Sons of Cuba

Per la prima volta la macchina da presa di una troupe cinematografica entra in un tempio dello sport mondiale, una delle accademie cubane dove sono formati i futuri campioni della boxe. La piccola isola caraibica ha una solida tradizione nella "nobile arte", incentivata e incoraggiata dallo stesso Fidel Castro. Andrew Lang racconta la preparazione atletica e psicologica dei bambini di 12 anni nella scuola di pugilato più prestigiosa de l'Avana, l'Havana City. Negli 88 minuti del documentario seguiamo i loro allenamenti, la guerra continua con il peso e la fame, la formazione psicologica che passa anche attraverso il nazionalismo di una piccola nazione che si sente minacciata dall'esterno e da un nemico potente, gli Stati Uniti. La boxe ha sempre regalato grandi spunti al cinema. Inutile, però, ricordare "Rocky" o "Toro scatenato": in "Sons of Cuba" siamo ben lontani dal professionismo americano. I ragazzi cubani - di cui seguiamo il percorso atletico che li porterà ai campionati nazionali - si allenano in un contesto sportivo povero come le baracche de L'Avana da cui provengono ma è con il cuore che suppliscono quello che manca in attrezzature. Con gli occhi di Junior, Santos e Cristian guardiamo temi come l'amicizia, la competizione, il sacrificio, il patriottismo e un padre della patria ingombrante che, come un genitore ambizioso, li esorta a primeggiare per il bene di Cuba; lottano per famiglie poverissime, spesso spaccate dalla vita in cui è duro mantenere i legami affettivi; soprattutto, sopportano il peso fisico dell'allenamento e della lontananza dagli affetti. Quello di Lang è uno sguardo da fanciullo su una realtà complessa e su personalità in formazione, resa con una sincerità commuovente a cui, in diversi momenti, è difficile resistere. 