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Nel film Juniper - un bicchiere di gin il regista Matthew Saville ci racconta la storia delle relazioni umane all’interno di due generazioni (nonna, figlio, nipote) e una certa problematica sul senso della vita e sulla morte assistita. La storia della nonna è quella di una ricca signora che nella sua vita ha sempre scelto la libertà e non la condivisione, fattibile come per tutte le persone ricche, con un caratterino che ti raccomando, e con un vivace desiderio eterosessuale ben più fisico che relazionale. La storia del padre è quella di un padre senza padre, con un’ammessa incapacità di essere a sua volta padre, con una madre dove amore e odio assumono il colore del bianco e del nero. Ma una madre sola “sufficientemente buona” sarebbe stata in grado di insegnare la virilità al figlio maschio. Il nipote non solo deve sguazzare in questo ginepraio per diventare adulto, ma ha un lutto irrisolto: la madre “desiderava” che il figlio le tenesse la mano sul letto di morte, lui l’aveva promesso ma non mantenuto, gonfiando a dismisura il senso di colpa per una cosa che comunque un genitore non può, mai, chiedere a un figlio adolescente. Questo è una delle sdolcinatura che infarciscono il film e che lo farebbero sprofondare, e che il regista utilizza a piene mani per ottenere il consenso degli spettatori amanti dei sentimentalismi (le buone cose di pessimo gusto).
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