La terra oltraggiata

   
   
   

Ancorarsi al passato per sopravvivere nel presente Valutazione 3 stelle su cinque

di ashtray_bliss


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domenica 22 marzo 2015

La terra oltraggiata è una pellicola significativa e peculiare, che prende spunto dai tragici avvenimenti che sconvolsero l'Ucraina e il mondo intero dopo l'esplosione del reattore n.4 della centrale di Chernobyl nel 1986. Ma significativo è il fatto che la regista decide di distaccarsi dal creare una pellicola in stile documentaristico e si focalizza principalmente nel seguire e raccontare il dramma umano che sconvolse gli abitanti della cittadina di Pripyat, la prima città (a soli 3 km di distanza dalla centrale) ad esserne colpita. Gli effetti devastanti dunque di quel tragico incidente non vengono rappresentati sotto forma di effetti speciali e sensazionalistici (cosa che sarebbe sin troppo facile) ma assumono la forma di un vero e proprio calvario umano che devasta la psiche di quei sfortunati abitanti, i quali oltre alla loro cittadina natale, lasciano indietro pezzi irrecuperabili di una vita intera.

A sorreggere il lungometraggio troviamo una brava e convincente Olga Kurylenko nel ruolo della tormentata Anya che vive nei ricordi del suo passato, con i quali coltiva un rapporto conflituale di 'amore/odio'. Da una parte vorrebbe evadere, dimenticare, fuggire via dai luoghi della tragedia e di quel incubo che non sembra voler finire. Dall'altra, è consapevole di non voler lasciar andare quella parte di se e della sua esistenza che la legavano a Pripyat.
Anya infatti, ha lucidi ricordi del giorno della catastrofe che in un gioco tragico del destino, coincideva col suo matrimonio con Piotr. Quello stesso giorno, venne però segnato da una forte precipitazione d'acqua, che rappresentava l'inizio di uno dei tanti scombussolamenti ambientali che si susseguirono poco dopo. In un contesto di grande confusione e disinformazione da parte della maggioranza della polazione, il film si concentra sulla figura della sposa-tragica Anya, che non riesce nemmeno a portare a termine i festeggiamenti del matrimonio quando suo marito viene chiamato ad aiutare a domare l'incendio. E poi si seguono le vicende famigliari di Valery, bambino sveglio e vispo nonchè attaccato alla figura paterna di Alexey, uno scienziato, il quale gli insegna ad amare e rispettare la natura e le sue creature, e nello stesso giorno pianta insieme al figlio un albero di mele.
Da li a poco, il padre viene informato dei fatti ma riceve ordini di non divulgare le notizie, strettamente confidenziali, a nessuno. Alexey, allora decide di mettere in salvo il figlio e la moglie facendoli allontanare prontamente dalla cittadina.
A distanza di anni, ognuno di loro deve fare i conti con le conseguenze di quel incidente e del consecutivo sfollamento. Ognuno di loro deve fronteggiare l'incolmabile vuoto interiore derivato dalla perdita di persone care, e dal radicale distacco dai luoghi di Pripyat che rappresentavano la loro intera vita e di cui conservavano il grosso valore affettivo.
Cosi, rincontriamo Valery divenuto un inquieto adolescente, alla disperata ricerca della figura paterna e dei luoghi della sua infanzia rubata, quando ogni anno viene effettuata una processione commemorativa di tutti 'gli eroi caduti' per difendere la città e permettere al resto degli abitanti di andarsene. Rivediamo anche Alexey che non era morto, ma era soltanto uno dei tanti dispersi, il quale avendo perso la ragione, viene divorato dai sensi di colpa per aver eseguito gli ordini, senza annunciare il pericolo al quale erano esposti gli abitanti della cittadina. Ma sopratutto ritroviamo Anya col volto triste e lo sguardo spento, che fa da guida nelle zone visitabili della cittadina, a distanza di 10 anni dall'incidente. Anya si è imparata il francese, il suo fidanzato è un parigino e le si prospetta un futuro roseo in Francia, lontano dai luoghi di dolore e miseria. Lei stessa è ampiamente combattuta tra il voler ricominciare a vivere, andandosene definitivamente da quei luoghi opprimenti, colmi di dolore e disperazione e il richiamo di quella stessa città-fantasma dal quale non sembra voler estraniarsi e grazie alla quale riesce a mantenere vive le memorie del passato, alle quali resterà definitivamente ancorata.
In tal modo la Boganim riesce a confezionare un prodotto raffinato, di stile, un'opera altamente drammatica e nostalgica che riesce perfettamente a far trapelare quel senso di disorientamento, attravverso gli sfortunati protagonisti della vicenda. Particolarmente notevole è l'uso della fotografia, nel primo tempo a colori accesi e vivaci, metaforicamente indicanti della salute, goia e della vivacità di cui godeva Pripyat sia dal punto di vista ambientale, paesaggistico che dei suoi abitanti; nel secondo tempo della storia invece i colori mutano drasticamente come la fotografia dei luoghi. Sono ormai cupi, grigi, pesanti a indicare lo spegnimento della speranza, della felicità, a immortalare lucidamente il vuoto interiore, le ferite mai chiuse dei superstiti e i loro conseguenti cambiamenti piscosomatici. Ogni angolatura di ripresa è perfettamente in grado di trasmettere l'angoscia e l'agonia dei personaggi parallelemente all'esposizione dell'innaturale degrado e distruzione che regnano sovrani nella città, ormai divenuta meta di turismo estremo 'mordi-e-fuggi' o semplice rifugio di profughi (in tal senso significativa è la scena dell'incontro di Anya nell'abitazione abusiva dei profughi Tajiki).
Il senso di estraniazione pervade l'intera pellicola, rendendola un prodotto amaro ma coerente e verosimile. Un'opera delicata, dove non viene fatto nessun uso spropositato di effetti speciali, e dove il dolore o la violenza non vengono mai strumentalizzati, fini a stessi, donando spessore a quel silenzioso dramma umano che consuma poco a poco i protagonisti, frammentando anche il loro senso di appartenenza, la loro identità etnica. Interessante anche dal punto di vista folkloristico (su tutti la scena del cimitero), La terre outragèe è un prodotto memorabile, che con lucidità fotografa un'atmosfera decadente e nostalgica che lascia un velo di amarezza e tristezza alla fine della visione. Ottima la redia, la fotografia firmata Arvanitis e memorabile la colonna sonora.
Un film atipico, assolutamente consigliato.

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