ghisi gr�tter
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giovedì 3 ottobre 2019
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un padrino buono
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Mario Martone nel film “Il sindaco del rione Sanità” è rimasto fedele alla commedia in tre atti di Eduardo De Filippo, composta nel 1960. La sua trasposizione cinematografica è a cavallo tra teatro, cinema e fiction. Il sindaco, rispetto alla versione originale, è un quarantenne palestrato interpretato da Francesco Di Leva, già specializzatosi in storie partenopee di serie televisive e di film diretti da Antonio Grimaldi.
Antonio Barracano è un criminale del rione Sanità, con il quale tutti devono conferire per ogni conflitto o contestazione.
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Mario Martone nel film “Il sindaco del rione Sanità” è rimasto fedele alla commedia in tre atti di Eduardo De Filippo, composta nel 1960. La sua trasposizione cinematografica è a cavallo tra teatro, cinema e fiction. Il sindaco, rispetto alla versione originale, è un quarantenne palestrato interpretato da Francesco Di Leva, già specializzatosi in storie partenopee di serie televisive e di film diretti da Antonio Grimaldi.
Antonio Barracano è un criminale del rione Sanità, con il quale tutti devono conferire per ogni conflitto o contestazione. È una sorta di Padrino che amministra la giustizia a modo suo secondo criteri diversi da quelli legali, protegge gli “ignoranti” anche dal sopruso istituzionalizzato, dall’arbitrio dei veri potenti e dei furbi che divorano la povera gente. La regola è: «chi tiene santi va in Paradiso e chi non ne tiene va da Don Antonio».
Possiede anche un negozio dove lavora il figlio, mentre nella sua “amministrazione” è coadiuvato dal dott. Fabio Dalla Ragione, un medico figlio di un Professore universitario, che lo consiglia e lo aiuta, spesso facendo evitare il pronto soccorso a tutti quei poveracci del quartiere che in qualche modo vengono feriti nelle risse.
Il dottore è in procinto di partire per gli Stati Uniti, vuole andare da un fratello emigrato lì da tanti anni, perché è stufo di condurre questa vita ai margini della legalità. Naturalmente Antonio non è d’accordo e spera di fargli cambiare idea. Infatti, uno dei suoi motti è proprio quello che “un vero uomo è quello che desiste da un proposito e si fa convincere a cambiare idea”.
Il film mostra una giornata-tipo del Sindaco passata nella villa lussuosa sotto il Vesuvio dove i Barracano svernano: ginnastica mattutina, udienze con i postulanti, pasti preparati dalla tuttofare Immacolata, si svolge tutta in famiglia con Geraldina, la figlia piccola e il figlio Gennarino.
Ci sarà pure una visita al canile dove trattengono il mastino Malavita, la femmina dei due feroci cani da guardia, che ha morso, apparentemente senza motivo, la moglie Armida. Ma per Antonio, Malavita non è una bestia feroce che azzanna a caso, ma «tene ragione ‘o cane»: ha azzannato la moglie perché è stata provocata.
Don Antonio quindi inizia le "udienze" giornaliere dei disperati che si rivolgono a lui in cerca di giustizia e protezione. Schiaffeggiati e liquidati due delinquenti, dando torto a entrambi perché si sono sparati senza il suo consenso, si appresta ad ascoltare Rafiluccio Santaniello, uno tra i postulanti che vanno ad omaggiare il sindaco, intenzionato a uccidere il padre, un ricco panettiere di zona che lo ha cacciato di casa qualche anno prima. Rafiluccio ha bisogno di soldi, vive con una ragazza che è incinta, probabilmente una ex prostituta di cui si è invaghito, e si arrabatta a fare vari lavoretti precari.
Il Sindaco Barracano crede però in valori assoluti, che nemmeno il più meschino dei criminali può infangare e la famiglia è sicuramente uno di questi. Pertanto dopo aver tentato senza successo una riconciliazione tra padre e figlio, Antonio decide di intervenire di persona tra i due contendenti.
Senza fare spoiler per chi non ricorda la commedia di Eduardo posso dire che l’ultima parte del film si svolgerà realmente nel rione Sanità nella dimora Barracano.
Martone si affida ai ragazzi del Nest (Napoli Est Teatro che in inglese significa anche “nido”) di San Giovanni a Teduccio, che hanno trasformato una palestra in una sorta di “teatro di guerra”. La Compagnia Nest ogni anno propone iniziative per contrastare la difficoltà di attirare pubblico nel proprio spazio e territorio e per far vedere zone del quartiere, magari fino a quel momento sconosciute. Gli attori sono tutti bravi, la recitazione è coinvolgente e la vicenda convincente.
Gli spezzoni urbani che il regista inserisce tra le varie parti più statiche e teatrali, ci stanno bene e arricchiscono di informazioni visive – edifici di edilizia economico e popolare di periferia - quello che originariamente era relativo al solo quartiere storico partenopeo.
Perfetti sono gli scenari e gli arredamenti che sono scelti con un cattivo gusto piccolo borghese velleitario ma contenuto, senza arrivare al kitsch dei Casamonica.
Il film è stato presentato in Concorso all’ultimo Festival di Venezia 2019, dove ha riscosso un discreto successo.
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carloalberto
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lunedì 7 ottobre 2019
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il meccanismo si è rotto
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Il sindaco del rione Sanità di Eduardo è un’opera complessa e congegnata come un orologio svizzero dove ogni parte è collegata alle altre e tutte sono indispensabili al corretto funzionamento dell’intero meccanismo. La tragedia individuale è calata nel dramma sociale che a sua volta è veicolato da una storia ispirata ad un personaggio realmente esistito e vissuto a Napoli in una determinata epoca. Il protagonista, Antonio Barracano, appartiene alla lunga teoria di personaggi eduardiani rosi da una mania, in questo caso è la mania della giustizia, in altri l’oggetto della fissazione è il gioco del lotto (Non ti pago) o il desiderio dei soldi (Questi fantasmi) o fare il presepe (Natale in casa Cupiello).
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Il sindaco del rione Sanità di Eduardo è un’opera complessa e congegnata come un orologio svizzero dove ogni parte è collegata alle altre e tutte sono indispensabili al corretto funzionamento dell’intero meccanismo. La tragedia individuale è calata nel dramma sociale che a sua volta è veicolato da una storia ispirata ad un personaggio realmente esistito e vissuto a Napoli in una determinata epoca. Il protagonista, Antonio Barracano, appartiene alla lunga teoria di personaggi eduardiani rosi da una mania, in questo caso è la mania della giustizia, in altri l’oggetto della fissazione è il gioco del lotto (Non ti pago) o il desiderio dei soldi (Questi fantasmi) o fare il presepe (Natale in casa Cupiello). Sono tutti uomini traumatizzati dalla vita che si rifugiano in un’idea maniacale, che, allo stesso tempo, costituisce una fuga dal mondo e una ossessione che li divora consumandoli.
Al centro della scena, motore immobile di tutto quello che accade, c’è il senso di colpa di Antonio Barracano, il rovello che lo affligge per aver ucciso da giovane un uomo in modo efferato per reagire ad un’ingiustizia subita. Quando il destino gli offre l’occasione di espiare, è come se avesse atteso quel momento da tutta la vita. Emblematica ed evocativa in tal senso la scena in cui il ragazzo, ossessionato dall’idea di uccidere il padre, abbraccia e accarezza Barracano, in modo inusuale e decontestualizzato, a simboleggiare sia lo sdoppiamento del protagonista nel suo lato oscuro e angosciante, sia la lusinga del destino che giunge per offrire la possibilità dell’estremo riscatto.
In una catarsi liberatoria Barracano morirà ferito da una lama, arma che egli stesso suggerisce al proprio carnefice raccontandogli, qualche ora prima, nei dettagli, il fatto di cronaca di cui fu protagonista e che fece notizia, l’assassinio di un guardiano di una tenuta con relativo processo, in cui però era stato assolto per legittima difesa grazie all’ausilio di falsi testimoni. Barracano versa il suo sangue per evitare che un giovane, in cui si riconosce, si macchi di parricidio e nell’ultima scena organizza una tavolata con gli amici-seguaci e con il giuda che lo ha tradito, offrendosi come agnello sacrificale, in una simbolica ultima cena, per mondare i peccati del rione Sanità.
La tragedia individuale è originata dal dramma sociale, dalle ingiustizie che Barracano ritiene lo abbiano condotto all’omicidio e che sono quindi per lui la vera causa del suo tormento interiore, le stesse ingiustizie che deve subire il popolo a causa dell’ignoranza e della miseria culturale ed economica in cui è tenuto dalla classe dominante per essere sfruttato. Da qui nasce il Barracano eroe negativo, il dispensatore di giustizia con mezzi illeciti che si sostituisce allo Stato assente per creare utopisticamente una società migliore, a cui Eduardo contrappone la figura del dottore, che rivendica, invece, la possibilità di perseguire lo stesso fine con l’onestà e la legalità.
Martone ambientando il dramma ai giorni nostri ha modificato un elemento essenziale del meccanismo che rendeva credibile, nella versione originale, la storia personale di Barracano ed il suo ruolo nel quartiere, entrambi legati a filo doppio con la tragedia individuale ed il dramma sociale. Nemmeno lo stesso Eduardo, curando l’adattamento televisivo del ’79, osò attualizzare il dramma e lo ambientò nel 1960. E’ impossibile, infatti, attualizzare un’opera che è legata indissolubilmente al contesto storico e sociale in cui è ambienta. La figura del guappo, il Sindaco del rione Sanità, come fu anche rappresentato nel memorabile episodio del L’Oro di Napoli di Vittorio De Sica del 1954 con Totò, a Napoli non esiste più da decenni. Oggi non c’è più spazio per queste figure intermedie e quasi mitologiche, metà galantuomo e metà uomo d’onore, che facevano da ammortizzatori sociali. Oggi c’è un abisso incolmabile tra la società civile onesta e i criminali di Gomorra. In mezzo c’è la zona grigia, sempre più estesa, degli affaristi senza scrupoli, dei colletti bianchi, che badano soltanto ai loro interessi e non si sognano nemmeno di fare da pacieri o di portare giustizia laddove non c’è.
E poi, altro che trasposizione integrale. Tagliare la scena madre del dottore, che, nella versione originale, nel finale si riscatta ergendosi a paladino di un nuovo senso di legalità, a prescindere dalle intenzioni dell’autore, peraltro non chiare, vuol dire eliminare lo spirito didattico-educativo che pure era parte integrante dell’opera e del pensiero nonché della vena artistica di Eduardo.
La modernizzazione effettuata attraverso l’involgarimento e la gomorrizzazione degli arredi, dei personaggi minori e del protagonista non soltanto risulta per nulla credibile per quanto detto innanzi, depotenziando di fatto l’intensità dei temi universali e senza tempo al centro della tragedia e del dramma veicolati dalla storia contingente, ma contrasta anche in modo stridente con il tenore piccolo borghese del linguaggio utilizzato da Eduardo, qui ed in tutte le sue commedie, per i dialoghi, lasciati da Martone pressoché identici a quelli originali.
Qualche scena di esterni girata alla Sanità e una panoramica aerea ripresa con un drone sulla periferia di Napoli non trasformano l’opera teatrale in un film. Il Sindaco rimane sul palcoscenico, come del resto negli adattamenti televisivi del 1964 e del 1979 dello stesso Eduardo.
Il luogo deputato alla rappresentazione della tragedia classica rimane il teatro.
Martone, a mio avviso, non ha dato il giusto risalto, forse preso dalla “mania” di modernizzare l’opera, alla centralità del dramma interiore di Barracano, che non è un mezzo camorrista che grazie al timore che incute nella gente mette pace nel quartiere, ma al contrario è un uomo ossessionato dall’idea che nel mondo vi deve essere giustizia che diventa o meglio si atteggia a uomo d’onore.
Inutile, infine, il confronto tra gli attori delle tre versioni citate. Francesco Di Leva, Roberto De Francesco ed in particolare Massimiliano Gallo, padrone oramai di una recitazione asciutta ed essenziale, alla Eduardo, sono bravissimi, e tanto basta.
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[+] guappo non c''è più
(di enzo)
[ - ] guappo non c''è più
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eugenio
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domenica 22 marzo 2020
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il guappo eduardo
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Temi tipici della commedia popolare del teatro napoletano, attinti a una lunga tradizione “macchiettistica” come la realtà di provincia demistificata e vivacemente popolana da un’angolazione grottesca, ricorrono con frequenza nel canovaccio dell’opera di Eduardo De Filippo incentrata sull’assunto di tematiche sociali quali elementi perturbatori di una condizione esistenziale arida e desolata.
Nel Sindaco del rione sanità, Eduardo si fa commediografo più maturo, incline al teatro popolare tradizionale, alla svolta melodrammatica e quasi cristologica pur con pesanti influenze pirandelliane contestualizzate, elaborate e “adattate” ad un discorso originale e autonomo.
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Temi tipici della commedia popolare del teatro napoletano, attinti a una lunga tradizione “macchiettistica” come la realtà di provincia demistificata e vivacemente popolana da un’angolazione grottesca, ricorrono con frequenza nel canovaccio dell’opera di Eduardo De Filippo incentrata sull’assunto di tematiche sociali quali elementi perturbatori di una condizione esistenziale arida e desolata.
Nel Sindaco del rione sanità, Eduardo si fa commediografo più maturo, incline al teatro popolare tradizionale, alla svolta melodrammatica e quasi cristologica pur con pesanti influenze pirandelliane contestualizzate, elaborate e “adattate” ad un discorso originale e autonomo.
L’ambiente classico della Napoli micro-borghese, i personaggi grotteschi, maschere di se stessi che attraversano come foglie morte la vita in equilibrio precario tra miseria e imbrogli serbando nostalgie immancabili per un passato più prospero, le “macchiette” di contorno e i cari “co-primari”, servette e portinai ficcanaso, pronti a intromettersi e a dire la loro dall’alto del loro disperato assennato pulpito, sono in questa “commedia teatrale” distanti.
Sì, perché nell’opera di De Filippo, portata sullo schermo dall’abile regia di Mario Martone con la supervisione della compagnia Elledieffe e il supporto del teatro stabile di Torino, l’oggetto delle elucubrazioni è l’uomo, alle prese con la difficile vita di tutti i giorni in cui convive quotidianamente con un dolore tenuto sotto chiave, l’uomo non metafisico ma pragmatico, assorbito dai grandi problemi del vivere. Ed in questo contesto che la figura di Antonio Barracano, questo guappo dal volto di Francesco di Leva (formatosi al laboratorio teatrale dello stesso Martone dopo una convincente prova in Una vita tranquilla) assai più giovane nell’interpretazione filmica rispetto al saggio sessantenne Eduardo nello spettacolo, riassume in sé la capacità di saper gestite i problemi, spesso evanescenti a cui la giustizia rimane spesso incapace di porre rimedio.
Affacciandosi a un mondo indegno, una terra desolata di uomini vuoti, gretti e meschini (citando Eliot), profondamente amorale e ingiusta, Eduardo esprime sdegno e protesta tramite Antonio Barracano che, a differenza di una superficiale lettura del lavoro di Martone in cui assume una connotazione quasi “camorristica”, appare assai convincente nei suoi mezzi di restituire una parvenza di normalità alle questioni del rione di cui è evidente rappresentante, il rione di Sanità appunto.
Nel movimento di una macchina da presa che indugia sui volti, sulla luce mediterranea di una villa sul Vesuvio (chiaramente abusiva, prima parte), contrapposta ai lugubri vicoletti si cui si aprono palazzi antichi arredati a uso barocco (ottenuti da fonti assai poco lecite), il discorso diretto della predica quanto soprattutto quello indiretto dell’invenzione della commedia, tingono di vena comica-drammatica le azioni dei personaggi che si presentano a Antonio Barracano come fosse l’unico in grado di dirimere il bene e il male.
Così, i due scagnozzi di bande rivali che si sparano a vicenda, un pusillanime divorato dai debiti di un usuraio, il figlio perdigiorno con compagnia incinta al seguito, defraudato dal padre panettiere (un onesto e carismatico Massimiliano Gallo), tingono di amaro squallore tutta la vicenda su cui si erge quasi il limite di una speranza, di una fiducia nella giustizia, gravida nelle parole del panettiere in un serrato quanto lucido e teatralmente ineccepibile dialogo.
Nella lettura fedele di Martone, in cui tuttavia la voce di De Filippo assume i toni gravidi di una saudade, l’appello cristologico a una figura terrena, assetata di potere, figlia del popolo e da questo rispettato con ossequioso verecondo timore, rappresenta una cartina di tornasole, capace di denunciare una realtà societaria che non funziona, che non sa collaborare, che non sa agire ma solo appellarsi a un’entità “risolutoria” appoggiata da un medico (un bravissimo Roberto de Luca) colluso cucitore di corpi straziati e trame rovinate.
Martone, nell’adattamento di Eduardo, è stato capace di eliminare la convenzionalità, la verosimiglianza dei personaggi, togliendo quella suspence del testo teatrale con cui avrebbe potuto tranquillamente imbastire l’ossatura del dramma, facendo ricorso a schemi per distruggerla, ribaltarla, in un climax quasi sconvolgente.
Lo scontro tra l’innocenza, l’onestà del panettiere, le speranze deluse degli intrighi di un mondo che lo circonda schiavo della meschinità affaristica e il savoir-faire da guappo di Barracano, lasciano l’amaro in bocca. Malgrado il finale quasi pagano, non pregno di importanza, rappresenti una sorta di liberazione (ma in realtà di un nuovo vincolo), ciò che lascia perplessi sono proprio le confessioni dei vari personaggi, sfogo ed emblema di tutte le repressioni istintuali del tira-campare nazionale, oggi di gran voga.
Spettacolo di grandissima modernità, Il sindaco del Rione sanità, malgrado scritto nel lontano 1960, è capace di sollevare inquietanti interrogativi, sulla realtà attuale e su un contesto storico di umana ma brillante miseria.
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mauridal
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giovedì 3 ottobre 2019
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il sindaco a teatro
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Eduardo , ai giovani napoletani disse : fujtevenne ! Scappate via da Napoli ! Ovviamente un grido di dolore di un vecchio artista ormai disilluso rivolto a quella parte buona di generazione giovane che per poter vivere secondo begli ideali e buone competenze , non può rimanere in una città dal malessere stratificato , come la sua storia millenaria . Eduardo, commediografo , Mario Martone , regista di cinema e teatro , uniti dal pessimismo per il riscatto civile e umano della città di Napoli tutta da decifrare ancora , nonostante l’antropologia socio culturale .
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Eduardo , ai giovani napoletani disse : fujtevenne ! Scappate via da Napoli ! Ovviamente un grido di dolore di un vecchio artista ormai disilluso rivolto a quella parte buona di generazione giovane che per poter vivere secondo begli ideali e buone competenze , non può rimanere in una città dal malessere stratificato , come la sua storia millenaria . Eduardo, commediografo , Mario Martone , regista di cinema e teatro , uniti dal pessimismo per il riscatto civile e umano della città di Napoli tutta da decifrare ancora , nonostante l’antropologia socio culturale . Città di Napoli raccontata da diversi e opposti punti di vista la Napoli di Eduardo, è autenticamente popolare dove i personaggi nascono e vivono nel popolo ne fanno parte., sono la città viva , con tutte le contraddizioni e le impossibilità a risolverle ,con la tragedia che incombe , ineludibile. La città di Martone , è la sua rappresentazione , è il teatro perenne nelle strade , nelle case dove vivono le stesse persone che nel proprio vissuto diventano personaggi , e questo film è esattamente il teatro di personaggi che recitano la propria vita . Ottima scelta per un regista napoletano che conosce la realtà dei quartieri centrali e periferici dove ha lavorato, con la speranza della cultura , come viatico, con la consapevolezza che teatro , cinema istruzione, possano sconfiggere o almeno superare l’ignoranza di giovani e vecchi . Dunque il Barracano giovane non è molto diverso dal vecchio personaggio di Eduardo , sindaco di un rione Sanità che avrebbe contribuito a riscattare , come Eduardo realmente ha fatto con i giovani detenuti del carcere di Nisida. Dunque questo film ben recitato da attori ormai professionali , è per Mario Martone una scommessa riuscita una piccola rivoluzione culturale stavolta realizzata , e chissà che non riesca a trascinare altre esperienze culturali non solo nelle periferie ma proprio nel cuore storico di Napoli . La lotta tra il bene e il male tema di sottofondo del testo , diventa una lotta interna nelle viscere del personaggio Barracano che alla fine da malamente ,si sacrifica , pur di non iniziare una faida familiare. Per la cronaca , fino ad oggi nessun capo clan ha evitato niente e molti giovani sono finiti morti ammazzati. Un film , che non ricalca il genere gomorroide e questo è un pregio per gli autori e per tutti coloro che lo hanno realizzato , ben sapendo che il successo di pubblico non è mai prevedibile , ma consapevoli che una traccia nel cinema d’autore questo film potrà lasciarla. ( mauridal)
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