A Beautiful Day |
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Un film di Lynne Ramsay.
Con Joaquin Phoenix, Ekaterina Samsonov, Alessandro Nivola, Alex Manette.
continua»
Titolo originale You Were Never Really Here.
Drammatico,
Ratings: Kids+13,
durata 95 min.
- USA, Francia 2017.
- Europictures
uscita martedì 1 maggio 2018.
MYMONETRO
A Beautiful Day ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() |
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You were never really here...
di EdieSedgwickFeedback: 1239 | altri commenti e recensioni di EdieSedgwick |
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mercoledì 11 aprile 2018 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
La sig.ra Ramsay si fionda nel thriller dai connotati di violenza e disillusione con un personaggio duro, crudo e 'all'occorrenza' spietato incarnato dai silenzi tormentati del magnetico Joaquin Phoenix, ma qualcosa va storto. Lynne Ramsay vorrebbe riavvalersi (in buona parte fallisce, inevitabile) della brillantezza e soprattutto pesantezza monolitica di regia dei Coen d'annata molto probabilmente (tra le altre cose) aggiungendo sprazzi di inquieto accompagnamento simil-'Drive'(2011), ma lo smacco consiste banalmente nel fatto che un qualche segmento di trama meno organico, al pelo della tenuta del brivido, meno "di collaudo" per questo 'one man show' che sembra in certe parti fatto a memoria su altri precedenti, e magari una ventina di parole in più che spezzassero la prassi 'tensione-demoni' non avrebbero guastato insomma, e già il film non avrebbe nulla da invidiare a un prodotto (altresì indipendente) quale "Blue Ruin" con cui ha molti aspetti da spartire. Non serviva altro che un tozzo di carbonella in più, perché la professionalità c'è tutta, ma in questi casi 'a voglia' - auguri vivissimi - riportare sugli schermi la potenza e la crudescenza del personaggio come in "Non È Un Paese Per Vecchi" per dirne una. Ciò detto, gli assunti della trama non svaniscono affatto, e gran parte dell'attrazione ha gioco a dirittura di un'ennesima, vibrante prestazione commissionata a un Phoenix "in stato di grazia" come si suol dire (che risente forse della modica originalità della presa soggettiva e in proposito al suo turbamento che non si stempera mai neanche alla luce delle conseguenze) ma il merito è dovuto altrettanto al bieco commento sonoro di Jonny Greenwood, paragonabile di certo allo 'score' ossessivo ed elettrizzante di Cliff Martinez per 'Drive'. Poco ma sicuro, perché molto altro da dare, oltre che tentare di non vaporizzare nel nulla queste due risorse/qualità 'di per sé' compenetrandole q.b. in tralice alle immagini, il film non ce l'ha, a dire il vero, o non sembra sapersi mostrare così in profondità, né in via di approfondirne la portata, il senso di 'peso' (ribadire la forza e lo "sbieco" delle scene non basta). Ricorda (come ho detto) per molti versi 'Blue Ruin' a partire dall'ergonomia delle sequenze cruente e nella tematizzazione dei trascorsi traumatici del protagonista (qui ben di più). Lo stile comunque in sé non fa acqua almeno, bello rappreso, non si perde granché in tonalità, divagazioni o 'trucioli' di sorta più di troppo, ma manca il 'vivido', l'attenzione e incisività assoluta della regia più cruda di scuola coeniana. C'è da dire che ormai (considerazione molto generale) il 'trasporto' e la suspense puramente 'da trama' stessa sono difficili da rimettere a oltranza col senno di capolavori, la tensione si riduce quasi a una mezza opinione di autore in autore, un massimale, ci si muove in riferimento invece che nel suo segno (intendiamoci, l'ispirazione però non è un optional, se e quando il film 'scorre' e allo stesso tempo sa attanagliare, anche di poco più del 'giusto', sindacale magari per premesse, be' è lampante, lo si sente, forte e chiaro e immediatamente). In conclusione, questione di carattere, di bravura registica, gestione dell'azione e dell'indugio, o più semplicemente di genio, di saper 'oltraggiare' il filo delle situazioni attraverso sprazzi davvero indimenticabili - non si può dire la stessa cosa in questo thriller da falsariga (per atmosfera e caratteristiche indebitate ad altri celebri precedenti, in primis proprio "Drive", da cui mutua la saturazione emotiva, espressiva dell'unico protagonista) senza niente di inaudito (tocchi alla 'Biutiful' e alla Refn appunto, ma non reggerebbe il confronto di rilievo). Diciamo pure accettabile, per il resto, encomiabili la freddezza e la 'traumaticità' che trasmette riguardo alle peggiori, terribili esperienze familiari e/o personali e la scelta della 'distanza' di sguardo nell'impressionante mortalità, nella moria, quantomeno fino al finale sospeso e senza banali giustezze psicologiche. Al largo della disincantata prova di Phoenix (premiata a Cannes), tutto il resto vien da sé - tra commi di innocenza minorile stratificata e uno spiazzante "lieto"?fine - non necessariamente al meglio delle possibilità. Senza infamia ma senza lode
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