lucianodesimone
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martedì 31 gennaio 2012
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geniale e violentemente tenero. quasi capolavoro.
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City of God è un capolavoro un po' snobbato dal pubblico italiano e da una certa parte di critica che si aspetta da un film ciò che ha deciso a priori che debba essere. Una storia estrema in un pezzo di mondo estremo, girata in modo magistrale su un'idea narrativa che ricorda un romanzo di Hein: la stessa vicenda è raccontata alternativamente dalla soggettiva dei personaggi che l'hanno vissuta, diventando di volta in volta un'altra storia.
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City of God è un capolavoro un po' snobbato dal pubblico italiano e da una certa parte di critica che si aspetta da un film ciò che ha deciso a priori che debba essere. Una storia estrema in un pezzo di mondo estremo, girata in modo magistrale su un'idea narrativa che ricorda un romanzo di Hein: la stessa vicenda è raccontata alternativamente dalla soggettiva dei personaggi che l'hanno vissuta, diventando di volta in volta un'altra storia. Perché la mia vita vissuta da me è una cosa, vissuta da te ne diventa un'altra, pur restando la stessa vita. Di una durezza inaudita, questo film non è né vuole essere realistico, né costituire un'introspezione sociologica, piuttosto lo definirei impressionista. Racconta una storia esasperandone in modo quasi grottesco, a volte ironicamente, a volte con inaudita violenza, a volte teneramente, l'intrinseca drammaticità di contesto, ma sommuove molti sensi e commuove. Resta comunque un romanzo trasposto e non un'opera autorale che ambisce a lanciare messaggi, come molta critica che l'ha un po' stroncato, si aspettava.. Geniale e violentemente tenero. Meraviglioso.
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canz98
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giovedì 24 maggio 2012
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capolavoro del gangster-movie
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E’ la storia di Buscapé, ragazzo nato nella favelas chiamata “Città di Dio”, la cui vita si snoda tra espedienti, criminalità, desiderio di realizzazione e di fuga da una realtà violenta e delirante. Autentico Ben Hur del cinema sud-americano. Un racconto di formazione che tocca nel profondo, sia per il realismo delle scene che per la loro sprezzante crudezza. Un film “neorealistico” del XXI secolo, intriso di una poetica pasoliniana della vita e della crescita: i giovani delle favelas sono diretti cugini dei “ragazzi di vita” romani, ma sono presenti gli echi dello scorsesiano Quei bravi ragazzi, che possiamo percepire a distanza di tempo nel nostrano Gomorra, tratto anch’esso da una storia vera.
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E’ la storia di Buscapé, ragazzo nato nella favelas chiamata “Città di Dio”, la cui vita si snoda tra espedienti, criminalità, desiderio di realizzazione e di fuga da una realtà violenta e delirante. Autentico Ben Hur del cinema sud-americano. Un racconto di formazione che tocca nel profondo, sia per il realismo delle scene che per la loro sprezzante crudezza. Un film “neorealistico” del XXI secolo, intriso di una poetica pasoliniana della vita e della crescita: i giovani delle favelas sono diretti cugini dei “ragazzi di vita” romani, ma sono presenti gli echi dello scorsesiano Quei bravi ragazzi, che possiamo percepire a distanza di tempo nel nostrano Gomorra, tratto anch’esso da una storia vera. Il gioco dell’autodistruzione si impara da bambini, a piccoli passi, man mano che il desiderio di grandezza e di onore cresce e domina dal profondo fino alla catarsi truce e violenta. E’ un massacro senza fine, diurno e notturno assieme, condotto sotto gli occhi di gente che non vede o fa finta di non vedere e lascia consumare orrori impensabili, per complicità o semplice corruzione. I toni semi-documentaristici aiutano a riportare nella realtà dei nostri giorni i fatti narrati, facendo riconoscere lo spettatore nel protagonista, che trova il riscatto desiderato attraverso la lente della sua macchina fotografica, compagna di disavventure in questo Inferno a gironi danteschi, fusione apocalittica di Sodoma e Gomorra proprio dietro l’angolo. Eccezionale la direzione degli attori non professionisti: da Matheus Nachtergaele (Buscapé) che manda in visibilio a Leandro Firmino (Zé Pequeno), inquietante antagonista; da Seu Jorge (Mané Galinha) struggente sicario dal cuore d’oro fino al simpatico compagno di giochi Edson Oliveira (Barbantinho). La telecamera dell’eccellente Meirelles gioca magistralmente con gli spazi e i corpi degli attori e conferisce ritmo sincopante e selvaggio. Capolavoro di denuncia, dove non manca l’ironia, seppur un po’ sporca. Alla 76° edizione degli Oscar nel 2004, l’Academy gli preferì spudoratamente l’orribile terzo e fortunatamente, finale episodio de Il Signore degli Anelli, confermando il suo perbenismo ipocrita non facendogli vincere nessuna delle 4 nomination per regia, sceneggiatura non originale, fotografia e montaggio.
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antonio canzoniere
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sabato 6 ottobre 2012
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lo specchio della realtà
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E’ la storia di Buscapé, ragazzo nato nella favelas chiamata “Città di Dio”, la cui vita si snoda tra espedienti, criminalità, desiderio di realizzazione e di fuga da una realtà violenta e delirante. Autentico Ben Hur del cinema sud-americano. Un racconto di formazione che tocca nel profondo, sia per il realismo delle scene che per la loro sprezzante crudezza. Un film “neorealistico” del XXI secolo, intriso di una poetica pasoliniana della vita e della crescita: i giovani delle favelas sono diretti cugini dei “ragazzi di vita” romani, ma sono presenti gli echi dello scorsesiano Quei bravi ragazzi, che possiamo percepire a distanza di tempo nel nostrano Gomorra, tratto anch’esso da una storia vera.
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E’ la storia di Buscapé, ragazzo nato nella favelas chiamata “Città di Dio”, la cui vita si snoda tra espedienti, criminalità, desiderio di realizzazione e di fuga da una realtà violenta e delirante. Autentico Ben Hur del cinema sud-americano. Un racconto di formazione che tocca nel profondo, sia per il realismo delle scene che per la loro sprezzante crudezza. Un film “neorealistico” del XXI secolo, intriso di una poetica pasoliniana della vita e della crescita: i giovani delle favelas sono diretti cugini dei “ragazzi di vita” romani, ma sono presenti gli echi dello scorsesiano Quei bravi ragazzi, che possiamo percepire a distanza di tempo nel nostrano Gomorra, tratto anch’esso da una storia vera. Il gioco dell’autodistruzione si impara da bambini, a piccoli passi, man mano che il desiderio di grandezza e di onore cresce e domina dal profondo fino alla catarsi truce e violenta. E’ un massacro senza fine, diurno e notturno assieme, condotto sotto gli occhi di gente che non vede o fa finta di non vedere e lascia consumare orrori impensabili, per complicità o semplice corruzione. I toni semi-documentaristici aiutano a riportare nella realtà dei nostri giorni i fatti narrati, facendo riconoscere lo spettatore nel protagonista, che trova il riscatto desiderato attraverso la lente della sua macchina fotografica, compagna di disavventure in questo Inferno a gironi danteschi, fusione apocalittica di Sodoma e Gomorra proprio dietro l’angolo. Eccezionale la direzione degli attori non professionisti: da Matheus Nachtergaele (Buscapé) che manda in visibilio a Leandro Firmino (Zé Pequeno), inquietante antagonista; da Seu Jorge (Mané Galinha) struggente sicario dal cuore d’oro fino al simpatico compagno di giochi Edson Oliveira (Barbantinho). La telecamera dell’eccellente Meirelles gioca magistralmente con gli spazi e i corpi degli attori e conferisce ritmo sincopante e selvaggio. Capolavoro di denuncia, dove non manca l’ironia, seppur un po’ sporca. Alla 76° edizione degli Oscar nel 2004, l’Academy gli preferì spudoratamente il terzo e fortunatamente, finale episodio de Il Signore degli Anelli, confermando il suo perbenismo ipocrita non facendogli vincere nessuna delle 4 nomination per regia, sceneggiatura non originale, fotografia e montaggio.
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williamd
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mercoledì 14 ottobre 2015
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film che lascia il segno!
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Nel scrivere questa recensione vorrei iniziare citando un frase di Hippolyte Taine: "l'ambiente malato crea l'uomo malato". Non penso si possa riassumere in miglior modo quello che il film ci mostra se non con questa frase.
City of God, titolo provocatorio che dovrebbe alludere a un luogo paradisiaco - quale Rio de Janeiro è per le sue meraviglie naturali - racconta invece, troppo esageratamente forse o forse no, della vita nelle favelas nella metropoli brasiliana dagli anni sessanta agli ottanta. E' attorno al personaggio di Buscapé che si sviluppa la trama della pellicola, che narra della sua crescita - dall'infanzia fino a poco più dell'adolescenza - sullo sfondo delle sanguinose vicinde delle bande criminali della favelas di Rio, vicine ma lontanissime alle condizioni benestanti della ricca città.
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Nel scrivere questa recensione vorrei iniziare citando un frase di Hippolyte Taine: "l'ambiente malato crea l'uomo malato". Non penso si possa riassumere in miglior modo quello che il film ci mostra se non con questa frase.
City of God, titolo provocatorio che dovrebbe alludere a un luogo paradisiaco - quale Rio de Janeiro è per le sue meraviglie naturali - racconta invece, troppo esageratamente forse o forse no, della vita nelle favelas nella metropoli brasiliana dagli anni sessanta agli ottanta. E' attorno al personaggio di Buscapé che si sviluppa la trama della pellicola, che narra della sua crescita - dall'infanzia fino a poco più dell'adolescenza - sullo sfondo delle sanguinose vicinde delle bande criminali della favelas di Rio, vicine ma lontanissime alle condizioni benestanti della ricca città.
Tutti i personaggi della storia sono animati da grandi desideri e sogni, spinti dalla volontà di scappare dall'indigenza del posto in cui sono nati. Da un lato Zé Pequeno che, come molti, cerca la sua rivincita nelle attività criminose per elevarsi da una società sporca e corrota di cui vuole essere il padrone; dall'altro il protagonista Buscapé, che insegue tenacemente il suo sogno di diventare fotografo in un contesto, a cui dire il vero, è molto più facile e conveniente brandire una pistola che qualsiasi altra cosa.
I punti di forza del film sono molteplici: le interpretazioni, la regia di Fernando Meirelles e soprattutto un montaggio eccezionale. Se dovessi trovare una pecca a questo film direi che ho preferito la prima parte del film per la sua crudezza dal forte impatto, che nella seconda parte, seppur bellissima, non si è riuscita completamente a mantenere.
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daniele frantellizzi
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mercoledì 23 gennaio 2013
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the dark side of brasil
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Fernando Meirelles firma un vero capolavoro regalandoci questo City of God, splendido affresco del lato più oscuro della sua meravigliosa terra, il Brasile, purtroppo morsa da profonda povertà, criminalità, corruzione, diseguaglianza ed ingiustizia. Prendendo spunto dal racconto di una storia realmente accaduta, il regista vuole evidenziare come oltre al carnevale, al calcio, alla musica ed ai colori, nel suo Paese vi siano soprattutto povertà e disagio sociale.
Il sipario si alza su una favela situata nell’hinterland di Rio de Janeiro, la cosiddetta “Città di Dio” del titolo, un nome illusoriamente angelico per un luogo infernale, in cui vige una sorta di ordine sociale imposto dal gangster di turno a suon di pistolettate ed omicidi, che elargendo piccoli favori alla popolazione e mancette alla polizia locale, riesce a creare e mantenere il suo piccolo impero personale basato su armi e droga.
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Fernando Meirelles firma un vero capolavoro regalandoci questo City of God, splendido affresco del lato più oscuro della sua meravigliosa terra, il Brasile, purtroppo morsa da profonda povertà, criminalità, corruzione, diseguaglianza ed ingiustizia. Prendendo spunto dal racconto di una storia realmente accaduta, il regista vuole evidenziare come oltre al carnevale, al calcio, alla musica ed ai colori, nel suo Paese vi siano soprattutto povertà e disagio sociale.
Il sipario si alza su una favela situata nell’hinterland di Rio de Janeiro, la cosiddetta “Città di Dio” del titolo, un nome illusoriamente angelico per un luogo infernale, in cui vige una sorta di ordine sociale imposto dal gangster di turno a suon di pistolettate ed omicidi, che elargendo piccoli favori alla popolazione e mancette alla polizia locale, riesce a creare e mantenere il suo piccolo impero personale basato su armi e droga.
Il suo contrapposto è Buscapé, un suo coetaneo che invece appartiene alla schiera degli umili e degli onesti, va a scuola e sogna di diventare un fotografo di successo. La durezza della sua infanzia lo porta spesso a dubitare dei valori rappresentati dallo studio e dall’onestà, ed è proprio sui postulati di questo duro contrasto etico che si dipana tutta la sceneggiatura.
Da un lato viene rappresentata l’onestà, che sembra sempre non pagare; dall’altra parte, l’accento viene posto sul fatto che il crimine sottrae la “normalità” dalla vita dei protagonisti, ovvero la semplicità di una passeggiata in bicicletta, di un pomeriggio in spiaggia o di un ballo con una ragazza, momenti certamente anelati da ogni ragazzo. In proposito, è emblematica la sequenza che mostra Zé Pequeno, il gangster “padrone” della favela, che ad una festa tenta di corteggiare una ragazza: è ricco e temutissimo da tutti, ma si rivela assolutamente incapace di approcciare una ragazza e anche in qusto caso l’unica strada che conosce e che riesce a percorrere è la violenza, con esiti drammatici.
Un cast totalmente privo di stelle ci mostra così la vita che si svolge quotidianamente nella Favela brasiliana: il film si svolge a cavallo degli anni ’60 e ’70, ma il finale lascia presagire una sorta di amara ciclicità dei tempi. Infatti, dopo averci mostrato l’ascesa e il declino del pericolosissimo gangster Zé Pequeno, la pellicola si chiude con un gruppo di bambini armati che, vedendo nelle armi delle speranze che non riescono a scorgere in altri strumenti, iniziano a fantasticare e progettare un futuro in cui ne ripetano le gesta, progettando con totale ingenuità e candore crimini ed omicidi con la stessa nonchalance con cui potrebbero parlare di un compito da dover affrontare a scuola o di cartoni animati da vedere al cinema.
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gianleo67
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mercoledì 22 agosto 2012
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crianças da violência
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Infanzia e adolescenza turbolenta di alcuni ragazzi tra le perigliose e miserrime vie di una favela di Rio (quella del titolo) tra gli anni '60 e '70. Tra il documento sociale (di cui il cinema Latino americano vanta una discreta e lontana tradizione) e il dramma di fiction, il film di Mereilles muove, camera a mano, dalle anguste e colorate contrade della megalopoli brasileira con un ritmo incalzante ed una fotografia dai toni saturi che ne enfatizzano l'estetica adrenalinica e la violenza iperrealistica. Una ferocia ironica sembra attraversare questo film. una fame chimica di chi emerge da un inferno sociale come le creature sanguinarie e primitive che emergano da una foresta mesozoica affermando il proprio dominio con la violenza e la sopraffazione, in una 'struggle for life' declinata tra le macerie di una modernità sociale e umana di degrado etico e materiale.
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Infanzia e adolescenza turbolenta di alcuni ragazzi tra le perigliose e miserrime vie di una favela di Rio (quella del titolo) tra gli anni '60 e '70. Tra il documento sociale (di cui il cinema Latino americano vanta una discreta e lontana tradizione) e il dramma di fiction, il film di Mereilles muove, camera a mano, dalle anguste e colorate contrade della megalopoli brasileira con un ritmo incalzante ed una fotografia dai toni saturi che ne enfatizzano l'estetica adrenalinica e la violenza iperrealistica. Una ferocia ironica sembra attraversare questo film. una fame chimica di chi emerge da un inferno sociale come le creature sanguinarie e primitive che emergano da una foresta mesozoica affermando il proprio dominio con la violenza e la sopraffazione, in una 'struggle for life' declinata tra le macerie di una modernità sociale e umana di degrado etico e materiale. E' questo l'aspetto più interessante di un film che punta l'attenzione per la verità, più sull'estetica della violenza che sulla sua valenza sociologica, facendo una scelta di campo che, come i protagonisti del film, scelgono percorsi diversi, tracciando un confine netto tra il bene e il male, schematizzando in modo forse semplicistico la complessità di una dimensione umana difficilmente riducile alle figurine di santi e fanti che popola l'universo dicotomico artatamente disegnato dall'autore. Si salva certo l'abilità tecnica della messa in scena, con le sue evoluzioni e la sua disorganica energia ed una certa idea di cinema che più che educare o denunciare, vuole mostrare divertendo, pervenendo ad uno degli assunti (troppo spesso bistrattati dalla critica militante) che il cinema è da sempre, anche, intrattenimento. Selvaggio.
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luca scial�
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mercoledì 29 aprile 2015
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nelle viscere degradate di rio de janeiro
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Film d'esordio per il regista brasiliano laureato in architettura Fernando Meirelles, che ci porta dentro le viscere degradate di Rio de Janeiro. Città stupenda per i turisti ma distratta con i più poveri. La pellicola è ambientata tra gli anni '60 e '80, quando la differenza era molto evidente perchè il Brasile conosceva un grande sviluppo economico, ma per pochi eletti.
In un quartiere delle favelas, denominato La città di Dio, crescono Buscapé e Dadinho, con ambizioni diverse, sebbene le loro vite si intreccino continuamente ed inevitabilmente. Fino al tragico epilogo. Un film dinamico, con diversi flashback, sequenze spinte e violente, talvolta crudeli. Raggiunge comunque il suo scopo.
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Film d'esordio per il regista brasiliano laureato in architettura Fernando Meirelles, che ci porta dentro le viscere degradate di Rio de Janeiro. Città stupenda per i turisti ma distratta con i più poveri. La pellicola è ambientata tra gli anni '60 e '80, quando la differenza era molto evidente perchè il Brasile conosceva un grande sviluppo economico, ma per pochi eletti.
In un quartiere delle favelas, denominato La città di Dio, crescono Buscapé e Dadinho, con ambizioni diverse, sebbene le loro vite si intreccino continuamente ed inevitabilmente. Fino al tragico epilogo. Un film dinamico, con diversi flashback, sequenze spinte e violente, talvolta crudeli. Raggiunge comunque il suo scopo. Il Brasile è anche quello.
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paride86
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lunedì 9 febbraio 2009
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bello ma gli manca qualcosa
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Ambientato nell'omonima favela, "La città di dio" racconta la storia criminale delle sue bande durante gli anni '60 e '70.
Molto avvincente mentre lo si guarda, facilmente dimenticabile quando è finito.
Questo film non fa altro che illustrare - peraltro molto accuratamente - una lunga guerra tra baby-criminali, senza fermarsi però ad indagare nel tessuto sociale, a chiedersi perché possa fiorire tale violenza e soprattutto come mai esista questa realtà nelle favelas (come invece succede in "Tropa de Elite", che però è visivamente inferiore a "La città di dio"). Insomma, una guerra tra bande per la conquista del potere potrebbe essere ambientata ovunque: questo film gioca la carta esotica dell'ambientazione brasiliana e come asso nella manica butta sul tavolo la diffusissima criminalità minorile.
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Ambientato nell'omonima favela, "La città di dio" racconta la storia criminale delle sue bande durante gli anni '60 e '70.
Molto avvincente mentre lo si guarda, facilmente dimenticabile quando è finito.
Questo film non fa altro che illustrare - peraltro molto accuratamente - una lunga guerra tra baby-criminali, senza fermarsi però ad indagare nel tessuto sociale, a chiedersi perché possa fiorire tale violenza e soprattutto come mai esista questa realtà nelle favelas (come invece succede in "Tropa de Elite", che però è visivamente inferiore a "La città di dio"). Insomma, una guerra tra bande per la conquista del potere potrebbe essere ambientata ovunque: questo film gioca la carta esotica dell'ambientazione brasiliana e come asso nella manica butta sul tavolo la diffusissima criminalità minorile.
Il risultato, come ho già detto, è molto avvincente da guardare: il film coinvolge ed è confezionato piuttosto bene. Ma questo non può bastare quando si analizzano certi frangenti.
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