Frantz

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approfondire particolarmente la fotografia perché Valutazione 4 stelle su cinque

di vanessa zarastro


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sabato 8 ottobre 2016

Frantz è un bel film, apparentemente delicato, che tratta temi importanti come l’amore, la guerra e la morte. Ma parla anche di bugie, di tradimenti, di sensi di colpa e di egocentrismi.
Siamo agli inizi degli anni ‘20 in Sassonia a Quedlinburg, una cittadina di circa 20.000 abitanti alla fine della Prima Guerra Mondiale. Gli uomini e le donne piangono i propri giovani morti al fronte e soffrono per la guerra persa. La famiglia del dott. Hoffmeister è ancora in lutto per Frantz, il figlio ventiquattrenne morto in battaglia. Il padre, la madre e la fidanzata Anna (la bellissima e brava Paula Beer) non escono più da casa se non per andare a portare i fiori al cimitero su una tomba “simbolica” perché il corpo di Frantz non è stato ritrovato.
Un certo giorno arriva lì Adrien (un intenso Pierre Niney), un giovane francese anche lui venuto a portare i fiori sulla tomba di Frantz. Si presenta agli Hoffmeisters come amico di Franz e, dopo le prime reticenze specie del vecchio padre antifrancese, conquista i membri della famiglia raccontando varie storie del tempo passato con Frantz a Parigi (lì Franz aveva studiato), dai quadri di Manet, ai caffè, alle visite al Louvre e alle lezioni di violino.
I genitori trovano un momento di conforto del loro dolore sentendo i vari racconti e immaginando un figlio felice nel periodo antecedente la guerra. In Anna spunta un nuovo sentimento, questo giovane delicato, timido e sensibile, le ridà in qualche modo il desiderio di ricominciare a vivere.
Adrien però nasconde un segreto che la sera prima di ripartire rivela ad Anna: è lui che ha ucciso Frantz entrambi caduti in una trincea, uno di fronte all’altro con i fucili in mano. Ma solo Adrien ha sparato. I sensi di colpa hanno distrutto la vita di Adrien che ha lasciato l’orchestra dell’Opera di Parigi (era il primo violinista) e non trova pace. Era venuto in Germania per chiedere perdono ai genitori di Frantz poi non ha avuto il coraggio di confessare. Buttando fuori le sue angosce su Anna, lui in qualche modo si libera ma le trasmette a lei che si rinchiuderà di nuovo nell’infelicità senza il coraggio di rivelare questo terribile segreto agli Hoffmeister.
Dopo qualche mese di bugie, di omissioni, di non-detti, sarà alla fine lei che troverà la forza, stavolta, di andare a Parigi alla ricerca di Adrien che, nel frattempo, ha cambiato indirizzo senza comunicarlo. La coraggiosa Anna, dopo persistenti indagini, riuscirà a rintraccarlo nel suo castello a Saulieu nella Côte-d’Or in Borgogna. Troverà un giovane ricco, di buone maniere, viziato dalla madre e coccolato dalla fidanzata – ebbene si ha una fidanzata! – e capirà che Adrien ha un unico interesse, diventato un’ossessione, quello di sentirsi perdonato dalla famiglia di Frantz. In tal modo, con la sua aggraziata vigliaccheria, Adrien ferisce per l’ennesima volta la dolce Anna che aveva preso il coraggio di viaggiare da sola, solo per rivederlo e stare con lui.
Ah questi uomini egocentrici che non vedono e non si accorgono di null’altro che non sia il proprio problema! Perfino quelli più umani e sensibili!
Per fortuna il finale fa sperare in un’emancipazione della protagonista. Ancora una volta Anna troverà l’energia per restare da sola a Parigi e tagliando, apparentemente i ponti con il passato, andrà a visitare il Louvre a cercare quei quadri che Adrien aveva raccontato come i preferiti di Fritz, ma passo dopo passo però sarà lei a scegliersi i suoi quadri preferiti. «Questo quadro mi dà voglia di vivere» dirà Anna a proposito di “Le suicidé” di Manet. In tutto il film, l’arte – in particolare la pittura e la musica - giocherà un importante ruolo consolatorio delle anime.
Ozon ha girato il film in bianco e nero, solo nei sogni e nel finale trasforma l’immagine in figura cromatica. Le prime inquadrature della cittadina tedesca con i suoi vicoli e le sue donne mi hanno evocato le fotografie di Parigi di Eugène Atget scattate all’inizio del ‘900 per fornire a pittori e architetti le documentazioni di base di cui avevano bisogno.
François Ozon imprime al suo film un tocco omoerotico così come lui sa fare (ricordate Una nuova amica?), che rimane sempre come un velo ambiguo.
Fritz è un adattamento di una pièce del 1925 scritta da Maurice Rostand già portata sullo schermo da Ernst Lubitsch in L’uomo che ho ucciso nel 1932. Gli attori sono molto bravi, infatti, Paula Beer ha ricevuto il premio Mastroianni come attrice emergente a venezia dove il film era in concorso mentre Pierre Niney aveva ottenuto il premio César per l’interpretazione di Yves Saint Laurent. 

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