Hitchcock

La storia è tutta incentrata sulla difficile realizzazione di Psycho, del film-capolavoro che ha poi consacrato Hitchcok nell’ olimpo dei maestri del cinema senza però per questo , avergli garantito i tributi che meritava e che ha tanto desiderato fino alla morte. Academy Award compreso. Hitchcok, interpretato da un Anthony Hopkins perfetto nella parte, nonostante i chili di gommapiuma, dopo "Intrigo internazionale" e in pieno blocco creativo, si appassiona così tanto alla lettura del romanzo di Robert Bloch, Psycho per l’appunto, da decidere di trarne la sceneggiatura per il suo prossimo film. Deve, da subito, scontrarsi, con le perplessità della moglie, la fidata e devota Alma, e poi con le remore della Paramount che lo tiene sotto contratto e che dato l’argomento scabroso e raccapricciante del romanzo, peraltro ispirato a fatti di cronaca, non ha nessuna intenzione di investire tempo e denaro, in una pellicola che è un flop annunciato. Almeno, così sembra agli addetti ai lavori. Il regista è deciso però a realizzare il suo film; ipoteca la sontuosa villa con piscina in cui vive, per autofinanziarsi, proponendo alla casa di produzione, in cambio del quaranta per cento degli incassi, di occuparsi della sola distribuzione della pellicola, senza cacciare un dollaro in più. Da questo momento in poi, si dipana la storia: la difficile scelta del cast, a cominciare dai protagonisti, Janet Leigh e Anthony Perkins, rispettivamente nei panni di Marion Craine e Norman Bates, qui interpretati da Scarlett Johansson e James D’Arcy (impressionante la somiglianza con l’originale!), l’inizio delle riprese con la scena cult della doccia, la battuta d’arresto con conseguente ritardo nei lavori per una brutta influenza buscata dal regista, il rapporto conflittuale con la censura che a partire dalla lettura della sceneggiatura, osteggia la realizzazione del film, sottoponendolo a tagli inaccettabili. Sullo sfondo, la crisi coniugale di Hitch e Alma, alle prese con scaramucce degne di due adolescenti, che offre uno degli spunti più interessanti della storia; avrebbe meritato forse un approfondimento maggiore. Soprattutto, se teniamo in conto, che la maggior parte delle vicende e degli aneddoti narrati sono a dir poco fantastici, ma anche divertenti, e il carattere e la psicologia dei protagonisti poco sfaccettati. Nella caratterizzazione però, nessuno degli attori, sfocia nella caricatura, rischio nel quale era facile cadere, considerando la caratura dei personaggi messi in scena. Il film, si risolve, quindi, nella storia romanzata di un capolavoro. E in fondo, va bene così. Avevamo forse bisogno di un altro sterile e asettico documentario su Hitchcock? Credo di no. L’urgenza da soddisfare, era capire, in che modo e attraverso quale percorso creativo, Psycho è diventato un capolavoro, uno dei capisaldi del cinema mondiale, un punto di riferimento per tutta la produzione successiva. E in tal senso sono emblematiche le scene finali . Quelle che raccontano la reazione del pubblico alla prima proiezione del film, quando completato il montaggio sotto la supervisione attenta e puntuale di Alma e l’aggiunta della celeberrima colonna sonora di Bernard Herrmann, finalmente Psycho uscì nelle sale (due soltanto!). Ho infine, molto apprezzato la cura nella ricostruzione dell’ambientazione, dal punto di vista della scenografia e degli arredamenti, della scelta dei costumi e del trucco.