Eisenstein in Messico |
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Un film di Peter Greenaway.
Con Elmer Bäck, Luis Alberti, Maya Zapata, Rasmus Slätis.
continua»
Titolo originale Eisenstein in Guanajuato.
Sentimentale,
Ratings: Kids+16,
durata 105 min.
- Messico, Finlandia, Belgio, Francia, Paesi Bassi 2014.
- Teodora Film
uscita giovedì 4 giugno 2015.
- VM 14 -
MYMONETRO
Eisenstein in Messico
valutazione media:
3,61
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Per la gioia del cinefilodi ZararFeedback: 13464 | altri commenti e recensioni di Zarar |
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domenica 21 giugno 2015 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Il film è una gioia per gli occhi del cinefilo puro. Il regista gallese P. Greenaway incontra il grande Eisenstein su due piani, uno formale ed uno psicologico. Il primo è quello di una cinematografia che scuote lo spettatore con molteplici strategie di straniamento: moltiplicazione in contemporanea dei piani visivi, inserti cinematografici, fotografici, documentari, alterazione dei tempi narrativi, sviluppo serrato e violento dell’azione, immagini come quadri o impreviste e disturbanti come pugni in faccia, opposizione stilistica tra immagini e colonna sonora, tra azione e parlato. Lo spettatore non è mai cullato, ma piuttosto costretto a farsi parte attiva, a ricomporre da solo, nella ricerca dei significati simbolici, sollecitazioni molteplici e contrastanti, sequenze incongrue, vuoti inaspettati, a interpretare vertigini di dettaglio e vertigini di dilatazione di campo, in una parola, voglia o non voglia, a cercare un senso che va al di la di una trama o di ‘messaggi’ espliciti. Sperimentale e ideologico per Eisenstein, questo montaggio fortemente intellettualistico, tra futurista e brechtiano, tra teatrale, pittorico e filmico è rielaborato da Greenaway all’insegna di una scelta stilistica che lui definirebbe un barocco postmoderno: in un’epoca senza pensiero forte, quello che si può fare di meglio è rimpastare l’enorme patrimonio formale del passato, con tutta la ricchezza delle nuove possibilità tecnico-espressive e tutta la densità della propria cultura, senza pretendere di raccontare ‘storie’. E non c’è infatti in questo film una vera storia, che resta, con i suoi drammi e le sue miserie, sullo sfondo, quanto piuttosto un’opposizione fondamentale, straniante e dunque fortemente stimolante, alla Eisentein appunto, tra questa cornice strutturante di un formalismo esasperato e un grande tema simbolico di fondo che gronda passione e sangue: il principio di piacere, che lega oscuramente Eros e Thanatos. Un tema non nuovo per il regista (v. ‘I racconti del cuscino’) e che, d’altra parte, tormentò non poco Eisenstein a livello drammaticamente personale. Nel 1931 Eisenstein è in Messico con un progetto di film che non arriverà mai a realizzare. Periodo, secondo la sua biografa M. Seaton, in cui Eisestein avrebbe dato sfogo a eccentricità ed immoralità… Un uomo con pulsioni omosessuali compresse e sublimate nella repressiva Russia staliniana, avrebbe qui finalmente scoperto i diritti del corpo, la forza degli istinti, il coraggio di esprimere la propria sessualità, in un ambiente in cui la rivoluzione non aveva cancellato un arcaismo sensuale, primitivo e violento. Su questo momento cruciale si sofferma il regista, trasformandolo in un rito iniziatico e liberatorio, che ha il merito di restituire ad Eisestein il diritto alla sua omosessualità. Un atto incompiuto, per così dire, perché – viene lasciato intuire - un ritorno forzato in Russia e un matrimonio di copertura faranno ripiombare il protagonista in una situazione dolorosa di autorepressione. Un Elmer Bäck che ha tratti dell’Amadeus di Miloš Forman dà volto e corpo ad Eisenstein con qualche eccesso di espressionismo; è convincente nella sua nonchalance sorniona Luis Alberti/Palomino Cañedo. Il film ha una tensione migliore nella prima parte. Parte del balletto virtuosistico della cornice la colonna sonora, dal Montecchi e Capuleti di Prokofiev alla musica popolare messicana. Il tutto interessantissimo, ma – appunto – troppo virtuosistico? Tre stelle e mezzo.
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