Love, Marilyn - I diari segreti

Un film di Liz Garbus. Con Glenn Close, Viola Davis, Ben Foster, Jeremy Piven, Jack Lemmon.
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Titolo originale Love, Marilyn. Documentario, durata 107 min. - USA, Francia 2012. - Feltrinelli Real Cinema uscita lunedì 30 settembre 2013.
   
   
   

i secret diaries di marilyn Valutazione 3 stelle su cinque

di angelo umana


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domenica 29 dicembre 2013

 Di Marilyn Monroe si parla ancora, dopo gli oltre 1000 libri scritti su di lei e i forse altrettanti film, la 80enne Brigitte Bardot invece nessuno la va a trovare. Gli è che Marilyn è per sempre giovane, per sempre diva, la sua immagine e il clamore attorno al suo nome sono cristallizzati al 1962, quando la bellissima 34enne è morta. Nel bel documentario di Liz Garbus – autrice di molti altri documentari sempre dettagliati e scrupolosi, con le immagini autentiche del tempo, fu interessante anche quello su Bobby Fischer – viene detto che quando il futuro muore l’immaginazione lo inventa: ecco raggiunta la bellezza che non sfiorisce.
 
In questo nuovo “appuntamento” con la Monroe, dopo il film “My week with Marilyn” di Simon Curtis del 2011, vengono fatti parlare attori che impersonano i moltissimi che la conobbero e l’amarono, o la utilizzarono, vi sono le videoriprese del tempo ma soprattutto i suoi diari, che devono essere stati un suo rifugio, dove confessava le inadeguatezze che sentiva, “la paura innata a recitare”, la solitudine vissuta da sempre, le insicurezze. Pare che i suoi immensi vuoti affettivi – papà andò via di casa poco dopo la sua nascita, la madre fece il suo ingresso in un manicomio per restarci, la bambina conobbe la freddezza di famiglie adottive e orfanotrofi – li abbia voluti colmare con un pubblico davanti a sé, aveva bisogno sempre di un palco dove mostrarsi (e del suo aspetto non si poteva che gioire e sognare), più che recitare forse, degli estranei che le dessero l’affetto sempre cercato. Di lei viene detto che aveva creato il suo personaggio, se lo era costruito e fu precursore della diva come simbolo sessuale, per aver posato nuda su Playboy, cosa fuori dai canoni del tempo.
 
Nelle interviste appare però la ragazza indifesa quale era. Marilyn scrisse in un diario: “Non sei più una bambina sola e spaventata. Puoi sederti vicino al mondo”: in fondo così è stata soprattutto, una bambina sola e spaventata, estraniata dal mondo, cercò la fama anche per compensare i suoi vuoti. Nei diari che scorrono tra le immagini si colgono due calligrafie differenti, se fossero entrambe sue – ma resta un mistero - si direbbe che alcune pagine erano la brutta copia, scarna e senza fronzoli. Le altre invece potrebbero essere la bella copia, con una scrittura più fluida, elegante e rotondeggiante. Tutte e due le calligrafie però contengono un segno che i manuali di grafologia definiscono come indice di “ricettività, apertura alle sollecitazioni, facilità alla commozione, influenzabilità, intenerimento, in particolare sul piano dell’affettività e della sessualità”.
 

Questo in effetti è stata Marilyn, influenzabile, facilmente innamorabile anche se i suoi tre mariti sembrano dei giganti nei quali cercò protezione. A parte James Dougherty che sposò a 16 anni, pare per non dover tornare in orfanotrofio, Joe Di Maggio era un gigante del baseball e l’unico che si sia interessato a lei anche dopo la separazione. Arthur Miller, Pulitzer per la letteratura, era un gigante di cultura da cui si sentiva sovrastata come una studentessa universitaria che si innamora del suo docente, ed è anche questa una forma di protezione. Nonostante le immagini di “m.m.” che la ritraggono con libri in mano – nel documentario è detto che studiava molto – l’attrice non dà l’impressione di essere colta, quanto brava ad apparire col suo aspetto, studiava per saper recitare. Molti dei rapporti sessuali avuti – riferisce ancora il documentario – erano dovuti al “così fan tutte”, per lavorare era normale che le attrici si concedessero ai registi, produttori, gente di potere dell’industria dello spettacolo.

 

Miller non pare essersi dedicato granché a lei, tale era la distanza e la differenza tra i due (ma gli americani si sposano tanto e sconsideratamente, e ognuno dei vari matrimoni sembra the first and the last). Dalla relazione con Marilyn scrisse il discusso dramma “After the Fall” nel 1964, autobiografico. Disse di lei, dopo la separazione, che si portava addosso “i demoni che l’avevano ossessionata per tutta la vita”, che era un “cuore disturbato”, con un “lato oscuro e tragico del quale ai tempi non conoscevo la dimensione”. Joe Di Maggio l’avrebbe voluta ai fornelli, come una devota moglie italiana, ma fu colui che la tirò fuori da una clinica psichiatrica dove venne rinchiusa per 6 giorni, verso la fine, e fu anche l’amico che si occupò del funerale. 

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