mauro lanari
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giovedì 26 aprile 2012
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l'amore in regime di mortalità: van sant vs wiesen
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L'AMORE IN REGIME DI MORTALITÀ: VAN SANT VS WIESEN
Lo straordinario stile artistico di Van Sant non gli garantisce di sfornare solo capolavori: il suo referente Bresson c'è riuscito poiché, film dopo film, ha insistito con irrefrenabile approfondimento nello sviscerare gl'argomenti più ardui, l'insostenibile problematicità dei massimi sistemi. Invece Van Sant, dopo "Elephant", non ha mostrato affatto un'analoga costanza e pervicacia. "Restless" sembrerebbe fare eccezione, il suo preziosissimo merito di trattare con delicato pudore temi tanto atroci, crudi e crudeli induce a pensare, stimola un flusso davvero copioso di riflessioni.
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L'AMORE IN REGIME DI MORTALITÀ: VAN SANT VS WIESEN
Lo straordinario stile artistico di Van Sant non gli garantisce di sfornare solo capolavori: il suo referente Bresson c'è riuscito poiché, film dopo film, ha insistito con irrefrenabile approfondimento nello sviscerare gl'argomenti più ardui, l'insostenibile problematicità dei massimi sistemi. Invece Van Sant, dopo "Elephant", non ha mostrato affatto un'analoga costanza e pervicacia. "Restless" sembrerebbe fare eccezione, il suo preziosissimo merito di trattare con delicato pudore temi tanto atroci, crudi e crudeli induce a pensare, stimola un flusso davvero copioso di riflessioni. Qui il "cancer movie" assurge a metafora dell'intera esistenza: "L'amore che resta", sì, ma in persistente regime di mortalità, fra l'amore ch'esige e pretende eternità e, forse in un circolo virtuoso, l'amore che, se assoluto e perfetto, potrebbe ottenere e raggiungere l'eternità. Però non c'è stile che tenga quando l'opera è a tesi, la tesi viene espressa nei pochi secondi dell'ultima scena in cui si decanta lo scioglimento della trama, e la tesi è un obbrobrio intellettuale: "Cogliete l'attimo". Grazie, Maestro, la sua lezioncina di vita, l'appello a tirare a campare a oltranza cercando di cogliere il lato positivo d'ogni situazione, ci sembra d'averla già sentita infinite altre volte e coi toni più assordanti immaginabili: un lavaggio del cervello plurimillenario. Poche immagini conclusive e la montagna partorisce un topolino miserrimo cadendo nel più diffuso degl'errori qual è l'ipotecare il futuro in negativo o in positivo, se non nel nichilismo ottuso allora nell'ottimismo altrettanto ottuso. "Tertium non datur"? Secondo simili autori no, no di sicuro, no mai. Loro sono detentori di Verità & Certezze, appartengono ai Privilegiati cui sono state elargite Scienza Infusa, Palla Di Vetro e Macchina Del Tempo. Perlomeno non è detto, alla faccia loro, che cotanta presunta e presuntuosa autoconsapevolezza costituisca una fortuna.
La riprova è fornita da "L'arte di cavarsela", film dell'esordiente Gavin Wiesen che affronta l'identica tematica con variazioni sostanziose, sostanziali, decisive. "I guardiani del destino", George Nolfi 2011: medesima scommessa su un'utopica, rivoluzionaria superaddittività positiva nel rapporto di coppia, ma eliminando sci-fi, action-movie da videogame, ostentazione di filosofemi metafisici e garanzie d'happy ending; "Sacco a pelo a tre piazze", Rob Reiner 1985: stesso lirismo amoroso però spurgato da romanticaglie narrative estranee alla realtà brutale e impietosa; "Risky Business", Paul Brickman 1983: analoga capacità di proporre un'intera antropocosmologia camuffandola per trito racconto di formazione adolescenziale e sapendola riassumere in un brano poprock quasi ignoto quanto capo d'opera ("Love on a Real Train" dei Tangerine Dream vs "Here" dei Pavement), solo che stavolta il problema affrontato è il più bruciante e drammatico all'ordine del giorno: allora, esiste o no un valido antidoto al manicheistico dualismo offerto dalla modernità? Sì, qualora ci s'imbatta nell'indecidibilità del postmoderno. "Tutto è possibile": sicuri-sicuri? Macché, anzi è il disincanto d'una crisi generalizzata e non più negata a svolgere la funzione di molla maieutica, sebbene è con il "forse" finale dei due memorabili giovani protagonisti che possono rialbeggiare scenari altrimenti preclusi per principio. "The Art of Getting By" costituisce il magistrale primo lungometraggio di Wiesen, uscito in anteprima al Sundance Film Festival il 23 gennaio 2011 e miracolosamente provvisto d'ogni pregio e nessun difetto dell'arte indie: proprio come quel primo album dei Pavement, 20 (v-e-n-t-i) anni fa.
Orietta Anibaldi e Mauro Lanari
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francy92go
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giovedì 10 maggio 2012
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gran bel film!
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La trama non è per niente scontata. Racconta delle difficoltà nella vita del protagonista, George, che, dopo aver conosciuto una ragazza, Sally, pian piano si trasforma in una persona diversa. Ma le cose tra loro non vanno come lo spettatore potrebbe immaginare. La situazione è più complicata e sottile. Più reale, meno vicina alla solita finzione "da film".
Il ragazzo ha problemi di concentrazione e non fa mai i compiti che gli vengono assegnati a scuola; durante le ore di lezione disegna sui libri.
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La trama non è per niente scontata. Racconta delle difficoltà nella vita del protagonista, George, che, dopo aver conosciuto una ragazza, Sally, pian piano si trasforma in una persona diversa. Ma le cose tra loro non vanno come lo spettatore potrebbe immaginare. La situazione è più complicata e sottile. Più reale, meno vicina alla solita finzione "da film".
Il ragazzo ha problemi di concentrazione e non fa mai i compiti che gli vengono assegnati a scuola; durante le ore di lezione disegna sui libri. E' un artista, che però non riesce ad esprimersi, non trovando niente da dire.
George e Sally diventano molto amici, senza però che nessuno dei due confessi all'altro quello che prova.
Visto che George non si fa avanti e, anzi, si tira completamente indietro, non rispondendo alle chiamate di Sally e ignorandola anche a scuola, lei si mette con un ragazzo più grande, che fa il pittore, conosciuto grazie a George.
La famiglia del protagonista si sfalda, la madre chiede il divorzio dal patrigno e sono costretti a vendere la casa a causa dei debiti.
George rischia la bocciatura, ma alla fine il preside gli da un'ultima possibilità: fare i compiti di tutto l'anno in 3 settimane, le ultime prima della consegna dei diplomi.
Il dolore della madre per la situazione che stanno vivendo e la sofferenza per la perdita di Sally gli danno la giusta motivazione per darsi da fare e ottenere così il diploma.
Lei sta per partire per l'Europa con il suo ragazzo, ma prima di salire sull'aereo torna indietro, da George.
Nessun bacio finale, solo loro due che si tengono per mano e sorridono, davanti al quadro che George ha dipinto come compito per casa di arte. Un bellissimo ritratto di lei.
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mario nitti
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sabato 31 maggio 2014
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una storia che parte molto bene, ma non decolla
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Questo racconto del percorso di formazione di un’adolescente parte bene, con un protagonista interessante, un po’ disadattato, un po’ artista, un po’ intellettuale: buona anche l’idea di farlo interagire con una ragazza che all’apparenza è la classica “pupa”, finta bionda e non intellettuale. Dopo l’avvio intrigante però la storia non decolla e resta su un livello discreto. Gli ingredienti giusti ci sono tutti: la prima sbronza, il desiderio del sesso, una crisi, delle menzogne, i conflitti in famiglia, dei buoni attori, ecc., ma il regista non riesce a metterli insieme in modo pienamente convincente, se la cava con alcune soluzioni un po' troppo facili quando deve sciogliere i nodi più difficili, e così alla fine il voto si ferma tra il 6 ½ e il 7, mentre nei primi 15’ si era sperato almeno nell’8 pieno.
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Questo racconto del percorso di formazione di un’adolescente parte bene, con un protagonista interessante, un po’ disadattato, un po’ artista, un po’ intellettuale: buona anche l’idea di farlo interagire con una ragazza che all’apparenza è la classica “pupa”, finta bionda e non intellettuale. Dopo l’avvio intrigante però la storia non decolla e resta su un livello discreto. Gli ingredienti giusti ci sono tutti: la prima sbronza, il desiderio del sesso, una crisi, delle menzogne, i conflitti in famiglia, dei buoni attori, ecc., ma il regista non riesce a metterli insieme in modo pienamente convincente, se la cava con alcune soluzioni un po' troppo facili quando deve sciogliere i nodi più difficili, e così alla fine il voto si ferma tra il 6 ½ e il 7, mentre nei primi 15’ si era sperato almeno nell’8 pieno.
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giacomo j.k.
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giovedì 11 agosto 2011
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the toughest lesson is love
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All’ultimo anno di liceo, George (Freddie Highmore) sembra tentare ogni strada per evitare di diplomarsi: non svolge i compiti assegnati per casa, non presta attenzione alle lezioni, spesso e volentieri non si presenta neppure in classe, preferendo isolarsi disegnando figure astratte. Questo suo disadattamento è figlio di uno spleen irrisolvibile che lo perseguita incessantemente, portandolo ad un profondo nichilismo e distacco dagli affanni della vita, avendo risolto che essa non è che un’illusoria transizione verso la morte.
Tuttavia, anche la sua vita fatta di misantropia e isolamento volontario è destinata a cambiare. Tutto prenderà il via da un semplice gesto, quando George sceglierà di coprire una sua compagna di classe, Sally (Emma Roberts), dall’accusa di aver fumato all’interno della scuola.
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All’ultimo anno di liceo, George (Freddie Highmore) sembra tentare ogni strada per evitare di diplomarsi: non svolge i compiti assegnati per casa, non presta attenzione alle lezioni, spesso e volentieri non si presenta neppure in classe, preferendo isolarsi disegnando figure astratte. Questo suo disadattamento è figlio di uno spleen irrisolvibile che lo perseguita incessantemente, portandolo ad un profondo nichilismo e distacco dagli affanni della vita, avendo risolto che essa non è che un’illusoria transizione verso la morte.
Tuttavia, anche la sua vita fatta di misantropia e isolamento volontario è destinata a cambiare. Tutto prenderà il via da un semplice gesto, quando George sceglierà di coprire una sua compagna di classe, Sally (Emma Roberts), dall’accusa di aver fumato all’interno della scuola. Grazie a questa ingenua prova di cavalleria, George ha modo di frequentare Sally, mentre la sua algidità comincia a sciogliersi mano a mano che i sentimenti fra i due si fanno più forti. Questa nuova esperienza si unirà ad una situazione familiare complicata, che porterà George ad essere sempre più consapevole delle proprie scelte e responsabilità. Anche se, come avverte la tagline, anche con l’anno da recuperare in tre settimane, la lezione più dura da imparare sarà l’amore.
Come propria opera prima, Gavin Wiesen porta in scena un film indipendente di formazione/esistenziale, muovendosi abilmente all’interno dei canoni del genere, con una pellicola dove risalta in particolare la psicologia dei personaggi (adulti fin troppo indulgenti e adolescenti viziati e sensibili) perfettamente curata e resa sullo schermo dalle ottime prestazioni dei due giovani protagonisti. I volti degli attori ben si fondono con lo scenario antropico newyorkese grazie alle inquadrature di Ben Kutchins montate da Mollie Goldstein in un buon ritmo, solo, a tratti, non ben proporzionato. Alec Puro integra con alcuni temi originali una colonna sonora “rockeggiante” la cui onnipresenza è forse un tributo di troppo pagato al genere. Nel complesso un’equilibrata e godibilissima produzione indipendente, che ha trovato il suo habitat naturale al Sundance Film Festival lo scorso inverno ma che purtroppo non ha ottenuto particolare visibilità nel nostro Paese, dove è stata distribuita in appena 10 sale.
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(di chaoki21)
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