lisbeth
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sabato 10 ottobre 2009
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un viaggio al centro dell’universo
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Intorno alla musica e interno alla musica,il film non celebra anniversari né racconta “come eravamo” a quei figli dei fiori,oggi anziani signori, incapaci di credere che le favole non abbiano sempre un lieto fine.
Ang Lee presenta invece un pezzo di storia d’America,che poi è pure storia nostra,con le contraddizioni che abbiamo imparato a conoscere nei quaranta anni successivi,anche grazie al cinema:l’America che sbarcava sulla luna e mandava a morire nelle paludi del Vietnam,gridava “freedom” nei cortei e disegnava svastiche sui muri degli ebrei,e soprattutto l’America che viveva la sua ultima età dell’innocenza nei tre giorni di quel lontano agosto, a Woodstock.
Lo sguardo sulla vicenda è immune da agiografia,quello che conta è marcare i contorni di un’epoca capace di produrre un fenomeno come quello,calarsi in quel presente e restituirne i connotati, restando però dentro quel presente fino al collo,come sempre accade mentre si sta vivendo e non ci si rende conto che quello è un momento speciale, e non sai quanto.
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Intorno alla musica e interno alla musica,il film non celebra anniversari né racconta “come eravamo” a quei figli dei fiori,oggi anziani signori, incapaci di credere che le favole non abbiano sempre un lieto fine.
Ang Lee presenta invece un pezzo di storia d’America,che poi è pure storia nostra,con le contraddizioni che abbiamo imparato a conoscere nei quaranta anni successivi,anche grazie al cinema:l’America che sbarcava sulla luna e mandava a morire nelle paludi del Vietnam,gridava “freedom” nei cortei e disegnava svastiche sui muri degli ebrei,e soprattutto l’America che viveva la sua ultima età dell’innocenza nei tre giorni di quel lontano agosto, a Woodstock.
Lo sguardo sulla vicenda è immune da agiografia,quello che conta è marcare i contorni di un’epoca capace di produrre un fenomeno come quello,calarsi in quel presente e restituirne i connotati, restando però dentro quel presente fino al collo,come sempre accade mentre si sta vivendo e non ci si rende conto che quello è un momento speciale, e non sai quanto.
Dunque la musica qui non c’è, si limita a pezzi disseminati come sfondo sonoro, il palco delle meraviglie appare una sola volta,in una visione lontana in mezzo alla valle, immerso nei colori e nei fumi del viaggio psichedelico del buon Eliot, inaspettato deus ex machina che permette la realizzazione dell’evento e con ciò anche la propria liberazione (dolcissimo il suo sguardo incredulo dopo aver baciato,fra applausi e grida di approvazione, il bel carpentiere, e impagabile, nella sua comica verità,lo sfogo contro i genitori castranti che lo vogliono a pranzo e cena con loro: “ma credete che Janis Joplin stia mangiando con i genitori, adesso, o Jimmy Endrix sia lui a lavare i capelli alla madre?”).
Il film su Woodstock c’era, Wadleigh aveva già detto il necessario e il possibile, Lee ci guarda dentro, a due generazioni di distanza, con l’occhio del cineasta del nuovo millennio e dei nuovi linguaggi del cinema,ricostruendo l’evento come work in progress,sezionandolo nelle sue componenti,studiandone i meccanismi.
Alla fine ci restituisce uno sguardo filologicamente corretto su un’epoca,i suoi umori,il suo vivere nel quotidiano ma anche il suo sognare, perché ogni quotidiano ha i suoi sogni,solo che a volte diventano collettivi,non si sa com’è,e cinquecentomila hippies “capelloni” arrivarono,fumati e gioiosi,in quella fattoria,i genitori di Elliot sanarono i loro debiti (insuperabile jiddish mame Imelda Staunton,battute al fulmicotone da perfetto marito represso Henry Goodman) il mondo scoprì che c’erano anche altre possibilità, bastava volerlo.
Lo show business non venne meno alle sue regole neanche allora,dietro Michael Lang,l’ideatore coi boccoli alla Jim Morrrison (un sereno,angelico Jonathan Groff), si mossero capitali e si spostarono elicotteri e limousine,fiorirono piccoli bancarellari con merci variopinte,nacquero vere mode e linee di prodotti e gli indignati e scandalizzati concittadini di Eliot fecero anche i loro affari, nonostante il caos generale.
Il mondo cominciò davvero a cambiare,anche se non sempre in meglio, ma cambiò, e Ang Lee ce lo racconta, affollando lo schermo con frequenti split screen e con una gestione dei tempi narrativi giocata su parallelismi e alternanze.
Frammenti sparsi di giornate frenetiche,storie individuali e collettive,il regista sembra dire al pubblico “Guardiamo insieme cos’è successo di così speciale” e alla fine lo capiamo bene cosa:tre giorni di pace, amore e musica a White Lake
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fabian t.
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martedì 15 dicembre 2009
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il retroscena dolceamaro di un evento epocale
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Bisogna dirlo subito, film come "Motel Woodstock" sono sempre più rari a vedersi e il merito di Ang Lee è stato anzitutto quello di non cedere alla spettacolarizzazione o ai luoghi comuni che pullulano nel Cinema di oggi. La sua è un'opera quasi in sordina, sottile, affascinante, curatissima nei particolari, armoniosa e vagamente psichedelica. Sembrerebbe una commedia a sfondo musicale quando invece non lo è perché il tutto ruota non attorno ai miti del rock di Woodstock, o a ciò che la civiltà americana in quel periodo offriva, bensì alla crescita interiore e alla visione del mondo da parte del protagonista, il giovane Elliot Theichberg. La sua famiglia e il trasandato Motel di White Lake sono il mondo bizzarro e multiforme attorno a cui si svolgerà l'evento musicale per eccellenza e tutta la sceneggiatura cresce e si sviluppa lentamente solo in funzione di ciò che lo stesso Elliot vede.
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Bisogna dirlo subito, film come "Motel Woodstock" sono sempre più rari a vedersi e il merito di Ang Lee è stato anzitutto quello di non cedere alla spettacolarizzazione o ai luoghi comuni che pullulano nel Cinema di oggi. La sua è un'opera quasi in sordina, sottile, affascinante, curatissima nei particolari, armoniosa e vagamente psichedelica. Sembrerebbe una commedia a sfondo musicale quando invece non lo è perché il tutto ruota non attorno ai miti del rock di Woodstock, o a ciò che la civiltà americana in quel periodo offriva, bensì alla crescita interiore e alla visione del mondo da parte del protagonista, il giovane Elliot Theichberg. La sua famiglia e il trasandato Motel di White Lake sono il mondo bizzarro e multiforme attorno a cui si svolgerà l'evento musicale per eccellenza e tutta la sceneggiatura cresce e si sviluppa lentamente solo in funzione di ciò che lo stesso Elliot vede. Così, lo stesso leggendario concerto giunge ai suoi occhi da lontano come fosse un magico sogno iridescente e meraviglioso, probabilmente il sogno di tre giorni unici e irripetibili in cui pace, musica e armonia hanno regalato una momentanea sospensione dalla realtà cinica e materiale di ogni giorno. Per questo motivo Elliot rappresenterà, con il suo microcosmo, l'esempio universale dell'intimo desiderio di illuminazione, libertà e innocenza insito in ogni uomo ancora capace di sperare.
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venerdì 12 febbraio 2010
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il tocco lieve del miglior ang lee.
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Avevo una sensazione legata ad un film visto qualche giorno fa, ma ci ho messo un po’ a ricordare quale fosse. È più o meno questa la cifra stilistica di Motel Woodstock: volatilità, scarsa consistenza. Che non sono caratteristiche negative, quanto vicine alle qualità che nel 1994 avevano fatto di Mangiare Bere Uomo Donna un film gradevole e particolare. Anche questo, pur avendolo visto più volte, continuo a ricordarlo per la preparazione e la cottura di alcune splendide anatre, più che per la soluzione di avventure sentimentali che Ang Lee, fortunatamente, non ritiene più importanti della riuscita di una zuppa o della resa estetica di una tavola apparecchiata.
Mi aspettavo molta più musica on stage, in Motel Woodstock (praticamente non ce n’è affatto), credevo fosse in parte un film-concerto, mentre la storia si concentra su una famiglia e su un’atmosfera, che non è necessariamente quella sessantottina, quanto quella di una generale spinta alla realizzazione della propria identità; anche se il tema avrebbe potuto suggerire immersione nelle folle e nella ricostruzione storica, il registro rimane, appunto, sempre lieve e distaccato, l'attenzione sui personaggi che compiono le loro scelte e le loro scoperte in modo sempre piuttosto naturale, senza grossi conflitti, e questo lascia che il film scivoli via.
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Avevo una sensazione legata ad un film visto qualche giorno fa, ma ci ho messo un po’ a ricordare quale fosse. È più o meno questa la cifra stilistica di Motel Woodstock: volatilità, scarsa consistenza. Che non sono caratteristiche negative, quanto vicine alle qualità che nel 1994 avevano fatto di Mangiare Bere Uomo Donna un film gradevole e particolare. Anche questo, pur avendolo visto più volte, continuo a ricordarlo per la preparazione e la cottura di alcune splendide anatre, più che per la soluzione di avventure sentimentali che Ang Lee, fortunatamente, non ritiene più importanti della riuscita di una zuppa o della resa estetica di una tavola apparecchiata.
Mi aspettavo molta più musica on stage, in Motel Woodstock (praticamente non ce n’è affatto), credevo fosse in parte un film-concerto, mentre la storia si concentra su una famiglia e su un’atmosfera, che non è necessariamente quella sessantottina, quanto quella di una generale spinta alla realizzazione della propria identità; anche se il tema avrebbe potuto suggerire immersione nelle folle e nella ricostruzione storica, il registro rimane, appunto, sempre lieve e distaccato, l'attenzione sui personaggi che compiono le loro scelte e le loro scoperte in modo sempre piuttosto naturale, senza grossi conflitti, e questo lascia che il film scivoli via. Il protagonista Demetri Martin, “comedian, actor, artist, musician, writer, and humorist”, ha uno sguardo sempre al limite dell’assenza, che lo pone in perfetta sintonia col film, ma impedisce anche allo stesso di avere un punto focale. Motel Woodstock è un film in fuga che, come i suoi personaggi, si lascia appena osservare, poi, pudico, preferisce andar via. Avete presente un Muccino? Il contrario.
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volevosolodiventare
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mercoledì 22 settembre 2010
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magari c'andassimo...
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Motel Woodstock mi è piaciuto. Molto.
Non urlerei certamente al capolavoro, né al film che se non lo vedi vivi peggio e in punto di morte c’hai da rimpiangerlo e augurarti che esista un UCI Cinema nell’aldilà - però è veramente, ma veramente carino. Anzi, CA-RIII-NO, con smorfia annessa.
Un film simpatico, leggero, naturalmente ruffiano, con una colonna sonora che suona, decisa, le corde di una cultura generale che, un po’ come il peccato originale, abbiamo senza sapere di avere. Un film che risveglia e alimenta la nostalgia per un pezzo di storia che non abbiamo vissuto e non vivremo, ma lo fa con una tale serenità d’animo da non destare alcun sospetto e da rifuggire la ridondanza dei mille stereotipi legati al più famigerato concerto della storia recente.
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Motel Woodstock mi è piaciuto. Molto.
Non urlerei certamente al capolavoro, né al film che se non lo vedi vivi peggio e in punto di morte c’hai da rimpiangerlo e augurarti che esista un UCI Cinema nell’aldilà - però è veramente, ma veramente carino. Anzi, CA-RIII-NO, con smorfia annessa.
Un film simpatico, leggero, naturalmente ruffiano, con una colonna sonora che suona, decisa, le corde di una cultura generale che, un po’ come il peccato originale, abbiamo senza sapere di avere. Un film che risveglia e alimenta la nostalgia per un pezzo di storia che non abbiamo vissuto e non vivremo, ma lo fa con una tale serenità d’animo da non destare alcun sospetto e da rifuggire la ridondanza dei mille stereotipi legati al più famigerato concerto della storia recente.
Un film semplicemente bello, che scende giù come un bicchiere di succo di frutta all’ace. Quasi puro, fresco, ingenuo oserei dire.
Il ritratto non artificiale e non sovraccarico di una generazione divisa tra gli orrori del Vietnam (si pensi a Billy) e la ricerca aperta di una nuova luce per il futuro. Grande l’abilità del regista (Ang Lee) nel farci sentire esattamente in quel posto, nel farci sognare l’atmosfera, la carica, l’attesa del concerto. Si respira a pieni polmoni uno stile di vita unico, mai sperimentato e mai più sperimentabile, mitizzato, demonizzato, ma assolutamente irripetibile, e lo si respira senza nemmeno arrivare al concerto, senza una sola immagine delle performance. Immagini che, nella loro assenza, ci inducono quasi inavvertitamente a fare appello a quel repertorio condiviso – che all’università di Scienze della Comunicazione chiamano “Enciclopedia” – di scene, di volti, di suoni che già abbiamo, creando uno stato di empatia che cancella il limite tra narratore e destinatario, e unisce attori e spettatori in una deliziosa amalgama umana.
Un film puramente narrativo, semplice ma non superficiale. Efficace nel far comprendere, con la spontaneità della gioventù e della provincia, l’ineluttabile forza storica di quel periodo. L’impossibilità, il sacrilegio quasi, del sottrarsi alla rivoluzione culturale che avveniva. E non aveva alcuna importanza che fosse giusta o sbagliata. Le conseguenze e il dopo non c’entravano.
Era semplicemente un’onda fortissima, che andava cavalcata senza esitazioni.
Per sentire che la vita meritava d’essere vissuta.
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raffaele montolivo
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martedì 8 ottobre 2013
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chiedetelo a dylan.
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MOTEL WOODSTOCK.
Ennesimo tentativo fallito per Lee che cerca, a quanto pare, di rendere del carisma a un altro suo film di commercio.
Questo film non trova manforte nemmeno nei colori, nelle inquadrature e nelle scelte registiche: la trama scarsetta e priva di "originalità" e di "personalità" metterebbe tutti noi di fronte alla speranza di trovare in questo film
una buona rappresentazione sentimentale, umoristica e passionale del concerto, ma, ahimè, del clima woodstockiano non si sente niente.
Così in questo filmetto da "mercoledì sera alla TV" non c'è intensità, gli attori sono piatti, il sottofondo di commedietta rattristisce la vicenda, e i disperati tentativi di rendere un sentimento rivoluzionario vengono spenti dalle banalità delle frasi, dei costumi e dei movimenti interni al film.
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MOTEL WOODSTOCK.
Ennesimo tentativo fallito per Lee che cerca, a quanto pare, di rendere del carisma a un altro suo film di commercio.
Questo film non trova manforte nemmeno nei colori, nelle inquadrature e nelle scelte registiche: la trama scarsetta e priva di "originalità" e di "personalità" metterebbe tutti noi di fronte alla speranza di trovare in questo film
una buona rappresentazione sentimentale, umoristica e passionale del concerto, ma, ahimè, del clima woodstockiano non si sente niente.
Così in questo filmetto da "mercoledì sera alla TV" non c'è intensità, gli attori sono piatti, il sottofondo di commedietta rattristisce la vicenda, e i disperati tentativi di rendere un sentimento rivoluzionario vengono spenti dalle banalità delle frasi, dei costumi e dei movimenti interni al film.
Funziona come un impianto bagnato, come un tema scritto da un bambino di sei anni e corretto da uno di tre.
Gradevole l'idea, ma di fatto non rimane niente, ne l'incasso della compagnia, ne il buonumore del pubblico pagante.
Volete sapere che cos'era Woodstock?
Chiedetelo a Dylan.
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