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Senza ombra di dubbio, trattasi del miglior film d'azione mai girato sulle arti marziali. Che vede come protagonista, l'ormai gigantesca stella di Brue Lee. Se il precedente 'furore della Cina colpisce ancora', aveva battuto ogni record d'incassi nel cicuito cinematografico di Hong Kong, questo li superò, infrangendo l'incredibile muro dei 4 milioni di dollari. Da un punto di vista prettamente tecnico, appare per trama, regia, soggetto, sceneggiatura etc., nettamente superiore al primo. Il budget a disposizione questa volta era sostanzioso, e Lo Wei, a mio modesto avviso, gira il migliore dei suoi film. Un capolavoro del genere, destinato ad entrare come il suo protagonista, nella storia e mitologia del cinema di ogni tempo. Chen, alias Bruce Lee, gira il più sanguinario fra i quattro film da lui intepretati, 'da adulto'. Lo scontro fra le due scuole, una giapponese, l'altra cinese, è un'idea geniale. Anche se Lee nella vita si dimostrò sepre avverso a qualsiasi distinzione fra razze, qui impersonifica l'intero popolo cinese che prende a calci nel sedere i nemici di sempre. Niente a che vedere con il Lee visto nel film precedente, Chen è qui la quinta essenza della furia vendicativa. Eppure, nonostante la violenza ed il sangue versato, appare più come uno spirito purificatore, che non un sanguinario. La sua incommensurabile maestria, trascina il pubblico nel delirio. Per la cronaca, fù un grande successo anche ai botteghini giapponesi, e la spiegazione è soltanto una: la sovrumana empatia che Lee riusciva a stabilire col pubblico, qualsiasi fosse l'estrazione culturale. Ma a dispetto dell'immenso successo riscosso, i piccoli screzi del set precedente, vide il duo Lee-Lo Wei sciogliersi, per la pretesa di entrambi, di accaparrarsi l'intero merito. A Lee non andò giù il fatto che Wei se ne andesse dicendo di essere il 'primo regista da un milione di dollari', quasi il merito fosse esclusivamente suo. Bruce invece era ben conscio che senza di lui, e ne sono convinto anch'io, la pellicola si sarebbe solo distinta per il realismo delle scene d'azione. Solitamente molto più scadenti e surreali, se non del tutto buffonesche. Il realismo e credibilità di ciò che accadeva sullo schermo, fù sempre il marchio di fabbrica di Lee. Rimaneggiò ampiamente la sceneggiatura e soggetto del primo, e anche se non appare mai il suo nome come maestro d'armi, prima del suo ultimo lavoro, è risaputo che i combattimenti erano frutto del 'suo albero'. Teneva in particolar modo al fatto che la violenza non fosse gratuita, ma avesse sempre una spiegazione e fine. Bruce stesso pretese la morte nel finale, perchè come ebbe a dire in una intervista: "avevo ucciso troppa gente, ed era giusto che finisse così". E il pubblico cinese non gradì. Ma ciò che ha sempre distinto Lee da ogni altro, era anche questa magica logica che riusciva ad infondere e trasmettere alla trama, e in ogni sua movenza. Divino.
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