalle proprie cose.
Hussein conduce una vita austera, povera di tutto. Dorme in un letto singolo in una stanza che appena lo contiene; fatica a organizzare il proprio matrimonio per i soldi che scarseggiano ed è molto silenzioso, estremamente introverso.
Finchè scatta il tentativo di rivalsa che lo porterà alla rapina in gioielleria
Lo stile assolutamente scarno, rigoroso, nel suo attenersi ad una dettagliata narrazione degli eventi, l’uso continuo e sapiente della macchina in movimento che segue, spia ed accompagna il protagonista, restituiscono con chiarezza la difficolta nel procedere nella vita di quest'uomo: fatica a collocarsi nel tessuto sociale e a definirsi egli stesso. Procedendo per tentativi che portano continue frustrazioni cerca di forzare il suo destino con un azione che non fa parte della sua natura. Ed è illuminante in questo senso, la spiegazione dell'etica del furto che al principio del film un passante spiega a lui ed al cognato: rubare non è una scorciatoia che funziona senza una “professionalità” e una sua “etica” di fondo.
Per questa ragione fallisce la rapina di Hussein; manca la preparazione tecnica e quella emotiva necessaria affrontare le conseguenze non prevedibili di un gesto simile.
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g.trama
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lunedì 7 gennaio 2013
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un film sulla ricerca di identità.
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Oro rosso è un film sulla ricerca di identità, sulla ricerca di una propria posizione sociale all’interno di un determinato consorzio civile, quello metropolitano, e Hussein, il personaggio principale, è il paradigma di questa ricerca. Col suo distacco, la sua apparente inettitudine, cerca in ogni modo di venire a capo di questa composta e velata ricerca, addentrandosi ogni volta in realtà sociali differenti e complicate. Consegna pizze in luoghi diversi di una metropoli spesso notturna e ambigua, vissuta da personaggi altrettanto ambigui, poliziotti, cittadini o barboni che siano. Hussein si vuole sposare, ma la sua identità e posizione sociale non gli permettono di comprare una dote degna di un qualsiasi matrimonio perciò compie il gesto estremo e violento: la rapina.
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Oro rosso è un film sulla ricerca di identità, sulla ricerca di una propria posizione sociale all’interno di un determinato consorzio civile, quello metropolitano, e Hussein, il personaggio principale, è il paradigma di questa ricerca. Col suo distacco, la sua apparente inettitudine, cerca in ogni modo di venire a capo di questa composta e velata ricerca, addentrandosi ogni volta in realtà sociali differenti e complicate. Consegna pizze in luoghi diversi di una metropoli spesso notturna e ambigua, vissuta da personaggi altrettanto ambigui, poliziotti, cittadini o barboni che siano. Hussein si vuole sposare, ma la sua identità e posizione sociale non gli permettono di comprare una dote degna di un qualsiasi matrimonio perciò compie il gesto estremo e violento: la rapina. Panahi ci regala a proposito una struttura circolare classica: il film inizia con una rapina e con una rapina finisce: Hussein è mascherato sia nella scena iniziale che in quella finale, ma lo riconosciamo comunque senza che ci sia svelata la sua identità, perchè difatti non ne ha una: non ha identità, non ha una collocazione all’interno del consorzio civile della metropoli. Vive apparentemente da inetto, da osservatore, ma è parte integrante e pulsante di una cittadinanza che vuole avere un posto, una posizione sociale, prima col matrimonio e poi con tutto il resto. La camera di Panahi si muove disinvolta e con una compostezza che sospende nitidamente ogni giudizio morale su persone o azioni, è quasi il riflesso dell’inettitudine di Hussein che si adegua alle circostanze per venirne fuori indolore. Oro rosso è un film, in ultima analisi, sull’osservazione e quindi sullo strumento cinematografico che intende seguire lucidamente le vicende spesso amare di un uomo alla ricerca della propria identità sociale e forse anche umana. Non fa differenza che si chiami Hussein nella finzione del racconto o Jafar Panahi nella realtà della messa in scena.
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hatecraft
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giovedì 28 gennaio 2010
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oro rosso
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Oro rosso, rosso come l'oro piu' prezioso: sangue: vita. il prezzo che il giovane (ormai non troppo) Hussein paghera' in cambio della dignita', la dignita' che pretende e che gli spetterebbe. Film percorso da un post-realismo afono e alienante come le condizioni di due protagonisti, alle falde di una spietata piramide sociale e ai confini di una metropoli invasa dalle automobili ad ogni ora del giorno: il silenzio nel caos. il silensio di Hussein, personaggio indecifrabile nella sua corazza di rassegnazione.
[+] ottimo commento.....
(di francesco2)
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matteo78
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giovedì 10 settembre 2009
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una grande sopresa
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grandissimo film che ci fa capire la distanza tra ricchi e poveri e il destino ineluttabile..in una città come Teheran
davvero è un film sorprendente,consigliato agli amanti del cinema..quello vero
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