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Potrebbe essere risolto facilmente da chi non l’ha mai provato veramente, e può essere pensato come qualcosa che richiede solo del tempo e che col tempo svanisce senza lasciare traccia. Mi riferisco al senso di colpa che può accompagnare un lutto particolare. Non certo la morte dei genitori, dei nonni, o parenti anziani, cosa che fa parte naturale della vita umana, per quanto dolorosa possa essere e per quanto possano essere state delle figure di riferimento. Fatti che non attentano alla motivazione di vivere. Mi riferisco alla morte di un figlio, o, in questo caso, anche di un fratellino. O il suicidio di una persona importante, come il padre o la madre. Il film La fossa delle Marianne è un potente affresco a questo riguardo e mette insieme in un road movie, dolce, in cui non mancano degli aspetti umoristici perché l’essere umano può essere sorprendente, due anime profondamente ferite, la giovane Paula (Luna Welder) che ha perso il fratellino Tim, ed il pensionato Helmut (Edgar Selge) che in gioventù ha perso il figlio Christof, entrambi annegati. Una apparente soluzione è rappresentata dal suicidio, che entrambi hanno tentato, ma che ha il limite, sì, di allontanarti dal dolore (forse per sempre), ma che lasciano i sopravvissuti ancora più soli nella elaborazione del lutto e del senso di colpa. Ma la vita continua e, forse, una soluzione un po’ più definitiva, è quella di poterne parlare, non con chi non l’ha provato, seppure sacerdote, medico, o psicoterapeuta, ma con chi l’ha provato, ed ha trovato un modus vivendi, come Helmut.
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