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L'ho guardato per curiosità: avendo sempre molto apprezzato la Gerini come donna [yep!] e come attrice, volevo vedere come se la cava come regista. E direi bene, considerato che è la sua prima prova. Ma purtroppo qualcosa non funziona.
Se fai un film necessariamente claustrofobico (sia per scelta di registro, sia perché sei low-budget), infatti, ovvio che devi puntare tutto sui dialoghi. E se affronti un argomento delicato come il counselling e il disagio psicologico, ovvio che devi mostrare una doverosa attenzione ai dettagli e soprattutto un tatto e una competenza in materia ai più grandi livelli. Almeno credo.
È proprio questo, invece, a mancare nel film. Non per colpa della regista, ma perché la sceneggiatura propone dialoghi banali, scontati, più da "Riza Psicosomatica" che da esperienza vissuta. Testi scritti "di testa" e palpabilmente artificiosi, che non fanno trapelare il filtro dell'empatia derivante dall'averle vissute, le situazioni descritte!
Peccato, perché la Gerini continuerà a piacermi. Anche in tuta da ginnastica e imperlatura sulla fronte. Dovendo scegliere, però, la seduta la farei con la Chiara di "Padre e figlio". E preferibilmente in presenza.
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