|
“… ed ero verde, più verde della collina, dove i fiori crescono e il sole splende sempre,
ora sono più scuro dell'oceano più profondo, dammi un posto dove stare (…)
ora sono più debole dell’azzurro più pallido, così debole in questo bisogno di te”
dalla colonna sonora, Place To Be (Nick Drake)
Sguardo malinconico e barba incolta, mezzo toscano in bocca. Un aspetto a dir poco trasandato.
Adriano si è ritirato, o meglio, rintanato, in un appartamento malmesso ricavato dalle scuderie in disuso di una antica villa toscana, disabitata e in vendita.
Non vuole vedere nessuno, ha scelto di vivere in solitudine l’indicibile dolore che porta dentro, il peso della tragedia famigliare che all’improvviso ha travolto la sua vita.
L’isolamento che si è imposto viene interrotto dall’arrivo di un gruppo di ragazzi “alternativi”, una piccola comunità idealista, colorata e chiassosa, che vuole lavorare i terreni della villa per recuperare un vitigno di Sangiovese abbandonato. Non sono sprovveduti, tra loro ci sono enologi e agronomi. Li guida Matilde, combattiva nipote del defunto conte Guelfi, il vecchio proprietario della tenuta, determinata a riportare all’antico splendore i vigneti della villa malgrado sia incinta.
Lo scontro, almeno inizialmente, è inevitabile. Ma la conflittualità e la reciproca diffidenza si trasformeranno piano piano, prima in curiosità, poi in solidarietà e complicità. Adriano, che scopriremo essere stato un avvocato di uno studio prestigioso, finirà per affezionarsi a quei ragazzi, in particolare a Matilde.
Il rapporto tra Adriano e l’irrequieta contessina è il motore della storia. La gravidanza di Matilde gli dà la possibilità di fare i conti con la propria paternità, di rielaborare, in una introspezione dolorosissima ma necessaria la tragedia vissuta. È un confronto anche generazionale, che oppone il cinismo e la disillusione degli adulti alla speranza, magari ingenua, di questi ragazzi, così carichi di energia vitale.
Cinque secondi si svela poco a poco, dosando con efficaci flashback e grande maestria lo sviluppo della storia e gli avvenimenti precedenti, accompagnando così lo spettatore nel disvelamento progressivo dei pezzi del puzzle.
Il percorso interiore di Adriano segue i tempi della terra, del passare delle stagioni, come quel vigneto prima abbandonato e poi amorevolmente rivitalizzato dal lavoro e dalla passione dei ragazzi. Quella terra che,
se lavorata con cura, può tornare a dare frutti dopo tanto tempo, far maturare l’uva e produrre vino.
La catarsi del dolore passa per il bisogno di capire cosa è successo dentro di lui in quei cinque secondi,
decifrare cosa c’è dietro alla brevissima ma letale paralisi della sua volontà.
Lo scoglio più grande è il dubbio e l’angoscia che quei cinque secondi non rappresentino il fallimento di un istante, ma dell’intera vita, in cui, forse, non ha mai accettato fino in fondo la disabilità della figlia, e per questo ha sempre cercato di trattarla come se non fosse disabile, sentendosi inconsciamente inadeguato.
O forse, al contrario, era solo amore smisurato quello che sentiva nei suoi confronti, voleva solamente che fosse felice.
Non c’è una risposta, come non può esserci una rinascita purificatrice, tantomeno un perdono che lui per primo non può darsi. C’è però la possibilità di ripartire, di accettare quella tragedia e di ricominciare a vivere. Adriano ci riesce grazie a Matilde, all’affetto reciproco che li lega e alla scelta di prendersi di lei.
Cinque secondi è un film duro, amarissimo, per nulla consolatorio, non privo però di un bagliore di speranza, come quei raggi di luce che filtrano nell’angusto appartamento di Adriano. Affronta tanti temi, dall’espiazione della colpa al perdono, dalla paternità alla disabilità, sempre con la giusta misura, senza alcuna retorica. Per questo lascia il segno e commuove.
Dopo Un altro ferragosto Paolo Virzì abbandona i canoni della commedia graffiante e della satira sociale dando vita al suo film più intimo e malinconico. E realizza uno dei suoi capolavori. Dalla fotografia di Luca Bigazzi che cambia i toni e i colori seguendo gli stati d’animo dei protagonisti alle belle musiche di Carlo Virzì, sempre calzanti, tutto funziona a meraviglia.
Valerio Mastandrea conferma la sintonia e l’affiatamento con il regista livornese con una interpretazione magistrale, una recitazione per sottrazione fortemente magnetica dove gli sguardi e i silenzi scandagliano gli abissi del dolore. All’opposto Galatea Bellugi esprime la vitalità straripante di Matilde dosando energia vitale, tenerezza e irascibilità. Due personaggi complementari e necessari l’uno all’altro interpretati da due attori in stato di grazia.
Un sorriso liberatorio chiude il film accompagnato dalle note struggenti di Place to be di Nick Drake.
Adriano e Matilde hanno trovato entrambi “un posto dove stare”, così deboli e nello stesso forti dopo essersi presi cura l’uno dell’altra.
[+] lascia un commento a sergio dal maso »
[ - ] lascia un commento a sergio dal maso »
|