di Buio in sala
Uno scrittore indispensabile. Questo è stato, ed è tuttora, Gabriel Garcia Marquez per milioni di lettori in ogni angolo del mondo. Ed è con questa convinzione che si esce dal cinema dopo aver visto “Gabo”, il documentario firmato da Justin Webster. Che si sofferma non soltanto sulle opere dello scrittore colombiano, sulla sua fantasia, sul suo straordinario talento nel miscelare nei suoi racconti realtà e fantasia, ingredienti principali del realismo magico. Il film racconta invece il percorso dell’intera vita di Garcia Marquez, dalle sue origini umili nel paesino di Aracataca (a sentirlo pronunciare in lingua originale sembra quasi un rullo di tamburo) ai suoi primi passi nel mondo del giornalismo, dal coraggio dell’impegno politico alla stesura dei suoi capolavori, da Cent'anni di solitudine a Cronaca di una morte annunciata, fino alla conquista del premio Nobel per la letteratura nel 1982.
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di Buio in sala
Uno scrittore indispensabile. Questo è stato, ed è tuttora, Gabriel Garcia Marquez per milioni di lettori in ogni angolo del mondo. Ed è con questa convinzione che si esce dal cinema dopo aver visto “Gabo”, il documentario firmato da Justin Webster. Che si sofferma non soltanto sulle opere dello scrittore colombiano, sulla sua fantasia, sul suo straordinario talento nel miscelare nei suoi racconti realtà e fantasia, ingredienti principali del realismo magico. Il film racconta invece il percorso dell’intera vita di Garcia Marquez, dalle sue origini umili nel paesino di Aracataca (a sentirlo pronunciare in lingua originale sembra quasi un rullo di tamburo) ai suoi primi passi nel mondo del giornalismo, dal coraggio dell’impegno politico alla stesura dei suoi capolavori, da Cent'anni di solitudine a Cronaca di una morte annunciata, fino alla conquista del premio Nobel per la letteratura nel 1982. E a scandire questi percorsi, queste traiettorie, sono stati chiamati dei testimoni: amici, familiari, colleghi, gente comune, politici di assoluto rilievo, da Bill Clinton a Fidel Castro. E filmati, che raccontano passaggi epocali della storia sudamericana (su tutti le immagini del golpe in Cile di Pinochet nel ’73) e la ferma, incrollabile opposizione di Gabo ai regimi di destra che funestarono quegli anni.
Ma c’è anche di più. Perché Garcia Marquez è riuscito negli anni a costruire un contatto quasi fisico con il suo pubblico grazie alla sua umanità, alla sua semplicità, al suo sorriso contagioso. Nel film (ricco, equilibrato, ben dosato, con un'ottima fotografia e un eccellente ricerca di materiale di repertorio) lo si vede scrivere e ballare, in un’alternanza di sequenze che raccontano sia la sua parte pubblica sia quella più privata, più intima. Ma senza alcun tentativo di restituire un ritratto agiografico del personaggio. Gabo non viene raffigurato come un santino da venerare, ma come un uomo. Dotato di un eccezionale talento. Tra le testimonianze non traspare mai invidia o rivalità, ma un’ammirazione asciutta. Un desiderio, ancora oggi più che mai vivo, di raccontarlo, di condividerlo.
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