Parigi |
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Un film di Cédric Klapisch.
Con Juliette Binoche, Romain Duris, Albert Dupontel, Fabrice Luchini, François Cluzet.
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Titolo originale Paris.
Commedia,
durata 130 min.
- Francia 2008.
- Bim Distribuzione
uscita venerdì 26 settembre 2008.
MYMONETRO
Parigi
valutazione media:
2,68
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Leggerezza e banalitàdi Francesco2Feedback: 41676 | altri commenti e recensioni di Francesco2 |
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mercoledì 24 febbraio 2010 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Per interrogarsi sul sostanziale fallimento di un'operazione come "Parigi",un film da 5,5 e mezzo apprezzabile da golosi di cinema distesi davanti un televisore,sarebbe interessante interrogarsi sul concetto di leggerezza, con specifico riguardo a due opere che, come quella che ci si appresta ad analizzare, battono bandiera francese:"Un cuore in inverno" di Sautet(1992)e "Il favoloso mondo di Amélie" di Jeunet(2002). Cronologicamente parlando, dunque,nove o addirittura dieci anni separano i due film che, partendo da due protagonisti soli e isolati, ne traggono spunto per fare un discorso più ad ampio raggio: nel caso di Sautet, sulla desolante pochezza dell'ambiente "Borghese", che nella sua meschinità pseudo"culturale"rischia di risultare fastidioso quanto l'insipido protagonista;in quello di Jeunet, dapprima esaltato e oggi tacciato di "Buonismo" da alcune(attendibili?) fonti,il d(edic)arsi agli altri, non senza una sana "Cattiveria", non perché in maniera dolciastra debba nascere la felicità dall'altrui sofferenza, ma perché l'uomo non trova sé stesso prima di aver portato la propria solidarietà a chi non sappia difendersi. Da questo punto di vista,Klapisch non segue(più) la strada di"Ognuno cerca il suo gatto", in cui una storia in fondo inesistente diventava un pretesto affinché la protagonista si interrogasse su sé stessa e sul mondo che la circondava,ma estende la strada "Corale" dell'"Appartamento spagnolo",dove c'é al massimo una storia di fondo inserita in una visione d'insieme che vorrebbe suggerire il messaggio del film. Non per questo però il film analizzato, come anche il precedente, evita ruffiani meccanismi di identificazione.Anzi.E' proprio lo stile(?) del regista, che disegna storie scontate perché già viste(Il malato di cancro, i professore e la lolita, ecc.), ma anche perché a volte ciò che sembra interessargli non è scavare in profonità i setimenti di protagonisti, quanto disegnare sequenze a effetto che attirino il suo pubblico colto(?):spiace dirlo, ma da questo punto di vista la scena delle luci che per Natale dvrebbero accendersi in ogni casa sottolinea il triste limite del film, la differenza tra il tocco leggiadro di (certo) Rohmer e del Jeunet meno ottimista e bozzettistico e questo cinema pseudo-autoriale, pseudo-rohmeriano(Ricordiamoci il pur non indimenticabile"Incontri a Parigi"),pseudo.francese, pseudo. Quando aggiungiamo che, come qualcuno ha giustamente notato, questo film si svolge a "Parig" ma per alcuni versi potrebbe svolgersi un pò dappertutto, prendiamo coscienza che, se Virzì e altri sono figli un pò degenere della commedia italiana, il cinema d'oltralpe esprime una nostalgia per il cinema "Di papà"(Vi dice nulla?), che non sempre dà risultati "Autoriali", ma "Elitari", nel senso diquelle signore che venti-venticinque anni fa erano presunte spettatrici dell'oggi dimenticato Ivory.
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