Titolo originale Any Given Sunday.
Drammatico,
Ratings: Kids+16,
durata 150 min.
- USA 2000.
MYMONETROOgni maledetta domenica
valutazione media:
3,20
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Tony D'Amato è alla guida dei suoi Miami Sharks da molti anni, è alle prese con un matrimonio fallito che lo tormenta e figli che lo snobbano, si scontra con la nuova giovanissima proprietaria che lo vorrebbe silurare e con infortuni e malumori tipici dello spogliatoio. Ma è amato dalla squadra! Il premio Oscar Oliver Stone dirige non un film sul football americano ma un film che sfrutta il popolare sport come metafora e ritratto della moderna società. La maestria del regista appare ancora chiarissima, l'idea di far indossare ai giocatori piccole cam è geniale e rende l'azione reale, drammatica, esasperandone anche certi precisi attimi. Fama, potere, denaro e visibilità sono argomenti centrali di un bel film, corretto stilisticamente, impeccabile, ma fondamentalmente stereotipato ed innocuo, che su terreni ben diversi ricorda e si può collegare a "Platoon" e a "Wall Street", un film in pieno stile Stone, dalla fotografia e dal montaggio mostruosamente adatti al contesto.
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Tony D'Amato è alla guida dei suoi Miami Sharks da molti anni, è alle prese con un matrimonio fallito che lo tormenta e figli che lo snobbano, si scontra con la nuova giovanissima proprietaria che lo vorrebbe silurare e con infortuni e malumori tipici dello spogliatoio. Ma è amato dalla squadra! Il premio Oscar Oliver Stone dirige non un film sul football americano ma un film che sfrutta il popolare sport come metafora e ritratto della moderna società. La maestria del regista appare ancora chiarissima, l'idea di far indossare ai giocatori piccole cam è geniale e rende l'azione reale, drammatica, esasperandone anche certi precisi attimi. Fama, potere, denaro e visibilità sono argomenti centrali di un bel film, corretto stilisticamente, impeccabile, ma fondamentalmente stereotipato ed innocuo, che su terreni ben diversi ricorda e si può collegare a "Platoon" e a "Wall Street", un film in pieno stile Stone, dalla fotografia e dal montaggio mostruosamente adatti al contesto. Lo stadio sembra il campo di battaglia, D'Amato è la nemesi di Stone, il mondo sportivo cambia (forse in peggio) ma i duri cominciano sempre a giocare (e a picchiare) quando il gioco si fa duro., la critica come in "Assassini nati" è forte anche nei confronti di dei media, in particolare delle televisioni. Il parallelo giocatori-gladiatori non è il massimo dell'eleganza, ma Stone spazia, attinge e si sbizzarrisce rendendo questo film uno show , un baraccone lunghissimo ma mai noioso che esalta Pacino, soprattutto in quel monologo che è già nella storia e nel mito, rende comunque giustizia ad un cast funzionale e convincente e stordisce lo spettatore con le sue musiche, con la sua tempistica e i suoi giri perfetti, centimetro dopo centimetro. La visione è perciò cupa e quasi demoniaca ma lo spettacolo è ampiamente godibile e la struttura narrativa scorrevolissima.
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Questo capolavoro di cinematografia ha una storia semplice e diretta. Un allenatore ormai alla fine della sua carriera allena da molti anni una squadra dalle non proprio rosee possibilità di vincere qualcosa. Ma lui riesce in diversi modi, tutti efficaci (e con un discorso che vale da solo tutto il film) a portarli alla vittoria.
Oliver Stone non fa rimpiangere in nessun modo i vecchi film sul football e dimostra che il signor Stone è bravissimo a dirigere un cast composto da stelle del cinema come Al Pacino, Cameron Diaz, Jamie Foxx e Dennis Quaid.
Al Pacino interpreta l'allenatore Tony D'Amato con tutti i suoi problemi personali e della sua squadra. Riesce a dar vita sul finale ad un discorso che vale il film in sé.
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Questo capolavoro di cinematografia ha una storia semplice e diretta. Un allenatore ormai alla fine della sua carriera allena da molti anni una squadra dalle non proprio rosee possibilità di vincere qualcosa. Ma lui riesce in diversi modi, tutti efficaci (e con un discorso che vale da solo tutto il film) a portarli alla vittoria.
Oliver Stone non fa rimpiangere in nessun modo i vecchi film sul football e dimostra che il signor Stone è bravissimo a dirigere un cast composto da stelle del cinema come Al Pacino, Cameron Diaz, Jamie Foxx e Dennis Quaid.
Al Pacino interpreta l'allenatore Tony D'Amato con tutti i suoi problemi personali e della sua squadra. Riesce a dar vita sul finale ad un discorso che vale il film in sé. Quel discorso mette in trepida attesa della fine della partita. Cameron Diaz fa la bellissima parte della Boss che rende la vita difficile ad Al Pacino.
Un film che merita di essere visto. Dagli amanti del cinema e del Football. [-]
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Oliver Stone, esploratore delle sporcizie della guerra, finanza e società, si cimenta nell'esplorare il marciume del mondo del football americano: pieno di giocatori che pensano solo ai soldi e agli eccessi, presidenti privi di scrupoli che antepongono gli interessi finanziari che ai loro giocatori e dipendenti, di come ormai i soldi governano lo sport. Solo l'ambizione, i vecchi valori di un tecnico di vecchia scuola sembrano essere ritratti di una sportività non ancora persa.
La prova di Stone è ben riuscita, non ai livelli di precedenti suoi capolavori, ma è risultato di una visione interessante e adrenalinica, grazie anche alle violente scene delle partite, in cui i giocatori sono in realtà dei veri e propri gladiatori, facendo somigliare gli eventi sportivi di oggi agli antichi spettacoli di sangue dell'antichità.
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Oliver Stone, esploratore delle sporcizie della guerra, finanza e società, si cimenta nell'esplorare il marciume del mondo del football americano: pieno di giocatori che pensano solo ai soldi e agli eccessi, presidenti privi di scrupoli che antepongono gli interessi finanziari che ai loro giocatori e dipendenti, di come ormai i soldi governano lo sport. Solo l'ambizione, i vecchi valori di un tecnico di vecchia scuola sembrano essere ritratti di una sportività non ancora persa.
La prova di Stone è ben riuscita, non ai livelli di precedenti suoi capolavori, ma è risultato di una visione interessante e adrenalinica, grazie anche alle violente scene delle partite, in cui i giocatori sono in realtà dei veri e propri gladiatori, facendo somigliare gli eventi sportivi di oggi agli antichi spettacoli di sangue dell'antichità.
C'è da dire che, se non ci fosse un attore sanguigno e feroce come Al Pacino, il film non avrebbe avuto tutta questa attenzione e successo – buonissima la sceneggiatura, comunque- perché solo lui poteva interpretare il ruolo del testardo ed esperto allenatore degli Sharks Tony D'Amato, che nonostante non sia esente dal non usare sporchi mezzucci, rimane unico caposaldo di quel vero e pulito sport che manca al giorno d'oggi; in più, è l'unico restio ai cambiamenti dettati dal gigantesco giro d'affari che circonda il football, che condiziona anche i giocatori, rendendoli schiavi del denaro e facendoli giocare solo per i propri interessi e non per la propria squadra.
Per il resto, anche il cast nella sua interezza fa la sua bella figura: Jamie Foxx ha il carattere giusto per impersonare il giocatore emergente che si monta la testa dal successo; Dennis Quaid è l'elemento giusto nel fare il giocatore anziano che sente gli acciacchi e vorrebbe ritirarsi; non escludo neanche Cameron Diaz, che riesce a far vedere che non è la classica attrice troietta, facendo una parte convincente nell'interpretare la presidentessa bastarda che si cura solo della sua grandezza e levarsi l'ingombrante ombra del padre, presidente vincente e di successo; concludo anche con lo scontro etico tra i medici della squadra che è eccellentemente rappresentato da degli ottimi James Woods e Matthew Modine, le facce giuste per questo scontro.
Levando il famoso discorso del tecnico Amato (bellissimo e carico), “Ogni maledetta domenica” è un ottimo film sportivo che sa anche indagare nel profondo dei suoi uomini, denotandone sogni, debolezze e malesseri, e si incarica giustamente di manifestare un meccanismo che è sempre più malato e corrotto; unica pecca del film è il lato buonista che c'è al finale in totale antitesi con quello che ci era stato mostrato nel film, ma rimane sempre uno dei migliori film sportivi.
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"Ogni maledetta domenica o si vince o si perde" sa di luogo comune ed è un luogo comune che puzza di birra e sudore, che fa girare soldi ed anche teste a milioni di esseri umani: il film datato 1999 di Oliver Stone è retorico, rumoroso e formalmente corretto.
Racconta la storia della squadra di football Miami Sharks allenata dallo stanco ma ancora capace di mordere Tony D'amato (Al Pacino) e di proprietà dell'ambiziosa ed affascinante Christina Pagniacci (Cameron Diaz).
Componenti che rendono il gioco del football qualcosa che trascende dallo sport o dalla sana competizione sono il conflitto generazionale, l'ossessione di volere essere sempre al passo coi tempi, l'onnipresenza dei media, il "dio" denaro, che oltre a far perdere la testa spesso è in grado di far perdere la salute.
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"Ogni maledetta domenica o si vince o si perde" sa di luogo comune ed è un luogo comune che puzza di birra e sudore, che fa girare soldi ed anche teste a milioni di esseri umani: il film datato 1999 di Oliver Stone è retorico, rumoroso e formalmente corretto.
Racconta la storia della squadra di football Miami Sharks allenata dallo stanco ma ancora capace di mordere Tony D'amato (Al Pacino) e di proprietà dell'ambiziosa ed affascinante Christina Pagniacci (Cameron Diaz).
Componenti che rendono il gioco del football qualcosa che trascende dallo sport o dalla sana competizione sono il conflitto generazionale, l'ossessione di volere essere sempre al passo coi tempi, l'onnipresenza dei media, il "dio" denaro, che oltre a far perdere la testa spesso è in grado di far perdere la salute.
L'allenatore Tony D'Amato, appartenente alla storica scuola in cui i campioni erano veri uomini fuori e dentro al campo, sostiene che il degrado morale ed etico degli atleti contemporanei sia causato dalla cara vecchia televisione, questa sarebbe la causa per cui gli atleti non giocano più per la squadra ma per il proprio tornaconto ed anche del fatto che, sebbene fisicamente più preparati questi giovani nerboruti siano molto più fragili dei loro predecessori.
In questa visione oscura e quasi demoniaca del mezzo televisivo ritorna un motivo caro ad Oliver Stone; egli infatti sferrò un violento attacco ai media già cinque anni prima con il film "Assassini nati" scritto da Quentin Tarantino: lì si parlava di omicidio, violenza e serial killer, qui si parla di egoismo, avidità e corruzione.
Altra firma del regista si può riscontrare nel suo descrivere i Miami Sharks come una truppa dell'esercito, i cui componenti si devono difendere (o dovrebbero difendersi) vicendevolmente, si devono proteggere e devono giocare per un ideale più alto di quello propriamente personale.
L'idea di atleti trasfigurati in "natural born killer" è sottolineata da alcune significative inquadrature e da non troppo eleganti parallelismi, come l'equiparazione tra i gladiatori che gareggiavano sulle bighe nel kolossal "Ben Hur" ed i viziati e dopati Squali di Miami. Tutto coadiuvato dall'ottima fotografia di Salvatore Totino oltre che da battute che rasentano la teatralità; questo lato così pacchiano è però il vero colore del film, la vera anima che dal rap di Willi Beaman (Jamie Foxx) al mood ispirato da Coltrane di Tony rende questo film un vero show godibile, mai noioso in oltre due ore di durata.
Ottima l'interpretazione di Al Pacino, che sembra migliorare con l'età e riuscire ad adattarsi a qualsivoglia ruolo; brava anche Cameron Diaz così come il cinico medico dello spogliatoio James Woods. In generale tutto il cast è più che convincente a parte Matthew Modine che, con la sua aria allampanata, a stento riesce a persuadere il pubblico della volitiva ricerca del giusto di cui il suo personaggio si fa promotore.
Il monologo recitato da Al Pacino poco prima di scendere in campo per affrontare l'ultima partita è piuttosto banale ma comunque non privo di fascino e verità, soprattutto nell'affermare che la vita è come una partita, che è questione di fare la scelta giusta nel momento giusto e come nel football è questione di tempismo e di riuscire ad avanzare un centimetro per volta.
I film sul football in America sono parecchi, ed il motivo è che in America il football è simile a ciò che il calcio era in Italia fino a qualche anno fa: una fede, un credo che divide gli anni in stagioni e che lambisce anche esperienze diametralmente opposte, addirittura sfiorando la letteratura: ne è un esempio la squadra di Baltimora che deve il suo nome alla nota poesia "Raven" di Edgar Allan Poe.
Spesso questi film cercano di affrontare il tema in modo diverso: ci sono esempi riusciti come "The Program" di David S. Ward, altri decisamente meno, come "Varsity Blues" di Brian Robbins, altri ancora piuttosto divertenti come "L'altra sporca ultima meta" di Peter Segal, remake de "Quella sporca ultima meta" di Robert Aldrich, datato 1974. Alcuni sono anche più cafoni di "Ogni maledetta domenica"; a voi il compito di scovarli... [-]
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Il veterano allenatore dei Miami Sharks di football durante una partita si trova a dover fare esordire la terza scelta nel ruolo di quaterback. Il ragazzo, dopo un inizio disastroso, si rivelerà una risorsa per la squadra. Il ragazzo però inizierà a montarsi la testa mentre la dirigenza della squadra deve decidere quali giocatori tenere in vista della stagione successiva e se rinnovare la fiducia allo storico coach.
Oliver Stone firma un'intensa pellicola sportiva che attraverso scontri e inquadrature ravvicinate ci mostra innanzitutto la durezza di uno sport fisico come il football americano (recentemente lo stesso Obama si è speso per una maggiore tutela dell'incolumità dei giocatori).
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Il veterano allenatore dei Miami Sharks di football durante una partita si trova a dover fare esordire la terza scelta nel ruolo di quaterback. Il ragazzo, dopo un inizio disastroso, si rivelerà una risorsa per la squadra. Il ragazzo però inizierà a montarsi la testa mentre la dirigenza della squadra deve decidere quali giocatori tenere in vista della stagione successiva e se rinnovare la fiducia allo storico coach.
Oliver Stone firma un'intensa pellicola sportiva che attraverso scontri e inquadrature ravvicinate ci mostra innanzitutto la durezza di uno sport fisico come il football americano (recentemente lo stesso Obama si è speso per una maggiore tutela dell'incolumità dei giocatori). Il film però si concentra anche su quello che accade fuori dal campo per lo sport numero 1 in USA. Programmi dedicati ad ogni squadra che martellano i telespettatori tutto il giorno, giocatori che si danno a festini dove circolano liberamente alcolici, donne e cocaina e una dirigenza che deve costantemente stare attenta alle dinamiche costi e benefici e che vuole il raggiungimento dei playoff non solo o non tanto per una soddisfazione sportiva ma perchè la qualificazione porta nelle casse della squadra una lauta fetta di diritti televisivi la vera droga degli sport più importanti di ogni nazione. Ogni maledetta domenica va in scena quindi uno spettacolo violento dove però nessuno deve voler primeggiare sopra la squadra (questa è la nozione che dovrà imparare l'esuberante Jamie Foxx alle prese con un talentuoso giovane giocatore). Questo sport e questo mondo è poi un autentico tritacarne di sentimenti dove chi è all'interno vi si dedica anima e corpo a rischio della stessa vita pur di incassare un lauto bonus. Il tutto perchè una volta passato il tuo treno, se non riesci a "riciclarti" come commentatore tecnico, inizia la vera vita e anche le mogli di alcuni giocatori ormai avvezze alla vita di lusso che i mariti garantiscono loro vogliono spingerli sempre più avanti e sono disposte a perdonare le loro scappatelle. Così anche l'anziano allenatore (uno splendido Al Pacino quasi da Oscar) è stato lasciato dalla moglie, non vede i nipotini e per avere compagnia è costretto a pagarsi le donne. Insomma uno spaccato dolce/amaro del football impreziosito da un ottimo cast dove a faticare è solo la Diaz che mette tutto il suo impegno nel ruolo ma si vede che una parte del genere non è nelle sue corde. Insomma un film d'autore impreziosito da un piccolissimo cameo di Charlton Heston omaggiato poi durante il film con la meravigliosa scena delle bighe di Ben Hur contro Messala. [-]
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Tony D'Amato allena da vent'anni, nella National Football League, i Miami Sharks, squadra dal passato glorioso sprofondata in una crisi di risultati che ha scosso un ambiente già provato dalla morte di Pagniacci, storico proprietario del club; tra litigi e rivalità interne, scontri verbali e (talvolta) fisici coi giornalisti -oltre alle dinamiche ben note che ruotano dietro le quinte dello sport professionistico- Tony segue imperterrito la sua strada fatta d'impegno, sacrificio e attitudine a mettere gli interessi del collettivo davanti a quelli personali.
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Tony D'Amato allena da vent'anni, nella National Football League, i Miami Sharks, squadra dal passato glorioso sprofondata in una crisi di risultati che ha scosso un ambiente già provato dalla morte di Pagniacci, storico proprietario del club; tra litigi e rivalità interne, scontri verbali e (talvolta) fisici coi giornalisti -oltre alle dinamiche ben note che ruotano dietro le quinte dello sport professionistico- Tony segue imperterrito la sua strada fatta d'impegno, sacrificio e attitudine a mettere gli interessi del collettivo davanti a quelli personali. Ma i troppi infortuni e i capricci di qualche talento nascente non rasserenano l'aria, che si fa ancor più pesante con la discesa in campo della figlia di Pagniacci, l'inesperta Christina, nuova padrona che vorrebbe trasferire la franchigia in altra città, cosa che molto frequentemente avviene negli Stati Uniti. La lunga catena di eventi ci porta al primo turno dei play-off nel quale Miami affronta fuori casa la favorita Dallas in un match preceduto da un discorso memorabile di Tony D'Amato il quale, consapevolmente al termine della sua esperienza in terra di Florida, incita ed aizza tutta la squadra (panchinari compresi) per la sfida più importante delle loro rispettive carriere.
Oliver Stone ci ha abituati ad una regia frenetica che a tratti ricorda un videoclip musicale, in altri un documentario; non definirei la sua tecnica all'avanguardia, ma certamente utile allo spettacolo. Piaccia o no, in Any given sunday (USA, 1999) sfoggia i suoi più classici colpi che ne fanno un'opera interessante, senza tuttavia renderla impeccabile. Gli stereotipi dello sport agonistico ci sono tutti: feste mondane, ragazze conturbanti, gli inevitabili scontri personali tra prime donne contornati da macchine fatte (letteralmente) a pezzi, iniezioni cortisoniche utili a nascondere lesioni gravi ed eseguite da medici infedeli; sullo sfondo della fittizia squadra degli Sharks si muovono anche procuratori sempre pronti a sventolare contratti ad uso ricattatorio, mentre i loro assistiti pretendono che il gioco sia a loro uso e consumo, convinti di poter vincere le partire da soli. Nel football come per il calcio, le trame si intensificano sempre più verso la fine della stagione allorquando l'economia e la politica (sempre presente quando il gioco si fa remunerativo) richiedono il massimo sforzo per favorire gli enormi interessi che gli ruotano attorno; un gioco rovinato a partire “da quel primo match interrotto sul più bello per uno spot di 40 secondi”. L'apprezzabile denuncia di Stone, però, non convince (compreso il solito auto cammeo e le troppe frasi ad effetto), così come non entusiasma Al Pacino, che è quello solito degli ultimi 25 anni: i suoi personaggi sono quasi sempre incavolati, depressi e stanchi, seppur ancora in possesso di qualche cartuccia da sparare. E il suo coach D'Amato conferma la regola in quel famigerato monologo nello spogliatoio che vale, da solo, i 150 minuti (eccessivi) di pellicola. Jamie Foxx non mi è piaciuto, troppo molle in un lungometraggio fatto di sudore e dolore fisico nel quale fa la sua figura, invece, un esperto Dennis Quaid; anche Cameron Diaz è sotto tono, troppo superficiale e poco concentrata. Nel complesso, comunque, è proprio il cast a tenere botta in una storia banale dall'esito scontato (Miami, come rivelato nella conferenza stampa finale, arriva a giocarsi nientemeno che il Superbowl).
Ogni maledetta domenica ha ispirato diversi registi ed autori negli anni successivi, ma è un film da mettere nella classifica di quelli buoni ma non eccezionali, guardabili ma non sensazionali; un potenziale cult sprovvisto, però, del quid necessario. Un cast composto da nomi altisonanti ed un monologo ben scritto e recitato non possono bastare.
Voto: 6
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Tony d'Amato, allenatore degli Sharks di Miami, è in caduta libera: la squadra sta per perdere la quarta partita consecutiva, e a causa della nostalgia per gli anni d'oro della sua carriera è costretto a ragionare su tutti gli errori commessi, tra cui un matrimonio fallito. La giovanissima Christina Pagniacci ha ereditato dal padre la squadra e spera di poterla spostare da Miami a Los Angeles per trarne un maggior profitto, ma finché d'Amato non si impegna a risollevare le sorti degli Sharks, il rischio di perdere valore è troppo alto.
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Tony d'Amato, allenatore degli Sharks di Miami, è in caduta libera: la squadra sta per perdere la quarta partita consecutiva, e a causa della nostalgia per gli anni d'oro della sua carriera è costretto a ragionare su tutti gli errori commessi, tra cui un matrimonio fallito. La giovanissima Christina Pagniacci ha ereditato dal padre la squadra e spera di poterla spostare da Miami a Los Angeles per trarne un maggior profitto, ma finché d'Amato non si impegna a risollevare le sorti degli Sharks, il rischio di perdere valore è troppo alto. La casuale scoperta di un nuovo fuoriclasse, Willie Beaman, solitamente confinato in panchina, rappresenta l'occasione per uscire dal tunnel. In un caos di immagini roboanti e prepotenti si districa la trama di "ogni maledetta domenica", film a tema sportivo, politically correct, dove le deviazioni causate dalla fama, dai troppi soldi e dalle troppe libertà vengono domate dal senso del dovere, dalla nobiltà del gioco e dallo spirito di squadra. "Ogni maledetta domenica si vince o si perde, resta da vedere se si vince o si perde da uomini": l'aforisma più ricorrente del film nobilita il football, rappresentato come sport crudo, dove i giocatori si scontrano come titani, incassano ferite di guerra e si rialzano da eroi. La colonna sonora detta il ritmo incalzante delle azioni di gioco: dal rap più crudo al metal più graffiante. Spettacolo assicurato grazie ad Oliver Stone, che dimostra piena padronanza nel montaggio e nella fotografia, sempre alla ricerca della perfetta sequenza per creare tensione ed emozioni. Al Pacino (nei panni dell'unico personaggio di spessore) entusiasma non tanto per il famoso discorso prepartita, quanto per la bastardaggine con cui applica le parole alla vita: la rivincita finale, il suo rosicchiarsi centimetro per centimetro è quanto mai esilarante. Tantissimi i volti noti: Cameron Diaz, Jamie Foxx, Dannis Quaid, Aaron Eckhart, James Wood e molti altri. Pellicola spettacolare e in grado di soddisfare anche chi non ama particolarmente il tema sportivo ( è facile trovare rifugio nel tanto esibito moralismo). Consigliato. [-]
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Il film segue un percorso tracciato, che prevede varie fasi narrative (si parte con l'infortunio del campione ed il debutto del nuovo talento, terzo panchinaro; la fase dell'affermazione iniziale, dove dimostra di avere qualità non comuni; l'immancabile crisi dovuta a incomprensioni caratteriali; il gran finale).
Entro questa struttura, rigorosamente predisposta dall'esperto Oliver Stone, si snodano e si intrecciano le vicende dei singoli personaggi, tutte capaci di suscitare interesse (grosso pregio del film, che ne risulta arricchito e richiama alcuni capolavori di Altman come America Oggi).
Il mondo del Football Americano viene descritto in modo intelligente, accattivante, ma anche molto verosimile.
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Il film segue un percorso tracciato, che prevede varie fasi narrative (si parte con l'infortunio del campione ed il debutto del nuovo talento, terzo panchinaro; la fase dell'affermazione iniziale, dove dimostra di avere qualità non comuni; l'immancabile crisi dovuta a incomprensioni caratteriali; il gran finale).
Entro questa struttura, rigorosamente predisposta dall'esperto Oliver Stone, si snodano e si intrecciano le vicende dei singoli personaggi, tutte capaci di suscitare interesse (grosso pregio del film, che ne risulta arricchito e richiama alcuni capolavori di Altman come America Oggi).
Il mondo del Football Americano viene descritto in modo intelligente, accattivante, ma anche molto verosimile. Ogni sfaccettatura di questo mondo è analizzata e riproposta. Qui ci pare però che Stone esageri e si macchi della colpa di voler raccontare tutto, senza riuscire a rinunciare proprio a nulla.
Il risultato è che la pellicola risulta troppo lunga, mentre pare che fosse certamente possibile contenerne maggiormente la durata e di certo sarebbe stata una scelta utile per il film stesso. In definitiva, nonostante sia un'opera ben riuscita, rischia di annoiare lo spettatore con qualche momento morto di troppo.
Grande impiego di mezzi e di star.
Molto bravo Stone alla regia, come al solito; regala grandi riprese suggestive e ha in più il merito di far rendere bene cinematograficamente le fasi di gioco delle partite, cosa non facile (il Football Americano si presta meglio rispetto al nostro calcio, ma resta comunque uno sport non particolarmente adatto alla rappresentazione cinematografica, al contrario della boxe).
Le prove degli interpreti sono certamente buone, pur non riscontrando interpretazioni di particolare effetto.
Sono presenti numerose frasi e qualche monologo, che tentano con successo di svelare alcuni segreti e principi dello sport professionistico ed anche dello sport in genere
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Partendo dalla citazione attribuita a José Mourinho, ma valida per qualunque disciplina sportiva, si può iniziare a osservare la pellicola del '99 firmata da Oliver Stone, in grado di mostrare senza particolari filtri molti dei retroscena dello sport professionistico a stelle e strisce, e nello specifico della NFL, come non li si era mai visti prima.
Pur con tutta la distanza che divide la nostra penisola da uno sport che non ha mai del tutto attecchito nel nostro paese, è molto difficile non rimanere comunque invischiati nelle vicissitudini dei Miami Sharks anche grazie alle numerose sotto trame presenti. Il regista, che riserva per sé il ruolo di un commentatore competente e tagliente, rimodella il racconto di Logan e Pyne facendolo suo grazie a una formula piena di adrenalina per le partite, delle quali non si perde alcun dettaglio, ma anche alternando le scene di allenamento, con lo spietato mondo degli affari.
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Partendo dalla citazione attribuita a José Mourinho, ma valida per qualunque disciplina sportiva, si può iniziare a osservare la pellicola del '99 firmata da Oliver Stone, in grado di mostrare senza particolari filtri molti dei retroscena dello sport professionistico a stelle e strisce, e nello specifico della NFL, come non li si era mai visti prima.
Pur con tutta la distanza che divide la nostra penisola da uno sport che non ha mai del tutto attecchito nel nostro paese, è molto difficile non rimanere comunque invischiati nelle vicissitudini dei Miami Sharks anche grazie alle numerose sotto trame presenti. Il regista, che riserva per sé il ruolo di un commentatore competente e tagliente, rimodella il racconto di Logan e Pyne facendolo suo grazie a una formula piena di adrenalina per le partite, delle quali non si perde alcun dettaglio, ma anche alternando le scene di allenamento, con lo spietato mondo degli affari. Passando dal giornalismo sportivo d’assalto, a medici privi di scrupoli, pronti a iniettare dosi letali di antidolorifici nel corpo di uomini che non vogliono altro che guadagnare bonus milionari per carriere veloci e piene di ombre.
Nel centro di tutto questo si muove Tony D’amato, un iconicoAl Pacino, uomo proveniente da un'altra epoca, che ormai si sente fuori posto in un ambiente che l’ha visto protagonista per oltre due decadi e numerosi titoli. Ostracizzato da Christina Pagnacci, l'eccellente Cameron Diaz, proprietaria che ha visto crescere fra le braccia del padre, ma con la quale ha grandi divergenze in merito alla gestione della squadra.
Il regista di Platoon (id.; 1986) e JFK (id.; 1991) riesce a confezionare grazie a un cast stellare - preziose le presenze di Jamie Foxx e Dennis Quaid, ma potremmo proseguire fino all'ultimo membro del cast - e grazie a una sceneggiatura solida e altrettanto semplice, un film che si lascia percorrere per le quasi tre ore di durata perché capace di toccare i vari stereotipi del mondo dello sport: il fuoriclasse in declino e quello in rampa di lancio, le scappatelle nei party dopo partita e le trattative per il rinnovo dei contratti, fino ai milioni di dollari che piovono sulle teste di atleti usati dalle franchigie come semplice carne da macello. Tralasciando però i retroscena privati e personali dei vari protagonisti, solamente lambiti per non discostarsi mai troppo dal tema centrale, ovvero il football con le sue spettacolari azioni di gioco e la vita della franchigia.
Da questo punto di vista l’impianto del film e ogni tassello che lo compone, sono di primo livello incluso l'iconico discorso motivazionale di coach D’amato ormai divenuto un must al punto di essere più volte citato dai veri allenatori delle squadre professionistiche.
Pellicola quindi imperdibile sia per amanti della palla ovale che non. Ma come detto anche molto incentrata sulla disamina sportiva e decisamente meno sul lato più umano dei protagonisti.
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