Progetto troppo ambizioso, quello di Martin Bregman: riuscire a rinverdire i fasti di uno dei più bei gangster movie degli ultimi 15 anni, senza essere nè Brian De Palma nè avere un Al Pacino o uno Sean Penn nel cast, è una scommessa prevedibilmente persa in partenza.
Spiace ugualmente, però, il trovarsi di fronte a un risultato peggiore delle aspettative.
Innanzitutto, delude la totale mancanza di collegamento col capolavoro di De Palma: il Carlito Brigante, piatto e stereotipato malvivente qualunque. interpretato da Jay Hernandez potrebbe tranquillamente essere solamente un omonimo di quello tormentato, contraddittorio e affascinante cui Pacino ha donato le sembianze 12 anni fa. Non c'è un minimo accenno, in tutto in film, a un qualsivoglia dettaglio che faccia capire (nome a parte) che si tratti effettivamente di un prequel.
Al di là di ciò, comunque, questo "Rise to Power", è un action movie qualsiasi, dai contenuti triti e ritriti, messi in scena con un'imperizia quasi imbarazzante.
Si parte con un abbozzo di noir dalle tinte intrapsichiche, con sequenza iniziale al ralenti che richiama stilisticamente quella di "Carlito's Way", e si prosegue su toni sempre più stereotipati e prevedibili, visti in centinaia di pellicole minori, concepite col Manuale del Piccolo Sceneggiatore. Fino alla comparsa di Luis Guzman (l'unico attore che faceva parte anche del casting del capolavoro di De Palma, qui utilizzato nei panni di un nuovo personaggio), al cui ingresso in scena coincide uno sconcertante cambio di registro: il film muta improvvisamente in un malriuscito tentativo di imitare lo stile crime movie\umorismo surreale a là The Snatch\Pulp Fiction, regalando una secchiata d'acqua gelata al più ottimista degli spettatori che ancora non aveva osato ammettere a se stesso di trovarsi di fronte a uno dei peggiori film dell'anno.
Non vale la pena nemmeno sacrificare i pochi euro del noleggio.
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