berocinefilo
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martedì 17 ottobre 2017
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un atto di vera resistenza
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Difficile non innamorarsi di Petit paysan, vera gemma del cinema d'oltrape presentata quest'anno al Festival di Cannes.
Girato nella pittoresca campagna francese, il film debutto di Hubert Charuel narra del tenero amore tra un giovane pastore e le sue mucche da latte, la cui vita è messa a repentaglio da un'epidemia vaccina che si abbatte sulla Francia. Legato anima e corpo alla sua terra e ai suoi animali, Pierre è disposto a tutto pur di salvare le sue compagne pezzate, persino andare contro il sistema; ma ben presto la rete degli eventi si stringerà attorno a lui.
Alla toccante interpretazione dell'ormai celebre Swann Arlaud si somma l'ottima la regia di Charuel, che sembra aver trovato la cifra del suo cinema, cadenzando con grande mestiere il ritmo della narrazione fino a trasformare un dramma rurale in un thriller dai risvolti sociali.
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Difficile non innamorarsi di Petit paysan, vera gemma del cinema d'oltrape presentata quest'anno al Festival di Cannes.
Girato nella pittoresca campagna francese, il film debutto di Hubert Charuel narra del tenero amore tra un giovane pastore e le sue mucche da latte, la cui vita è messa a repentaglio da un'epidemia vaccina che si abbatte sulla Francia. Legato anima e corpo alla sua terra e ai suoi animali, Pierre è disposto a tutto pur di salvare le sue compagne pezzate, persino andare contro il sistema; ma ben presto la rete degli eventi si stringerà attorno a lui.
Alla toccante interpretazione dell'ormai celebre Swann Arlaud si somma l'ottima la regia di Charuel, che sembra aver trovato la cifra del suo cinema, cadenzando con grande mestiere il ritmo della narrazione fino a trasformare un dramma rurale in un thriller dai risvolti sociali.
Ma non è solo la magnifica atmosfera bucolica o la suggestiva colonna sonora elettronica (curata dall'artista francese Myd) a rendere Petit paysan un prodotto tanto unico e godibile, bensí il grande amore che questo thriller cela tra le pieghe dei suoi imprevedibili intrecci.
Stanchi dei soliti thriller preconfezionati ad alta tensione e basso contenuto sentimentale? Fatevi accompagnare da Charuel nell'avvincente storia di Pierre e delle sue mucche, non ve ne pentirete.
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immanuelpalmer
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giovedì 1 febbraio 2018
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un affresco della vita contadina, con i suoi ritmi e le sue ritualità, che si camuffa da thriller
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La vita dell'allevatore di vacche richiede sacrificio. Ci vuole tempo per prendersi cura dei propri animali. Tempo e soprattutto amore. Lo sa bene Pierre Chavanges che ha deciso di dedicare tutta la vita ad allevare mucche da latte. Le fa nascere, le fa crescere, dà loro un nome. Ormai il Mondo si è evoluto e così anche il modo di allevare gli animali. Tutto è meccanizzato. Pierre, però, crede ancora in un allevamento etico, legato alla natura da cui ci stiamo pericolosamente allontanando. Ed è proprio questo allontanamento che scatena la calamità che colpirà la mandria. Si chiama EHD ed è una febbre emorragica che si diffonde dal Belgio, mietendo vacche sul suo cammino. Ora è arrivata in Francia e per arginare il fenomeno, è stato stabilito che tutte le mandrie in cui si presenterà anche solo un caso, verranno sterminate.
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La vita dell'allevatore di vacche richiede sacrificio. Ci vuole tempo per prendersi cura dei propri animali. Tempo e soprattutto amore. Lo sa bene Pierre Chavanges che ha deciso di dedicare tutta la vita ad allevare mucche da latte. Le fa nascere, le fa crescere, dà loro un nome. Ormai il Mondo si è evoluto e così anche il modo di allevare gli animali. Tutto è meccanizzato. Pierre, però, crede ancora in un allevamento etico, legato alla natura da cui ci stiamo pericolosamente allontanando. Ed è proprio questo allontanamento che scatena la calamità che colpirà la mandria. Si chiama EHD ed è una febbre emorragica che si diffonde dal Belgio, mietendo vacche sul suo cammino. Ora è arrivata in Francia e per arginare il fenomeno, è stato stabilito che tutte le mandrie in cui si presenterà anche solo un caso, verranno sterminate. Nel momento in cui la malattia si insidierà nella sua mandria, Pierre dovrà scegliere se seguire i consigli di sua sorella Pascale, veterinaria, che vorrebbe avvertire le autorità o se proteggere le sue vacche ad ogni costo, spingendosi oltre i limiti della legalità. E' anche Hubert Charuel, regista alla sua prima opera, ad andare oltre i limiti. Va oltre le convenzioni dei generi. Petit Paysan è un affresco della vita contadina, con i suoi ritmi e le sue ritualità, che si camuffa da thriller. Il protagonista, poi, sembra venir fuori dal mondo rurale in cui il regista è nato e cresciuto. E' un allevatore realistico e al tempo stesso coinvolge e commuove. Pierre si trova in una situazione in cui si può immedesimare ciascuno di noi: deve salvare ciò che ama di più e che ora è in pericolo. Non poteva che incarnarlo un attore del talento e della sensibilità di Swann Arlaud, totalmente calato nel ruolo e che ha vissuto realmente come allevatore per dar vita al personaggio. Fresco di otto candidature ai Premi César 2018 (tra cui Miglior Film, Miglior Regia e Miglior Attore Protagonista), Petit Paysan è la pellicola dell'anno che fa la differenza. E' un invito appassionato a ricordarsi di un mondo, quello dell'allevamento, che qualcuno forse dimentica per via dei continui exploit tecnologici. Non dobbiamo dimenticarci, però, che è dalla terra che veniamo e non rispettandola, rischiamo di trovarci contro i risultati dei danni che infliggiamo a essa.
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lunedì 5 febbraio 2018
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un ritratto genuino e partecipe
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Ho visto Petit Paysan – un eroe singolare in occasione dell’anteprima presso la sede CIA di Roma. È un film di grande onestà e genuinità. Il regista Hubert Charuel , figlio di allevatori, sembra voler consegnare un ritratto partecipe e realistico del mestiere di allevatore che è in primis una missione oltre che una vera e propria vocazione. Il rapporto con i propri animali è improntato sul rispetto e sull’amore. Le vacche diventano parte della famiglia. Swann Arlaud è assolutamente convincente nel ruolo di Pierre con un’interpretazione memorabile. Bella la fotografia e azzeccate le musiche che contribuiscono alla tensione del film che a un certo punto della trama sfuma nel thriller.
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Ho visto Petit Paysan – un eroe singolare in occasione dell’anteprima presso la sede CIA di Roma. È un film di grande onestà e genuinità. Il regista Hubert Charuel , figlio di allevatori, sembra voler consegnare un ritratto partecipe e realistico del mestiere di allevatore che è in primis una missione oltre che una vera e propria vocazione. Il rapporto con i propri animali è improntato sul rispetto e sull’amore. Le vacche diventano parte della famiglia. Swann Arlaud è assolutamente convincente nel ruolo di Pierre con un’interpretazione memorabile. Bella la fotografia e azzeccate le musiche che contribuiscono alla tensione del film che a un certo punto della trama sfuma nel thriller.
Un film da vedere.
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flyanto
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martedì 3 aprile 2018
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una tragedia immane che coinvolge uomini e animali
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"Petit Paysan" è un film su un giovane allevatore di bovini che un giorno scopre che uno dei suoi capi bestiame è affetto da un virus che comporta come conseguenza obbligatoria e necessaria l'abbattimento dell'intero patrimonio bovino. Particolarmente entusiasta della sua attività di allevatore e strettamente legato alle proprie mucche la cui cura e dedizione lo ha anche un poco allontanato dalla vita quotidiana con i suoi coetanei, il giovane protagonista si sente immediatamente in una situazione disperata sia dal punto di vista 'affettivo' che più pragmaticamente economico, essendo i suddetti bovini l'unica sua fonte di sostentamento.
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"Petit Paysan" è un film su un giovane allevatore di bovini che un giorno scopre che uno dei suoi capi bestiame è affetto da un virus che comporta come conseguenza obbligatoria e necessaria l'abbattimento dell'intero patrimonio bovino. Particolarmente entusiasta della sua attività di allevatore e strettamente legato alle proprie mucche la cui cura e dedizione lo ha anche un poco allontanato dalla vita quotidiana con i suoi coetanei, il giovane protagonista si sente immediatamente in una situazione disperata sia dal punto di vista 'affettivo' che più pragmaticamente economico, essendo i suddetti bovini l'unica sua fonte di sostentamento. E' così che in un primo tempo, tramite un 'escamotage' poco ortodosso, l'allevatore riesce a nascondere il decesso della mucca malata ai controlli periodici sul bestaime. Ma col passare delle settimane, quando un'altra mucca si ammala, egli è costretto a denunciare l'accaduto con la conseguente ingente perdita di tutti i capi bestiame.
Una storia reale, sicuramente capitata a numerosi allevatori sia in Francia, come anche in Italia od Inghiltera, che circa un decennio fa si è verifcata in tutta la sua tragica crudezza comportando una perdita economica immane da cui ben pochi si sono risollevati. In "Petit Paysan" viene molto ben raccontata ed evidenziata tale disgrazia con le conseguenti implicazioni pratiche, nonchè emotive, ponendo l'accento anche sullo scarso ed alquanto tardivo aiuto economico da parte dello Stato incurante. Il febbrile (ed inutile) darsi da fare da parte del protagonista per cercare di scongiurare il peggio e non incorrere in una rovinosa perdita, risulta toccante e comprensibile: di fronte al dilagarsi dell'epidemia vaccina, che comporta l'abbattimento anche delle mucche sane come prevenzione, viene ben rappresentata l'impotenza e la disperazione dell'essere umano nei confronti di un qualcosa che è più grande di lui e lo spettatore ne diventa quasi diretto partecipe come coinvolto in prima persona. Insomma, una pellicola talmente profonda emotivamente che supera il mero e freddo fatto di cronaca
Delicato e crudo allo stesso tempo e del tutto consigliabile.
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cardclau
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domenica 25 marzo 2018
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appartenere alla natura
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Facciamo di tutto per fare in modo da non essere della natura. Con gli occhi e il cervello totalmente assorbiti dal tablet, non ci accorgiamo che le slanciate chiome dei pioppi nei primi giorni di primavera sono di un delicato e femmineo rosa, per poi diventare di un virile verde chiaro nei giorni seguenti. Con le orecchie ben sigillate dalle cuffie, ascoltando una musica a volte troppo invadente, in totale isolamento, non sentiamo il pulsare della vita, c'è chi dice a 432 Hz. Noi siamo più bravi, sempre più di corsa, sempre più indiavolati, verso quello che appare un insostenibile sabba infernale. Ma la natura ci osserva incuriosita, cercando di capire a che razza apparteniamo, se ci sentiamo parte di lei, rispettandola e proteggendola, avendone intuito la grandiosa e infinita complessità, o se ci serve solo per esaurirla e depredarla, in una disarmante superficialità, usandola infine come una pattumiera senza fondo.
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Facciamo di tutto per fare in modo da non essere della natura. Con gli occhi e il cervello totalmente assorbiti dal tablet, non ci accorgiamo che le slanciate chiome dei pioppi nei primi giorni di primavera sono di un delicato e femmineo rosa, per poi diventare di un virile verde chiaro nei giorni seguenti. Con le orecchie ben sigillate dalle cuffie, ascoltando una musica a volte troppo invadente, in totale isolamento, non sentiamo il pulsare della vita, c'è chi dice a 432 Hz. Noi siamo più bravi, sempre più di corsa, sempre più indiavolati, verso quello che appare un insostenibile sabba infernale. Ma la natura ci osserva incuriosita, cercando di capire a che razza apparteniamo, se ci sentiamo parte di lei, rispettandola e proteggendola, avendone intuito la grandiosa e infinita complessità, o se ci serve solo per esaurirla e depredarla, in una disarmante superficialità, usandola infine come una pattumiera senza fondo. Così le piante ci guardano, così gli animali, così le mucche da latte di Pierre Chavange. Ma Pierre non le ha reificate, non le ha ridotte a cose, non usa il robot, le accarezza. Come dice bene no_data nella sua recensione, fanno "parte della famiglia". Certo Pierre e le sue mucche sanno che fanno parte del ciclo della vita, come la battaglia inizialmente persa contro l'epidemia virale di Epizootic haemorrhagic disease (EHD). Ma il legame tra di loro è sacro, come quello che legava gli indiani americani ai bisonti. Il film di Hubert Charuel ci fa riflettere su questi aspetti in modo molto efficace. Gli attori sono tutti bravi, mentre la storia si snoda toccando i nodi essenziali della vita, in una apparente semplicità pastorale.
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