I Care a Lot

   
   
   

La bionda spietata e i poveri vecchietti

di Fabio Ferzetti L'Espresso

Una bionda spietata e bellissima si fa strada in un mondo di squali (e di uomini) giocando più sporco e duro di loro. Già visto? Certo, la femme fatale è nata col cinema, anzi molto prima. Ma la Marla Grayson della sempre più brava Rosamund Pike ha una marcia in più, anche se il terzo e godibile film dell' inglese J Blakeson, ora su Amazon, non esce dal buon cinema di genere. Capelli a caschetto, tacchi a spillo, sempre vestita a tinte forti e protetta da un sorriso che aprirebbe qualsiasi porta, l' ineffabile Marla ha individuato una miniera d' oro poco sfruttata e non così irrealistica. I vecchi. I poveri, trascurati, inermi vecchietti che affollano gli Usa (e non solo), facile preda di una tutrice legale abilissima a simulare demenze inesistenti per farli interdire e ricoverare nella sua fastosa casa di riposo. Non senza prendere in gestione i loro beni, esautorando se serve figli e parenti. Questo però è solo lo spunto iniziale di una commedia (molto) nera che sbeffeggia l' american dream e il politicamente corretto con un gusto che può evocare il ben più affilato "Elle" di Verhoeven (il giudice gonzo che avalla i trucchi della protagonista è afroamericano; Marla e la sua amante ammantano le loro imprese di un vago femminismo). Ma abbandona presto il sociale, cioè la subalternità degli anziani e l' orrore delle case di riposo, per sterzare nel puro "genere". Decollando nel secondo atto, quando l' ultima vittima dell' avida tutrice, donna d' affari senza famiglia (Dianne Wiest, sempre perfetta), si rivela meno sola e inerme di quanto sembrasse. E nel film irrompe uno di quegli attori che guarderemmo anche leggere il proverbiale elenco del telefono, cioè Peter Dinklage, l' unico divo nano al mondo. Anche se proprio nella debolezza dei rapporti sentimentali che dovrebbero sostenere l' oliatissimo plot, "I Care a Lot" mostra i suoi limiti. Gli stessi di tanto cinema (cinema?) d' intrattenimento odierno. Preminenza dello script; esiguità dei margini concessi alla regia; musiche ovvie e mediocri; semplificazione delle psicologie, qui compensata dal buon lavoro sul cast anche di contorno. Siamo più vicini a "Ozark", insomma, che al vecchio e glorioso "Da morire" con Nicole Kidman, firmato nientemeno che da Gus Van Sant. Lo spettacolo c' è, l' intelligenza pure. Ma chi ci darà i nuovi Gus Van Sant?
da L'Espresso, 7 marzo 2021


di Fabio Ferzetti, 7 marzo 2021

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