Roberto Nepoti
La Repubblica
Capita spesso di descrivere la ricetta con cui vengono confezionati i film d'animazione Usa di successo: eccellente grafica, tecnologie, tema centrale serio, personaggi buffi, strizzate d'occhio alla cultura pop (cinema, musica). È, alla lettera, la stessa usata dalla Disney, che ha immolato il suo storico dipartimento d'animazione bidimensionale per mettersi in gara con la Pixar e la DreamWorks nel digitale. Se si ragiona per incassi, l'azione è pienamente riuscita: poiché Chicken little ha già totalizzato una novantina di milioni di dollari. Meno, se si parla di qualità. Facciamo salva quella del disegno e dell'animazione, ammirevole per fluidità di movimenti e garantita da una collezione di nuovi brevetti.
La storia, invece, è deboluccia: il galletto cui nessuno crede quando dice che il cielo gli è caduto sulla testa, e che invece può salvare Querce Ghiandose dagli extraterrestri, soffre di una carenza di stima paterna, quindi verso se stesso. Tutta la faccenda si concentra lì, senza uno sviluppo narrativo davvero coinvolgente.
Le "spalle" (una papera racchia, un maiale obeso, un pesce fuor d'acqua) e le comparse (il sindaco tacchino doppiato da Walter Veltroni), sono divertenti nella media, ma imparagonabili a campioni di simpatia come il Ciuchino di Shrek o il bradipo Sid dell'Era glaciale. Quanto poi alle citazioni per cinefili, che ripescano dal barile E. T. e Blob, Signs e La guerra dei mondi ecc., il simpatico vezzo si avvia a diventare insopportabile.
da La Repubblica, 2 dicembre 2005
di Roberto Nepoti, 2 dicembre 2005