Tim Burton: regista geniale dei nostri giorni, inventore di un nuovo genere cinematografico. Quando si parla di film gotico ed al contempo fiabesco, atmosfere cupe e talvolta inquietanti, con protagonisti tormentati e sofferenti, spesso isolati ed alienati dal mondo, ma con enorme cuore, si parla di stileBurtoniano.
In Sweeney Todd: the demon barber of Fleet Street Tim Burton propone un altro dei suoi protagonisti, il barbiere serial killer interpretato da Johnny Depp che, per vendetta, uccide i suoi clienti tagliando loro la gola. La sua complice è la signora Lovett, una panettiera che fa buoni affari cucinando pasticci di carne scarnificando i cadaveri dei clienti del barbiere.
Colpo di scena: il film è al novanta per cento cantato, con le favolose canzoni dell’omonimo musical di Stephen Sondheim.
Dunque abbiamo un film cantato, una storia di omicidio seriale, di vendetta e di cannibalismo. Sembra la ricetta perfetta per un epocale flop. Forse in mano a qualcun altro; invece il regista di Edward mani di forbice e di Big fish sforna quello che forse è il fiore all’occhiello (per ora) della sua carriera.
I due attori protagonisti (Depp, candidato all’Oscar per questo film, e H. B. Carter) eseguono un’interpretazione magistrale, non solo nella recitazione, ma anche nel canto. Le musiche di Sondheim non hanno bisogno di ulteriori commenti, e la regia di Tim Burton è mozzafiato, con inquadrature di primi piani e visioni panoramiche della Londra gotica creata da Dante Ferretti (premio Oscar).
Il punto di forza del film, il colpo di genio che forse solo Tim Burton sarebbe riuscito a realizzare con del materiale del genere, sta nell’equilibrio: nulla è superfluo, nessuna ripresa, nessuna battuta, nessuna canzone. Tutto è inserito meravigliosamente, permettendo di creare una vera opera d’arte che scorre ricca di colpi di scena, lasciando lo spettatore con il fiato sospeso fino alla fine.
Ma non solo. Oltre alla bellezza del film che incanta già solo per le sue scene di tenebroso splendore, il film continua il filone tanto caro a Tim Burton. Qui, un barbiere alienato dal mondo civilizzato, a cui è stato portato via ciò che ha di più caro, sceglie di reagire nella sua pazza e disperata maniera. Ed è nei reconditi pensieri del protagonista che Burton fa emergere la sua fosca visione del mondo: in un mondo malvagio e corrotto, tutti meritano di morire. Persino, alla fine, il protagonista stesso: in una scena finale di rara bellezza Sweeney Todd, dopo aver ucciso il giudice che gli ha portato via moglie e figlia e gli ha instillato il seme della vendetta, e dopo aver ucciso per errore l’amata moglie, ingannato e tradito dalla signora Lovett, sceglie di abbracciare la morte. Tutti meritano di morire: così recita il film. Anche lui.
Ma, come in ogni visione fiabesca di Burton, non tutto è tenebra: i due giovani amanti (la figlia di Todd ed un marinaio amico del barbiere) riescono alla fine a fuggire. Forse perché nel mondo di Burton, in fondo, i veri innocenti, mossi soltanto dall’amore più puro ed incondizionato, meritano invece di vivere.
C’è poi lo sfortunato bambino Toby, prima assistente di un barbiere italiano che lo maltratta, in seguito usato dalla Lovett come cameriere. Si evince un contrasto nelle emozioni della donna verso il piccolo: se da un lato lo accudisce con spirito materno, dall’altro è pronta ad ucciderlo quando lui vuole correre dalle autorità per denunciare Todd. Altro tipico tema burtoniano: la dualità. Pur essendo una criminale, non manca in lei l’amore. Qui il messaggio è estremo, ma vuole mostrare come nel nostro profondo abbiamo tutti un lato oscuro, un po’ un Mr Hyde che si cela in ognuno di noi. E, analogamente, coloro che sembrano le persone peggiori, spesso nascondono invece un lato di umanità.
E’ Toby che, alla fine, dona la morte all’anima tormentata del barbiere, chiudendo il cerchio. Tutti coloro che dovevano pagare, hanno pagato con la vita. Pur macchiandosi anch’egli di omicidio, spezza la catena di uccisioni creando le basi, forse, per la speranza di un mondo migliore.
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