La vita di Adele |
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Un film di Abdellatif Kechiche.
Con Léa Seydoux, Adèle Exarchopoulos, Salim Kechiouche, Mona Walravens.
continua»
Titolo originale La Vie d'Adèle.
Drammatico,
durata 179 min.
- Francia 2013.
- Lucky Red
uscita giovedì 24 ottobre 2013.
- VM 14 -
MYMONETRO
La vita di Adele
valutazione media:
4,04
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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"Adele c'est moi", a Cannes l'ombra di Flaubert
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| lunedì 18 agosto 2014 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
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Lacrime ed applausi, “La vita di Adele” incanta Cannes e vince l’edizione del 2013. Troppo si è scritto sugli amplessi saffici -il primo, lungo 6 minuti, è di straordinaria intensità: impresa ardua trovare qualcosa di simile negli annali del cinema- che lasciano poco spazio all’immaginazione e dove la passione sfrenata vede, come unico elemento di mistificazione, l’utilizzo di vagine posticce. Abdellatif Kechiche indugia con una telecamera mai così invadente, cerca la fusione totale e, bontà sua, la trova in ogni inquadratura. Perché Adele, liceale con il cuore “a cui manca qualcosa”, ci coinvolge nel suo mondo, annulla la distanza tra spettatore e finzione cinematografica. Il regista franco tunisino confeziona un’opera fatta con pura pasta di cinema, un lavoro “sartoriale” cucito addosso alle meravigliose protagoniste. Realismo portato all’eccesso è il leitmotiv di Kechiche, una tecnica di ripresa a cui ci aveva già abituati in “Tutta colpa di Voltaire” e che era stata poi addomesticata con risultati ancora più incoraggianti in “Cous Cous”, un utilizzo della luce a dir poco magistrale -valga per tutte la scena del bacio sfiorato nel parco- e di due attrici che fanno sembrare dei dilettanti persino colleghi più famosi e con molte statuette sulle spalle. Adele Exarchopoulos, irresistibile nella parte di Adele, è esagerata in tutto, fresca e spontanea come solo le ragazze di quell’età sanno essere. Moccolo al naso, occhi gonfi di lacrime, sguardo imbarazzato quasi a voler soffocare un ardore difficile da reprimere, labbra socchiuse che viene voglia di ingoiare. Il regista non nasconde l’amore per la sua musa, la segue ovunque, anche quando dorme e mangia con la bocca aperta, un sentimento neanche tanto velato che culmina nei primissimi piani delle labbra e dei capelli raccolti in ciuffi tirabaci. Lea Seydoux, straordinaria nella parte di Emma, dà i tempi alla giovane amante che rischia di fagocitarla con una recitazione nature che ha poco in comune con quella di mestiere. Il rapporto lesbo è solo un pretesto per parlare della passione che non sente ragioni, che devasta il cuore con un misto di croce e delizia. Non ci sono mezze misure, “La vita di Adele” entra dentro lo spettatore con una forza dirompente, lo stordisce con una scarica di emozioni difficile da sostenere, gli fa perdere tutti i punti di riferimento perché l’amore, quello vero, è insieme caduta e rinascita. Ipnotico l’incontro al locale gay dove la cinepresa riesce a rubare ogni singola trepidazione, immortalando persino le pause più imbarazzanti, i capelli accarezzati nervosamente e la saliva mandata giù a fatica per l’emozione. Si piange con Adele, quando nel litigio per un tradimento neppure voluto si ritrova con le valigie fuori la porta. Il desiderio di consolarla è irrefrenabile, spinti irrazionalmente a placare i singhiozzi che arrivano senza ritegno ma, diamine, il miracolo non arriva a tanto: uno schermo impossibile da superare è lì per ricordarci che tra noi e lei non potrà mai esserci un abbraccio. Palma d’oro dall’esito scontato, “La vita di Adele” ha forse gareggiato da solo in un’edizione contraddistinta dall’altissima qualità delle pellicole in concorso. Cannes si è inchinata a Kechiche e alle sue muse, un tributo doveroso al cinema che diventa opera d’arte. Un film guardato con rispetto e un pizzico di invidia dagli altri partecipanti, ammirato per la superba bellezza, sospeso in un mondo troppo distante per essere raggiunto.
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