Domandiamocelo: c’era proprio bisogno di questo “Insidious 2”?
Ebbene, quando il botteghino risponde positivamente, la risposta sembra essere (sempre) sì.
Il prologo fa grandi promesse (l’idea del bambino che, sotto ipnosi, dà indicazioni alla medium su come trovare il fantasma, è da brivido), che non vengono affatto mantenute lungo il corso della pellicola.
La prima parte procede come un “Paranormal Activity” spogliato dalla telecamera a mano (il che, fin che il gioco è corto, si rivela efficace). Ci cascano invece le braccia (e, ahinoi, non solo quelle) quando la madre viene schiaffeggiata e scaraventata a terra da un fantasma fittizio che più fittizio non si può.
Ed è solo l’inizio di una disastrosa discesa verso il baratro.
L’ultimo film di James Wan ha come principale difetto l’accumulo fuorviante e fastidioso di flashback, soprattutto durante un improbabile trip finale (il che crea ancora più confusione), che con Patrick Wilson con la torcia in mano e altri 3 personaggi al suo seguito sembra più che altro una processione, nonché una scena girata in un ospedale abbandonato refrattaria a qualsiasi concetto di suspense e che ci ricorda (fin troppo da vicino) il dimenticabile “ESP – fenomeni paranormali” (!!).
Per non parlare poi delle citazioni (plagio?) ai danni di “Shining” in primis (Patrick Wilson come improbabile Jack Torrance?) e “Psycho” in secundis (in una delle troppe storie che scorrono parallele a chissà quale trama di fondo, vi è la storia di un bambino che si traveste da donna ed è oppresso e fortemente rimproverato dalla madre).
Tutto questo rende il film complesso e frammentato, quindi ostico e noioso, e oltretutto interminabile (al di là di tutto ci sono almeno 20 minuti di troppo).
Ciliegina sulla torta: l’accumularsi progressivo di siparietti comici imbarazzanti attuati dai due improbabili “investigatori di fantasmi” (che qui sembrano usciti da Zelig).
La scena dove la madre entra nella camera da letto del bambino (luce rossa nella stanza), e vede alla finestra la figura di un uomo (fantasma) tra le tende, è identica (ma identica sputata) ad una scena nel primo capitolo. Questa è solo una delle tante dimostrazioni della mancanza di originalità di un regista che altrove ha dato ottimi esiti, ma che qui si limita a riproporre in modo incessante gli schemi e le strutture del primo “Indisious”, salvo perdere il filo della narrazione e, arrivati a 40 minuti circa di film, non sapere più che strada prendere.
Qualcosina di buono c’è: oltre al prologo, va citata la scena verso metà dove il bambino “parla” con i fantasmi nell’armadio attraverso il “telefono” di corda e bicchieri.
Nulla però in grado di riuscire a salvare questo film dalla mediocrità e dal ridicolo (in)volontario. Il finale poi si chiude (manco a dirlo) nello stesso modo del precedente, lasciando le porte aperte (preghiamo perché ciò non accada, o speriamo in un miracolo) per un possibile numero 3.
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