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In un’epoca in cui si propongono bignamini dei grandi romanzi, forse un’operazione fra le più misere della divulgazione letteraria, non si deve dimenticare Sergei Bondarchuk, il grande regista russo nato in Ucraina il 25 settembre 1920 e morto il 20 ottobre 1994, colui che negli anni Sessanta del secolo scorso ha girato “Guerra e pace”.Mai rielaborazione filmica di un romanzo di questa portata, il capolavoro del conte Lev Tolstoj, fu più fedele e grandiosa: la ricostruzione della battaglia di Borodino, il 7 settembre 1812, ha impiegato il numero di comparse forse più numeroso di tutta la storia del cinema e la produzione andò avanti lentamente per via dei costi altissimi. Quella che per Napoleone fu una vittoria di Pirro, e la conseguente ritirata nel gelo della steppa (simile in tutto alla sconfitta degli eserciti tedesco-italiani nella seconda guerra mondiale), viene filmata come un immane macello condannato dai più consapevoli delle sorti umane. Se un film come “Via col vento” ci viene riproposto più volte all’anno dalle reti Mediaset (in particolare Rete4) che ne hanno l’esclusiva, bene fa la Rai a rimandare, sia pure su Raimovie e a orari inaccessibili al grande pubblico (la mattina presto) questo film grandioso e decisivo per le sorti della filmografia mondiale, diviso ovviamente in quadri, e con la partecipazione dello stesso regista che vi recita la parte fondamentale di Pierre Bezuchov, colui che tiene insieme le fila del racconto. Si parte dal principe Bolkonski, poi s’indaga la figura di Natasha, si descrive, come una cinepresa quanto mai realistica, come in un telegiornale all’epoca inesistente, l’Incendio di Mosca, fino all’epilogo felice del matrimonio fra Natasha e Pierre, passando per le peripezie della storia e della grande Russia. E’ sempre bene leggere il romanzo eppure chi ha amato la pagina scritta di Tolstoj esce rafforzato nel sentimento di ammirazione per ”Guerra e pace” dopo aver visto il film. Bondarchuk infatti ha colto perfettamente l’essenza della narrazione, riassumendola nella scena, per esempio, uno fra i tanti, della morte del principe Andrej, che si stacca con un effetto filmico davvero notevole, dal suo corpo per camminare come un’ombra fra le mille ombre dei suoi simili, divisi fra sale da ballo e campi di battaglia.Dal romanzo si sa bene come Tolstoj alzi spesso e volentieri gli occhi al cielo e Bondarchuk questo lo ha reso con esatta fedeltà, rafforzata ovviamente dalla presa filmica, girando sull’aereo scene decisive, come la riflessione notturna del principe Andrej quando, ospite dei Rostov, ascolta un’ignara Natasha che descrive alle stelle le sue aspettative a un cielo di un blu profondo oppure quando, una volta finita la cruenta battaglia, il regista ci dà la visione del campo sterminato attraverso le nuvole.Gli attori andrebbero citati a uno a uno, per quanto sono rispondenti alla figura dettagliata da Tolstoj nel suo libro immortale. Resta l’eredità più tangibile di un sommo regista che val la pena sempre di citare e ricordare, Sergei Bondarchuk il Grande. Da quando c’è il film, Tolstoj non è stato più solo nella costellazione degli artisti inarrivabili.
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