sergio dal maso
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mercoledì 17 giugno 2015
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la nostra terra
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Non ereditiamo la terra dai nostri antenati, la prendiamo in prestito dai nostri figli. (proverbio navajo)
Si può lottare contro le mafie con piccole cooperative agricole dedite all’agricoltura dei terreni confiscati ai mafiosi? Si può opporsi alla lupara e alle intimidazioni con la coltivazione di zucchine e pomodori biologici? Si può parlare di mafia senza sangue e morti ammazzati ma con leggerezza e ironia, senza peraltro annacquare un forte messaggio di impegno civile e sociale?
Certo cheSi può fare, risponderebbe senza dubbi a queste domande il regista Giulio Manfredonia riprendendo il titolo del suo esilarante e fortunatissimo film di qualche anno fa sulla storia (vera) di una comunità di pazienti di un manicomio che negli anni ottanta sperimentò innovativi programmi di lavoro e di reinserimento sociale.
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Non ereditiamo la terra dai nostri antenati, la prendiamo in prestito dai nostri figli. (proverbio navajo)
Si può lottare contro le mafie con piccole cooperative agricole dedite all’agricoltura dei terreni confiscati ai mafiosi? Si può opporsi alla lupara e alle intimidazioni con la coltivazione di zucchine e pomodori biologici? Si può parlare di mafia senza sangue e morti ammazzati ma con leggerezza e ironia, senza peraltro annacquare un forte messaggio di impegno civile e sociale?
Certo cheSi può fare, risponderebbe senza dubbi a queste domande il regista Giulio Manfredonia riprendendo il titolo del suo esilarante e fortunatissimo film di qualche anno fa sulla storia (vera) di una comunità di pazienti di un manicomio che negli anni ottanta sperimentò innovativi programmi di lavoro e di reinserimento sociale. Anche La nostra terra affronta un tema difficile, di cui si sa poco o nulla, con il sorriso e con la leggerezza di una commedia “etica”, a tratti quasi una favola. Anche in questo caso al centro della storia c’è una goffa cooperativa composta da personaggi strampalati, ciascuno a modo suo in cerca di un riscatto personale.
La cooperativa agricola a cui viene affidata la gestione e la coltivazione del podere e delle terre confiscate al boss in carcere Nicola Sansone è infatti composta da Rossana, una giovane attivista antimafia con un oscuro passato, Piero e Salvo, una coppia omosessuale, un immigrato congolese disoccupato, un disabile in carrozzina, una ecologista un po’ invasata e, infine, il personaggio più complesso e importante della storia, Cosimo, l’ex fattore del boss, sfuggente e ambiguo. I “nostri” si trovano del tutto impreparati ad affrontare i boicottaggi e le intimida-zioni dell’omertosa cultura mafiosa, come se non bastasse l’ingarbugliata burocrazia italiana non aiuta certo l’imprenditorialità in contesti difficili e ostili come questo. Viene quindi inviato dal nord il sindacalista Filippo, esperto di normative antimafia ma timoroso e paranoico, dipendente dagli ansiolitici.
Ostacoli e difficoltà, nonché colpi di scena come la concessione dei domiciliari al boss mafioso, riusciranno a vincere l’entusiasmo e la determinazione della sgangherata cooperativa?
La cultura della legalità e quella della terra possono cambiare veramente il modo di pensare e diventare il punto di partenza del riscatto del meridione?
L’associazione Libera di don Ciotti, ispiratrice del film e della legge che permette la confisca dei beni alle famiglie mafiose e la loro assegnazione a cooperative agricole, ne è fermamente convinta. L’agricoltura biologica “dal basso”, il lavoro cooperativistico nelle proprietà confiscate alle cosche, più in generale l’educazione alla legalità e la cultura del lavoro, devono e possono essere il motore della nuova antimafia.
La nostra terraraccoglie il testimone da Pif (Pierfrancesco Diliberto) che con il suo La mafia uccide solo d’estate è stato la vera sorpresa italiana della scorsa stagione cinematografica. Come quello di Pif anche il film di Manfredonia parla di mafia con il sorriso sulle labbra, riuscendo a confezionare una sceneggiatura garbata, divertente e intelligente. Certamente alcuni personaggi appaiono un po’ troppo caricaturali e alcuni passaggi eccessivamente didascalici, ritengo però che nell’insieme vada riconosciuta al regista romano una sincerità di fondo e una buona dose di originalità nell’affrontare con i toni della commedia una tematica mai portata sullo schermo. Stefano Accorsi è bravissimo nel dar vita a un irrequieto Filippo, paladino rigoroso dell’antimafia dal suo ufficio bolognese ma pavido e incerto quando si trova nella masseria del boss.
Straordinario è anche Sergio Rubini, autentico mattatore nella storia, capace di impersonare con il personaggio di Cosimo sia le radicate contraddizioni che l’esuberanza e la voglia di riscatto del nostro meridione.
Ma la vera protagonista del film è la terra, quella dell’ancestrale cultura contadina e dell’agricoltura biologica. La stessa terra troppo spesso violata, avvelenata e cementificata in modo irresponsabile, al sud come al nord.
La nostra terra, da cui, inevitabilmente, bisogna ripartire.
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flyanto
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lunedì 22 settembre 2014
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come cercare di ostacolare in qualche modo la real
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Film in cui si racconta di un gruppo di persone che si riunisce al fine di trasformare in una cooperativa di prodotti della terra biologici uno dei tanti terreni confiscati ad un potente boss mafioso della Puglia, ora in prigione. L'impresa non sarà facile a causa dei vari boicottamenti di coloro che ancora sono affiliati e fedeli collaboratori del tanto temuto personaggio ma alla fine tutti i componenti del gruppo riusciranno nel proprio intento di trasformare gran parte delle terre in terreni coltivabili e soprattutto aderendo alle leggi oneste della società.
Quest' ultima opera Di Giulio Manfredonia, tra il tono comico e quello serioso, presenta il delicato e purtroppo vigente e sempre di più dilagante problema delle lotte, dure e difficili e non sempre a lieto fine, che molte persone oneste intraprendono al fine di ostacolare ed abbattere definitivamente tutto l'andamento di "leggi" e "regole" dettate dai clan mafiosi e molto distanti dalla legalità riconosciuta onetsamente dalla Costituzione.
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Film in cui si racconta di un gruppo di persone che si riunisce al fine di trasformare in una cooperativa di prodotti della terra biologici uno dei tanti terreni confiscati ad un potente boss mafioso della Puglia, ora in prigione. L'impresa non sarà facile a causa dei vari boicottamenti di coloro che ancora sono affiliati e fedeli collaboratori del tanto temuto personaggio ma alla fine tutti i componenti del gruppo riusciranno nel proprio intento di trasformare gran parte delle terre in terreni coltivabili e soprattutto aderendo alle leggi oneste della società.
Quest' ultima opera Di Giulio Manfredonia, tra il tono comico e quello serioso, presenta il delicato e purtroppo vigente e sempre di più dilagante problema delle lotte, dure e difficili e non sempre a lieto fine, che molte persone oneste intraprendono al fine di ostacolare ed abbattere definitivamente tutto l'andamento di "leggi" e "regole" dettate dai clan mafiosi e molto distanti dalla legalità riconosciuta onetsamente dalla Costituzione. Quello infatti che il regista rappresenta e di conseguenza denuncia apertamente è la negativa situazione che per lo più vige in certe aree, soprattutto del Sud Italia, e che condizione fortemente tutta l'economia del paese nonchè la popolazione stessa, ma con questa storia, tratta peraltro da un fatto realmente avvenuto, Manfredonia vuole anche dimostrare che a volte certe giuste battaglie intraprese possono avere successo e pertanto occorre, credendoci, sostenerle, portarle avanti e soprattutto non soccombere vigliaccamente ad uno "status quo" imperante e quanto mai ormai radicato profondamente. Insomma, di tutto "il marcio" degli intrallazzi che nel suo precedente "Qualunquemente" Manfredonia parlava in tono esclusivamente comico, qui viene da lui ripreso ed affrontato con maggiore serietà e più equilibrio.
A sostegno della riuscita complessiva e positiva del film bisogna menzionare tutto il cast di attori, principali e non, che bene interpreta i vari ruoli assegnati con una menzione speciale, da attore fuori classe, per Sergio Rubini che meglio di altri ha saputo esprimere un ruolo assai complesso ed affatto positivo.
Interessante ed a tratti anche divertente allo stesso tempo.
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aloisa clerici
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martedì 30 settembre 2014
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una commedia corale dalle tinte pastello
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Giulio Manfredonia fu applaudito nel 2008 per la regia di un film coinvolgente e per niente facile: “Si può fare”, che raccontava con ironia e garbo la vita in una comunità di malati mentali dove Claudio Bisio supportava brillantemente il ruolo di capo-cantiere. Più di recente si è avvicinato alla satira politica dirigendo Antonio Albanese prima in “Qualunquemente”, poi in “Tutto tutto niente niente”. Oggi troviamo “La nostra terra”, un’interessante commedia corale che segue lo stesso canovaccio di “Si può fare”, ma affronta un argomento diversamente spinoso: la realtà mafiosa. Nell’antefatto, la famiglia di Nicola Sansone, noto boss della mafia pugliese, in un tempo lontano si è illecitamente impadronita di un podere di proprietà della famiglia di Cosimo (un impetuoso Sergio Rubini), un contadino vecchio amico di Sansone, che ne diventerà fattore di famiglia.
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Giulio Manfredonia fu applaudito nel 2008 per la regia di un film coinvolgente e per niente facile: “Si può fare”, che raccontava con ironia e garbo la vita in una comunità di malati mentali dove Claudio Bisio supportava brillantemente il ruolo di capo-cantiere. Più di recente si è avvicinato alla satira politica dirigendo Antonio Albanese prima in “Qualunquemente”, poi in “Tutto tutto niente niente”. Oggi troviamo “La nostra terra”, un’interessante commedia corale che segue lo stesso canovaccio di “Si può fare”, ma affronta un argomento diversamente spinoso: la realtà mafiosa. Nell’antefatto, la famiglia di Nicola Sansone, noto boss della mafia pugliese, in un tempo lontano si è illecitamente impadronita di un podere di proprietà della famiglia di Cosimo (un impetuoso Sergio Rubini), un contadino vecchio amico di Sansone, che ne diventerà fattore di famiglia. Dopo l’arresto del boss, le stesse terre verranno confiscate dallo Stato e assegnate ad una cooperativa preposta al recupero del territorio tramite attività agricole che però, a causa dell’ostilità del contesto locale e dal profondo radicamento di un sistema corrotto capillare e perverso, non riesce ad avviarsi. Qui entra in scena un bravo Stefano Accorsi nei panni di Filippo, un serio e goffo burocrate di Bologna, esperto di leggi-antimafia che dopo anni di esperienza da ufficio, scende in campo per risollevare le sorti della cooperativa e operare per il “bene comune”. Voglia di riscatto, rassegnazione, paura, rabbia e indignazione sono i sentimenti che si alterneranno durante il viaggio di Filippo. E i coloriti confronti con Cosimo, in uno scontro ideologico-culturale, porteranno i due a scontrarsi, a studiarsi e poi ad incontrarsi in un’area comune intrisa di ambiguità e diffidenza e a rincorrersi lungo un percorso ad ostacoli, fatto da due linguaggi diversi e lontani; un passaggio obbligato per chi come loro gioca in prima linea e decide di andare fino in fondo, di percorre la strada del cambiamento, della crescita come animale sociale e come essere umano. Un tema attuale e pulsante, quello della legalità e della giustizia del nostro Sud, che ancora si tende ad accogliere con fatale indulgenza senza prenderne le distanze, considerandola una forma distorta e acquisita della nostra logorata cultura. Il film è stato giudicato dalla critica un buon contributo socio-culturale, invece come opera filmica un prodotto “buonista”, che predilige scelte rassicuranti piuttosto che la viva provocazione, il rischio della verità. I partecipanti dell’associazione compongono infatti, più che una comunità, una vera squadra-antirazzismo di elementare destinazione, dove sono ospitate le più comuni diversità sociali: un omosessuale, un uomo di colore, un uomo con handicap fisico. Personalmente, ho apprezzato proprio questa semplicità, la genuinità dell’intento, l’ironia fresca di alcuni personaggi (Iaia Forte è esilarante nel ruolo della stralunata donna-pro-bio!) e gli attribuisco il merito di aver portato sul grande schermo, in un momento drammatico come l’attuale, un messaggio chiaro avvalendosi di toni scanzonati e divertenti; una formula dedicata ad pubblico di ampio spettro, quello meno smaliziato e introdotto, che è forse il tassello che manca per costruire e completare una coscienza comune consapevole e combattiva. E chissà mai che a qualcuno non venga voglia di seguire le orme di Filippo e di sperimentare cosa significhi “sporcarsi le mani”, nel nome di un ideale. aloisaclerici@gmail.com
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