imliver
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venerdì 2 marzo 2012
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ma cosa vi aspettavate?
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Contesto la visione dei bacchettoni della Shoah, che accusano romanzo e film di pressapochismo e superficialità.
Non si tratta di questo: il film affronta un argomento su cui si è scritto e mostrato tutto. Nel 2010 non è possibile parlare di un fatto avvenuto del 1942 con il taglio del documento storico.
"La chiave di Sara" non può e non deve descrivere l'olocausto in tutte le sue sfumature, ma non per superficialità. Chi volesse approfondire, ha a disposizione un archivio sterminato di romanzi, saggi, documentari e fiction, anche estremamente importanti e autorevoli.
Questo film, invece, si limita a fornire uno spaccato sulla connivenza di persone che (allora) sapevano, e di altre che, ai giorni nostri, sanno, ma cercano di non essere coinvolti dall'idescrivibile tragedia.
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Contesto la visione dei bacchettoni della Shoah, che accusano romanzo e film di pressapochismo e superficialità.
Non si tratta di questo: il film affronta un argomento su cui si è scritto e mostrato tutto. Nel 2010 non è possibile parlare di un fatto avvenuto del 1942 con il taglio del documento storico.
"La chiave di Sara" non può e non deve descrivere l'olocausto in tutte le sue sfumature, ma non per superficialità. Chi volesse approfondire, ha a disposizione un archivio sterminato di romanzi, saggi, documentari e fiction, anche estremamente importanti e autorevoli.
Questo film, invece, si limita a fornire uno spaccato sulla connivenza di persone che (allora) sapevano, e di altre che, ai giorni nostri, sanno, ma cercano di non essere coinvolti dall'idescrivibile tragedia. È successo anche da noi, per cui sappiamo di cosa si tratta.
All'epoca tutti sono colpevoli, dalla polizia collaborazionista, che finse di ignorare la destinazione finale degli ebrei parigini, concentrati al Vélodrome d'Hiver, fino a chi, semplicemente, si impossessò degli appartamenti rimasti sfitti.
Eppure, la vita dà a ciascuno dei personaggi la possibilità di riscattarsi, come capitò al poliziotto che fece fuggire le bambine dal campo di concentramento, o a Jules Dufaure, che adottò la piccola Sara. Ma anche ai giorni nostri è data la possibilità alla giornalista Julia, e al ritroso William, di conoscere una verità tremenda e, a suo modo catartica. "Ogni verità ha un prezzo da pagare," e una verità terribile ha un prezzo altrettanto terribile.
Magari non sarà un capolavoro, ma a me "La chiave di Sara" è piaciuto, eccome, per l'intensità dei personaggi, l'ambientazione, i costumi e la fotografia curati.
Sono passati 70 anni dalla Shoah, e fra un po' non sarà più possibile realizzare opere che ne parlino attraverso la viva voce dei protagonisti. Lavori come questi, dobbiamo tenerceli stretti.
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francesca50
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lunedì 6 febbraio 2012
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una chiave nuova sull'olocausto
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Il film rivisita il noto tema mostrando che ci sono stati degli "uomini" a salvare gli ebrei dalla follia nazista, in mezzo a tante bestie, ma La chiave di Sara mostra pure come "i sopravvissuti non possano vivere più una vita normale". Sara si uccide perché non riesce a perdonarsi, non tanto e solo per aver fatto morire il fratello ma per non essere riuscita a salvarlo. Chi ha intravisto l'orrore comunque non riesce più a vivere pensando che i propri cari lo hanno vissuto. Bello comunque il finale che mostra come la vita continua...
[+] attenzione
(di ardnassela)
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unicafiore
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venerdì 20 gennaio 2012
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una storia indimenticabile..
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La storia della piccola Sarah che al momento della deportazione rinchiude il fratellino in un armadio,ignara del fatto che non sarebbe potuta ritornare a breve termine nella casa.Intanto, si assiste ad una serie di flash back continui in cui una giornalista si interessa alla storia di questa bambina,scoprendo in seguito
un segreto che man mano la porteranno a far luce sulla vita di Sarah......assolutamente da vedere...
[+] bellissimo
(di leospa5)
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angelo umana
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venerdì 3 febbraio 2012
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come sapete cosa avreste fatto?non siete stati lì
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Sara è una bellissima donna stabilitasi e sposatasi in America negli anni 50 che, lo dice il marito stesso, porta nel volto un profondo dolore, come un peso tremendo, anche quando sorride. Un giorno si suicida in quello che sembrava un incidente d’auto.
Giulia è una giornalista franco-americana che, a Parigi, decide nel 2009 di scrivere della “retata” di 13000 ebrei dapprima concentrati dai tedeschi nel Vélodrome d’Hiver e poi deportati, avvenimento del quale neppure una foto esiste. Nella sua ricerca si sofferma sulle sorti di una famiglia di ebrei che fu fatta sgombrare da un appartamento nel 1942, occupato mesi dopo dai genitori di suo marito. Proprio in quell’abitazione la famiglia della giornalista starebbe per traslocare.
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Sara è una bellissima donna stabilitasi e sposatasi in America negli anni 50 che, lo dice il marito stesso, porta nel volto un profondo dolore, come un peso tremendo, anche quando sorride. Un giorno si suicida in quello che sembrava un incidente d’auto.
Giulia è una giornalista franco-americana che, a Parigi, decide nel 2009 di scrivere della “retata” di 13000 ebrei dapprima concentrati dai tedeschi nel Vélodrome d’Hiver e poi deportati, avvenimento del quale neppure una foto esiste. Nella sua ricerca si sofferma sulle sorti di una famiglia di ebrei che fu fatta sgombrare da un appartamento nel 1942, occupato mesi dopo dai genitori di suo marito. Proprio in quell’abitazione la famiglia della giornalista starebbe per traslocare. Era la casa dove Sara bambina abitava nel ’42, vi è morto il suo fratellino Michel che lei fece nascondere in un armadio per sfuggire ai tedeschi - di questa morte si è sempre sentita responsabile - e da dove i suoi genitori partirono per morire in un campo di concentramento in Polonia. Dunque il suicidio di Sara appare come qualcosa che ha perseguito per liberarsi da un’immensa solitudine e senso di colpa. Un effetto collaterale, si direbbe, delle deportazioni di ebrei francesi di cui molti francesi naturali si compiacquero e si fecero responsabili, tacendo o sostenendo “si dicono tante cose sugli ebrei”. Tema affrontato molto bene ne “La Rafle” (Vento di primavera), eccellente film di Rose Bosch.
Nella sua indagine Giulia incontra anche William, il figlio di Sara che nel 2009 vive a Firenze, che non vorrebbe sapere nulla del passato di sua madre ma … “noi siamo il frutto della nostra storia”, il passato “non può essere dimenticato né tanto meno ignorato” e “non se ne esce mai del tutto”.
Giulia non andrà a vivere in quella casa col marito e la figlia, e un’altra bimba che le nasce e a cui dà nome Sara, un atto di speranza dopo aver ripercorso le vicende di quella famiglia e degli ebrei del Vélodrome d’Hiver: le sarebbe apparso come usurpare una seconda volta l’abitazione di Sara.
“Quando una storia viene raccontata diventa qualcos’altro, il ricordo di ciò che eravamo e la speranza di ciò che possiamo diventare”. Giulia-Kristin Scott Thomas non potrebbe prestare mai il suo volto intenso a qualcosa che sia anche solo un pò banale.
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[+] ma la dicitura spoiler non si usa più...
(di ermioneluna)
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[+] 2 imprecisioni mica lievi
(di antoine_doinel)
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[+] spoiler e imprecisioni
(di angelo umana)
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annu83
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martedì 21 febbraio 2012
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la macchina da presa in cambio dell'espiazione dei
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La storia della piccola Sara, ebrea di Parigi appena adolescente, costretta a vivere suo malgrado il feroce rastrellamento del '42 francese non è poi così originale. Ne sono passate parecchie di pellicole di questo genere, magari semplicemente cambiando l'ambientazione, la lingua dei soldati, le pettinature e il modo di vestire, l'architettura delle case e delle botteghe, ma la trama centrale non può cambiare, purtroppo. E allora ci si ritrova a parlare di un film dai sentimenti inevitabilmente a fior di pelle a causa (o per merito) del tema, che ha il pregio di non scadere mai nel truce, neppure quando il primo piano indugia sulle lacrime e le grida della piccola Sarah davanti all'armadio aperto e la mano sarebbe tentata di indirizzarvi dentro l'obiettivo, ma che non offre nulla di nuovo.
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La storia della piccola Sara, ebrea di Parigi appena adolescente, costretta a vivere suo malgrado il feroce rastrellamento del '42 francese non è poi così originale. Ne sono passate parecchie di pellicole di questo genere, magari semplicemente cambiando l'ambientazione, la lingua dei soldati, le pettinature e il modo di vestire, l'architettura delle case e delle botteghe, ma la trama centrale non può cambiare, purtroppo. E allora ci si ritrova a parlare di un film dai sentimenti inevitabilmente a fior di pelle a causa (o per merito) del tema, che ha il pregio di non scadere mai nel truce, neppure quando il primo piano indugia sulle lacrime e le grida della piccola Sarah davanti all'armadio aperto e la mano sarebbe tentata di indirizzarvi dentro l'obiettivo, ma che non offre nulla di nuovo.
Ecco, "La chiave di Sara" non aggiunge, toglie.
Toglie le lacrime e il senso di impotente tristezza che aveva richiamato "Il bambino con il pigiama a righe"; toglie i sorrisi,forzati o meno, che aveva sparso la storia del piccolo Giosuè e del dolcissimo papà Guido, guidata da uno stratosferico Benigni in "La vita è bella"; toglie il pragmatismo e il taglio documentaristico Spielberghiano di un uomo comune in grado di salvare un migliaio di persone.
Ne resta un film bene interpretato dalle due attrici principali, una storia degnamente costruita su un binario di flashback e ritorni al presente, una "nuova" realtà su un'intera nazione capace di schierarsi dalla parte sbagliata solo per accondiscendenza, un invito a riflettere su quello che la Shoah e i campi di concentramento sono stati non solo per una nazione e per un popolo, ma per gran parte di un continente "moderno", affascinato, sedotto e abbandonato da un'ideologia fine a sè stessa.
Si può inoltre parlare di una buona tecnica narrativa, chiara e capace, a livello temporale, di far distinguere gli avvenimenti anche allo spettatore meno smaliziato grazie a un sapiente utilizzo delle tonalità fotografiche, senza mai tentare l'impresa di impastare tutto solo per regalare un effetto scenico maggiore.
In contrapposizione a ciò che di buono è stato creato, ecco alcuni "buchi" nella pellicola, fatti non sviscerati a sufficienza, magari per superficialità nei confronti di argomenti forse non reputati all'altezza, e che invece, integrati nel contesto, avrebbero fatto figura migliore che non come semplice contorno, come sono stati realmente usati. Il rapporto appena accennato tra Julia e il marito è solo l'esempio più lampante di un'incapacità di staccarsi dalla linea retta della storia, e di creare un'interazione importante soprattutto per evitare un'appiattirsi, lento ma costante, del finale. Un rapporto che in realtà avrebbe migliaia di cose da dire e di sentimenti da mostrare, visto che il destino ha voluto far intrecciare la storia della coppia con quella di Sara, ma che rimarrà per sempre una foto mossa.
Il buonismo di alcuni soldati suona ancora adesso un po' fuori tema, visto che si parla di una deportazione di quasi 15000 persone tra donne, uomini e bambini. Si arriva addirittura all'impensabile, quando un soldato della guardia, aiuta la piccola Sara e la sua piccola amica a scappare solo grazie a una semplice richiesta tipo "mio fratello mi sta aspettando". E allora si torna al tentativo di espiazione forzata dei peccati, poco conosciuti, di una nazione.
Nella miriade dei film basati su questo argomento, quindi, una prova sufficiente, ma non brillante. Con un argomento di questa portata si può e si deve fare meglio, nonostante l'inflazione che colpisce il tema stesso. Ormai non basta più toccare solo i sentimenti...
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francesca meneghetti
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lunedì 30 luglio 2012
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il coraggio di ricordare
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Il punto forte del film “La chiave di Sara” è senz’altro la trama. Essa si snoda secondo un montaggio che alterna sistematicamente la vicenda attuale, che ha come protagonista una giornalista, Julia Armond, impegnata in un‘indagine storica, e l’episodio del 1942 di cui la stessa Julia si sta occupando.
Si tratta di un fatto vergognoso della storia francese: le Rafle du Vel d’Hiv, cioè il rastrellamento di oltre 13.000 ebrei avvenuto a Parigi, cioè nella parte della Francia occupata, nel luglio del 1942 (vale a dire sei mesi dopo la conferenza di Wannsee che adottò la “soluzione finale”). Solo che i responsabili dell’operazione (che si concluse con l’invio degli ebrei prima in un campo di transito, poi in uno di sterminio) non furono i nazisti, cioè i Malvagi per antonomasia della seconda guerra mondiale, bensì i francesi.
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Il punto forte del film “La chiave di Sara” è senz’altro la trama. Essa si snoda secondo un montaggio che alterna sistematicamente la vicenda attuale, che ha come protagonista una giornalista, Julia Armond, impegnata in un‘indagine storica, e l’episodio del 1942 di cui la stessa Julia si sta occupando.
Si tratta di un fatto vergognoso della storia francese: le Rafle du Vel d’Hiv, cioè il rastrellamento di oltre 13.000 ebrei avvenuto a Parigi, cioè nella parte della Francia occupata, nel luglio del 1942 (vale a dire sei mesi dopo la conferenza di Wannsee che adottò la “soluzione finale”). Solo che i responsabili dell’operazione (che si concluse con l’invio degli ebrei prima in un campo di transito, poi in uno di sterminio) non furono i nazisti, cioè i Malvagi per antonomasia della seconda guerra mondiale, bensì i francesi. Di qui la vergogna, per cui il presidente Chirac nel 1995 si scusò ufficialmente.
“La chiave di Sara” di Gilles Paquet-Brenner non è il primo film sul drammatico avvenimento (se ne occupò anche Losey negli anni ’70), non è nemmeno un progetto originale del regista, in quanto segue, anche nel titolo, un romanzo di Tatiana de Rosnay del 2007. Non avendo letto il libro, non sappiamo quanto il montaggio cinematografico si discosti dalla storia, e quanto pesi esattamente l’impronta stilistica di Paquet-Brenner.
Tuttavia, grazie alla trama, ma anche all’intensa interpretazione delle due protagoniste femminili - Kristin Scott Thomas nei panni di Julia, e la piccola Mélusine Mayance in quelli di Sarah – il film funziona ed emoziona.
Due sono gli aspetti più interessanti: anzitutto, nella ricostruzione storica, l’aver posto l’accento sui bambini, la parte più fragile di quell’esercito di civili innocenti che finisce per incrementare in modo determinante la mortalità bellica (la seconda guerra mondiale inaugura questa nuova pratica, destinata a un incremento nel corso delle guerre successive del XX ^ secolo).
In secondo luogo lo scontro tra la determinazione di Julia nella ricerca della verità e la tendenza, che scopre molto diffusa attorno a sé, all’amnesia, alla rimozione, al rifiuto del ricordo.
Si consenta una nota personale: quest’ultimo aspetto mi colpisce per aver svolto ricerche storiche, scontrandomi con analoghe dimenticanze, su uno dei campi di concentramento fascisti, progettati e realizzati dagli italiani, non dai tedeschi!, per contenere civili slavi, sloveni e croati in gran parte. Non erano tutti partigiani: anzi, la parte maggiore di loro era formata da bambini, donne, anziani innocui, vittime di rastrellamenti brutali. Il campo di cui mi sono occupata, quello di Treviso, viene inaugurato proprio nel luglio del 1942, cioè lo stesso mese in cui si colloca le Rafle du Vel d’Hiv, con un sincronismo molto significativo. Sono passati esattamente settant’anni da allora: ma non risulta che il governo italiano abbia chiesto ufficialmente scusa ai vicini del confine orientale.
Il film ricorda che anche gli intellettuali possono contribuire a mantenere vive certe memorie: parte, scomoda ma necessaria di rielaborazione – dell’identità nazionale.
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rikitikitawi
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mercoledì 4 aprile 2012
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ma le chiavi sono due
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E’ solo una storia tratta da un libro più o meno di successo e ce ne sono tanti.Ma è una storia che si ripete: una vicenda sicuramente vera come le infinite crudeltà dimenticate od oscure che hanno accompagnato il cammino dell’uomo e sulle quali nessuno mai ha scritto ne un libro ne un copione e che si sono perse o sono state ben chiuse nelle tenebre di chissà quanti armadi. La tematica principale è la violenza dell’uomo sull’uomo: il fatto storico e la ricerca di Sara sì, ma propone anche una eterna attualità, che vede qui la lotta della protagonista per fare uscire alla luce della vita quel bambino che porta in grembo, per strappare dal buio della ragione e di un “armadio” un innocente un tempo cercato ed ora pronto ad essere sacrificato sugli altari della carriera e del benessere.
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E’ solo una storia tratta da un libro più o meno di successo e ce ne sono tanti.Ma è una storia che si ripete: una vicenda sicuramente vera come le infinite crudeltà dimenticate od oscure che hanno accompagnato il cammino dell’uomo e sulle quali nessuno mai ha scritto ne un libro ne un copione e che si sono perse o sono state ben chiuse nelle tenebre di chissà quanti armadi. La tematica principale è la violenza dell’uomo sull’uomo: il fatto storico e la ricerca di Sara sì, ma propone anche una eterna attualità, che vede qui la lotta della protagonista per fare uscire alla luce della vita quel bambino che porta in grembo, per strappare dal buio della ragione e di un “armadio” un innocente un tempo cercato ed ora pronto ad essere sacrificato sugli altari della carriera e del benessere.
Julia , la protagonista sceglie di usare la sua chiave, a scapito del dissolversi dei suoi affetti familiari e della sua unione
Film struggente , ben confezionato che rende bene l’idea di cosa sia capace l’essere umano in qualsiasi epoca . Un film che ci parla di armadi nei quali chiudere a doppia mandata la nostra debole coscienza e lasciarla riposare e morire per essere liberi di cavalcare il nostro edonismo e tornaconto.
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kimkiduk
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martedì 25 giugno 2013
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serve anche così
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E' vero tutto e il contrario di tutto. Partiamo però dal fatto che non è un film sulla shoah e quindi non mi piace il commento della brava Marzia Gandolfi. Confermo quasi in tutto quello che ha detto Imliver nel suo commento. Per sapere cosa è successo basta informarci e lo sappiamo tutti a meno che la testa sia sotto la sabbia. Purtroppo come dice Godard in Historie(s) du cinema il cinema è morto nel momento in cui il suo impegno di informazione dei fatti ha fallito proprio nel resoconto filmico sulla Shoah. Lui afferma che l'unico film che parla di resistenza vera è Roma città aperta aggiungendo perchè gli italiani si sono sempre venduti e perchè la nostra lingua racchiude implicitamente poesia.
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E' vero tutto e il contrario di tutto. Partiamo però dal fatto che non è un film sulla shoah e quindi non mi piace il commento della brava Marzia Gandolfi. Confermo quasi in tutto quello che ha detto Imliver nel suo commento. Per sapere cosa è successo basta informarci e lo sappiamo tutti a meno che la testa sia sotto la sabbia. Purtroppo come dice Godard in Historie(s) du cinema il cinema è morto nel momento in cui il suo impegno di informazione dei fatti ha fallito proprio nel resoconto filmico sulla Shoah. Lui afferma che l'unico film che parla di resistenza vera è Roma città aperta aggiungendo perchè gli italiani si sono sempre venduti e perchè la nostra lingua racchiude implicitamente poesia. Ammiro Godard come il Maestro, ma lui stesso ammette, facendo ancora cinema, di credere poco che questa arte sia finita. Forse storie come Il Pianista, Schindler List, Train De vie o anche altri come John Rabe, non hanno parlato della resistenza come in Roma città aperta ed è vero, ma hanno parlato di fatti accaduti o inventati. Questi film hanno salvato l'idea dell'uomo che ha commesso si cose mostruose ma anche altrettante cose piene di luci forti e valorose. Il cinema dovrebbe essere per Godard la rappresentazione dei fatti accaduti. E' acccaduto anche questo, che una bambina fosse salvata dai francesi cattivi pur non riuscendo a dimenticare, che un tedesco in Cina salvasse migliaia di cinesi pur essendo tedesco nazista, che il pianista si salvasse per mano di un tedesco. Sono sicuro che sono successe anche queste storie e forse fanno bene al cuore. Discorso romantico che a me non appartiene, ma questo film mi ha commosso. E allora forse Godard ti sbagli, il cinema resta ancora cinema perchè forse fondamentale è che dia emozione.
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rita branca
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venerdì 5 luglio 2013
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una chiave che apre il cuore alla commozione
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La chiave di Sarah, grande film di Gilles Paquet-Brenner (2012), con Kristin Scott Thomas, Mélusine Mayance, Niels Arestrup, Frédéric Pierrot, tratto dall’omonimo romanzo di Tatiana de Rosnay.
Un altro, ma non uno qualunque, dei film sull’olocausto che ne narra l’orrore e la disumanità con angolazioni nuove, riuscendo a commuovere profondamente lo spettatore.
Nulla è ridondante, ma con misurata maestria si viene intimamente coinvolti nella storia della piccola Sara, la cui famiglia ebrea, abitante a Parigi, subisce una rettata della polizia impegnata nel rastrellamento degli ebrei da deportare nei famigerati campi di concentramento.
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La chiave di Sarah, grande film di Gilles Paquet-Brenner (2012), con Kristin Scott Thomas, Mélusine Mayance, Niels Arestrup, Frédéric Pierrot, tratto dall’omonimo romanzo di Tatiana de Rosnay.
Un altro, ma non uno qualunque, dei film sull’olocausto che ne narra l’orrore e la disumanità con angolazioni nuove, riuscendo a commuovere profondamente lo spettatore.
Nulla è ridondante, ma con misurata maestria si viene intimamente coinvolti nella storia della piccola Sara, la cui famiglia ebrea, abitante a Parigi, subisce una rettata della polizia impegnata nel rastrellamento degli ebrei da deportare nei famigerati campi di concentramento. Quando suonano alla porta, Sara, consapevole di ciò che sta accadendo, convince Michel, il suo fratellino a nascondersi in un armadio ed a starsene buono finché il pericolo è passato e per accertarsi che nessuno possa raggiungerlo lo chiude a chiave e la tiene nascosta. La tragedia vuole che, insieme al papà ed alla mamma, Sarah sia trascinata via e debba attraversare tutte le fasi della deportazione che ben conosciamo. Quando riesce, dopo molte peripezie a tornare a Parigi, nella sua casa, ormai occupata da altri, scopre la macabra e fetida nuova veste del fratellino, in stato di avanzatissima decomposizione. Tale tragedia è scoperta da una giornalista che ha sposato il nipote del primo inquilino che ha preso posto nella casa di Sara dopo l’evacuazione della sua famiglia, e che dovrebbe andarci a vivere.
Rita Branca
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enzo70
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lunedì 10 marzo 2014
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in memoria delle troppe sare vittime dell'uomo
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Sull’olocausto si è scritto di tutto e, per fortuna, non il contrario di tutto. La storia ha certificato, con documenti e testimonianze, la follia nazista. Milioni di pagine, ore e ore di musica e pellicole sono state dedicate a raccontare il massacro degli ebrei, da una parte loro, perfetta la rappresentazione di Spiegelman che li ha dipinti come topi, dall’altra, i maiali, i tedeschi. Ma la grande storia è scritta di piccole storie, nella Francia occupata, ad esempio, c’era il Governo di Vichy, con a capo un francese, Petain, che governava milioni di francesi in un regime di collaborazione con i nazisti. Poco se ne parla, i francesi sono fatti così, ammettere poco, ammettere il meno possibile, se leggete i libri di storia la guerra contro i tedeschi l’hanno vinta.
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Sull’olocausto si è scritto di tutto e, per fortuna, non il contrario di tutto. La storia ha certificato, con documenti e testimonianze, la follia nazista. Milioni di pagine, ore e ore di musica e pellicole sono state dedicate a raccontare il massacro degli ebrei, da una parte loro, perfetta la rappresentazione di Spiegelman che li ha dipinti come topi, dall’altra, i maiali, i tedeschi. Ma la grande storia è scritta di piccole storie, nella Francia occupata, ad esempio, c’era il Governo di Vichy, con a capo un francese, Petain, che governava milioni di francesi in un regime di collaborazione con i nazisti. Poco se ne parla, i francesi sono fatti così, ammettere poco, ammettere il meno possibile, se leggete i libri di storia la guerra contro i tedeschi l’hanno vinta. E in una delle storie della grande storia ce ne sta un’altra, quella del Velodrome d’Hiver, il primo passo verso i campi di massacri polacchi. Ed anche in questo caso tanti francesi aiutavano i tedeschi. E, come in un gioco di bambole russe, poi c’è la storia di Sara, quella raccontata da Gilles Paquet-Brenner, attraverso gli occhi di una giornalista sulle tracce di una storia che commuove lo spettatore. Una storia nella storia ed un film tra i film. Ma tanto dolore per le tante Sare immolate sull’altare della follia dell’uomo.
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