Flags of Our Fathers |
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Un film di Clint Eastwood.
Con Ryan Phillippe, Jesse Bradford, Adam Beach, Barry Pepper, John Benjamin Hickey.
continua»
Guerra,
durata 130 min.
- USA 2006.
uscita venerdì 10 novembre 2006.
MYMONETRO
Flags of Our Fathers
valutazione media:
3,41
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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America abbondante e più belligerante
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| giovedì 16 novembre 2006 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
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Ogni tanto è consigliabile qualche immagine che ricordi la ripugnante violenza della guerra. Un vaccino che ciclicamente ha bisogno dei suoi richiami. Soprattutto quando i richiami sono girati dalla sapiente tecnica di Clint Eastwood che qui è trainata dalla spettrale quanto prodigiosa fotografia di Tom Stern. E finché si rimane prigionieri della battaglia e dell'isola di Iwo Jima il film è davvero avvolgente, anche se può essere immediata quanto fuorviante l'analogia con lo sbarco in Normandia di quello Spielberg che qui fa il produttore. Solo che Clint si pone obiettivi ambiziosi che spesso non riesce a centrare. Il ruolo della fotografia e dei fotografi è determinante: forse anche per dire che i chilometri di pellicole propagandiste non avevano suscitato tra gli americani lo stesso entusiasmo di quell'unico, storico (e posticcio) fotogramma di Rosenthal. Ma allora il cinema non può limitarsi a fotografare. E così ci si avventura nei raccordi ambientati tra l'America contemporanea e quella stremata dalla seconda guerra mondiale, con esiti incerti e claudicanti. Interminabili e traboccanti i passaggi che cercano di spiegare i diversi significati dell'intreccio. Con risultati modesti. La testimonianza intergenerazionale, i padri che lasciano la memoria storica ai figli. E non ce ne sarebbe troppo bisogno visto che gli Usa guerreggiano in ogni epoca. Poi il governo e i generali che, nei secoli dei secoli, dal De bello gallico a Nassyria, strumentalizzano gli eroi. Anche se qui i protagonisti non si sentono eroi. Perché, e questo è il vero gioiello del film, gli uomini non fanno la guerra per la patria o chissà per quale ideale, ma per difendere i compagni, quelli che cadono accanto, magari mai visti prima. Un finale tremendamente umano. Che però non elude la cinica realtà: tutta questa retorica sulla bandiera e nemmeno un'allusione alle atomiche sganciate a guerra vinta. Magari nel controcampo Lettere da Iwo Jima (che uscirà a gennaio) vedremo la soggettività nipponica. Per ora c'è solo da smaltire questa abbuffata di America.
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